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In agricoltura non c’è stato abuso

La fretta di risolvere il problema del referendum promosso dalla CGIL ha portato all’eliminazione da parte del Governo di un importante strumento per il lavoro occasionale come i voucher, senza aver trovato prima valide alternative.

Nel settore agricolo –  ove l’esigenza di svolgere prestazioni meramente occasionali ed accessorie è tutt’altro che infrequente – la questione è particolarmente sentita. Non a caso i voucher sono stati sperimentati nel 2008 proprio nel settore primario.

Le decisioni affrettate, come quella presa dal Governo, non aiutano mai la ricerca della giusta soluzione. Era  necessaria prima una valutazione serena e distaccata del fenomeno, scevra da pregiudizi ideologici, che partisse dai dati certi forniti dall’INPS sull’utilizzo dei voucher. Dati che confermano che l’agricoltura è uno dei settori produttivi ove il lavoro accessorio è meno utilizzato. Nel periodo 2008-2016, infatti, solo il 4,3 per cento dei voucher complessivamente venduti e’ stato destinato alle attività agricole. Se poi guardiamo l’ultimo anno disponibile, la percentuale scende addirittura all’1,8 per cento del totale.

Non è quindi l’agricoltura il settore nel quale si è registrata un’esplosione del numero dei voucher, giacché i buoni lavoro utilizzati dagli agricoltori rappresentano una quota minima dei buoni complessivamente venduti. Insomma, un certo interesse da parte delle imprese agricole verso il voucher è francamente innegabile, come appare innegabile, per altro verso, che non si è assistito ad una corsa arrembante verso il lavoro occasionale di tipo accessorio, tale da far temere possibili abusi diffusi o, addirittura,  una “destrutturazione” del mercato del lavoro agricolo. Centomila giornate pagate col voucher corrispondono allo 0,1 per cento del totale delle giornate di lavoro dipendente denunciate all’INPS. Un dato che non può certamente preoccupare.

Del resto occorre tenere sempre presente che in agricoltura le prestazioni occasionali di tipo accessorio possono (rectius: potevano) essere rese, di regola, solo da studenti e pensionati, e cioè da soggetti che non sono ancora entrati nel mondo del lavoro (giovani studenti),  ovvero ne sono già usciti (pensionati), e che i conseguenti rapporti debbono pur sempre essere connotati dal carattere della “occasionalità”.

I voucher, quindi, non sono, né possono essere un sistema per aggirare le norme in materia di lavoro subordinato, ma solo uno strumento aggiuntivo in mano alle imprese per gestire, in limitate ipotesi, situazioni che non rientrano negli schemi tipici del lavoro dipendente, bensì di quello occasionale ed accessorio. Lo dimostra il fatto che nel periodo in cui hanno trovato applicazione i voucher (2008-2016) il lavoro dipendente in agricoltura – nonostante la crisi economica che non ha certo risparmiato il settore primario – ha sostanzialmente tenuto e in alcuni anni ha fatto registrare addirittura un incremento degli occupati.

Eppure anche l’agricoltura è stata travolta da una disposizione legislativa che frettolosamente, ed in modo tecnicamente impreciso, ha sancito l’abolizione tout court del lavoro accessorio, salvo la possibilità di utilizzare i voucher già acquistati entro l’anno 2017. È francamente illusorio pensare che il contratto di lavoro subordinato – come sostengono alcuni –  possa rappresentare l’unico strumento per regolare qualunque tipo di prestazione di carattere lavorativo.

Esistono infatti attività che hanno natura sporadica, occasionale ed accessoria, di durata anche molto contenuta, che hanno bisogno di essere disciplinate in modo estremamente semplice e che mal si conciliano con i paludamenti e le complessità che caratterizzano ancora, nonostante i dichiarati intenti semplificatori, il contratto di lavoro subordinato.

Il vero rischio è che, in assenza di uno strumento adeguato – di facile e pronto utilizzo – il mercato del lavoro, come tutti i mercati, trovi un proprio equilibrio di fatto, anche al di fuori di regole che non sembrano tenere conto della realtà economica ed occupazionale nel nostro Paese. La soluzione del problema deve essere dunque trovata al più presto, e non può che essere cercata nella creazione di uno strumento ad hoc, diverso dal lavoro subordinato, inidoneo, per sua natura, a disciplinare tali situazioni.

  

 (*) Direttore generale Confagricoltura

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