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Servono i ricostruttori non i rottamatori

La storia ci consegna più momenti nei quali la sinistra politica e il sindacato si sono divisi. In genere questa divisione ha prodotto anche una divisione nel sindacato e tra i sindacati. Senza ripercorrere con un’analisi storica approfondita e limitandoci agli ultimi quaranta anni possiamo vedere che:

  • Gli anni ’80 caratterizzati dalla conclusione dell’esperienza politica dei Governi di unità nazionale di fine anni ’70, incrociano nel 1984 l’accordo separato del 14 febbraio, detto accordo di San Valentino, che interviene con il blocco per decreto su quattro punti di scala mobile. CISL, UIL e socialisti della CGIL concordano con le decisioni, tramite decreto, assunte dal Governo Craxi. La CGIL si spacca in due, con la componente comunista allineata nei fatti ai vertici di Botteghe Oscure (PCI). L’ultimo momento in cui si è esercitata più che una cinghia di trasmissione, tra partito e sindacato, una connessione diretta tra la componente comunista della CGIL e le scelte politiche della segreteria del PCI.
  • Siamo alla fine degli anni ’90/ inizio del nuovo secolo in cui si manifesta quella che ho definito da tempo il tentativo della cinghia di trasmissione capovolta e cioè quella in cui è il sindacato, per meglio dire la CGIL, che con la direzione dell’ultima fase di Cofferati, allora segretario generale della CGIL, prova ad imprimere una direzione politica agli allora DS guidati da Piero Fassino. Nella simbologia vale come esempio la prima riunione fatta in CGIL, in corso d’Italia, in cui è la segreteria del partito a venire nella sede del sindacato e non viceversa. E’ in quel periodo che – insieme ad Antonio Panzeri, Cesare Damiano e Riccardo Terzi – diamo vita al gruppo dei “49” Riformisti della CGIL contrari all’operazione guidata da Cofferati.
  • L’ultimo elemento di riflessione attiene al rapporto realizzatosi dopo la nascita del PD, al quale una parte di noi non solo ha creduto ma ha contribuito alla sua costruzione fin dalla fase costituente, che con l’avvento di Renzi alla segreteria e le politiche da lui sostenute a partire dal jobs-act al superamento del ruolo del sindacato confederale hanno prodotto una rottura sui contenuti ma anche sul senso di comunità che legava le appartenenze della sinistra italiana, pur nelle diverse collocazioni.

Questi elementi ci aiutano solo a comprendere che il male oscuro della sinistra italiana sta, da sempre, nelle sue divisioni e tale male, pur per ragioni diverse, che attengono a punti di vista e strategie sindacali, colpiscono anche il soggetto sindacato nelle sue diverse componenti.

Da qui la tesi che propongo:

E’ tempo che scendano in campo quelli che io chiamo i “Ricostruttori”.

Serve ricostruire un campo del centro sinistra alternativo sul piano dei contenuti al progetto di Renzi;

Serve ricostruire un progetto per l’unità dei sindacati capace di ridare centralità e valore alla rappresentanza sociale del lavoro costruendo, attraverso l’unità di CGIL CISL E UIL, un blocco sociale con un progetto sociale per il lavoro che interloquisca sulla base di pari dignità con la politica.

Di sicuro, pur nell’autonomia di ogni sindacato, ciò che non è né praticabile, né teorizzabile è il sindacato che si fa partito. In tempi di populismo crescente, dai          5 Stelle al pensiero debole presente nel gruppo dirigente del PD e di un centro destra che ritorna con Berlusconi, ai naziskin che ritornano in campo con la vicenda di Como e con i quali ci deve essere tolleranza zero, servirebbe un lavoro, una riflessione seria, pacata, attenta per capire tutte le ragioni che possono portare a riunificare un progetto per il centro sinistra e un progetto per l’unità del sindacato e del mondo del lavoro nel nostro Paese.

Dunque il lavoro può e deve riconquistare la sua centralità, non solo nelle azioni e nei programmi dei sindacati, ma anche della politica e in modo particolare di chi si richiama ai valori del centro sinistra e della sinistra.

Lo scenario che abbiamo davanti a noi, non è di quelli esaltanti considerando che:

  • I sindacati, CGIL CISL e UIL, sono partiti con un confronto unitario con il Governo Gentiloni sul tema della previdenza, sulla base di una piattaforma unitaria che dava seguito all’accordo di un anno fa. Il confronto si è concluso martedì 28 novembre con un giudizio negativo nostro, come CGIL, e uno positivo di CISL e UIL. Fortunatamente, pur nella diversità di giudizi non si è consumato, come in altre fasi della storia sindacale, un accordo separato che avrebbe reso comunque più difficile il rilancio e la ricostruzione di un’azione sindacale unitaria.
  • Il 2 dicembre, in cinque piazze d’Italia, la CGIL scende in campo con una mobilitazione di massa che apre nei fatti, insieme alla necessità di sostenere i cambiamenti necessari nella Legge di stabilità sui temi delle pensioni e non solo, un percorso vertenziale sostenuto dalla mobilitazione già col futuro Governo che emergerà dopo le elezioni.
  • Il centro sinistra a trazione renziana, ha prodotto uno strappo a partire dai temi del lavoro e dei diritti già nel 2014 attraverso il job-act, contro il quale abbiamo portato in piazza 1 milione di persone il 25 ottobre 2014. In quel periodo, si consumano lacerazioni tra PD e sindacati con particolare riferimento a noi della CGIL che non solo non si sono ricomposti ma si sono accentuati con la promozione della raccolta di firme per la carta dei diritti universali e per i referendum successivamente non svolti.
  • Dalla rottura sul lavoro alla battaglia per il no al referendum del 4 dicembre si è consumata una fase nella quale il lavoro, ma anche la partecipazione al voto tornano ad essere rilavanti. Si pensi al 65,5% di votanti al referendum e all’80% di giovani che votano per il no. In Emilia, alle regionali, vota il 37% e in Sicilia più del 53% si astiene e non partecipa al voto. Si torna dunque a votare per difendere la Costituzione; è invece minore l’affluenza quando si vota per le politiche o le amministrative. Gli elettori sono sfiduciati dalla rappresentanza politica sia nel suo insieme del centro sinistra, che dai 5 stelle.

Lo stesso populismo non riesce ad intercettare quel 50% del Paese che non si            fida più della forma e della sostanza dei partiti.

L’analisi delle difficoltà e delle conseguenti, necessarie, soluzioni per superare la frattura tra offerta politica e rappresentanza del lavoro deve tenere conto di almeno tre aspetti:

  1. c’è un effetto globalizzazione e crisi globale nel quale i corpi intermedi perdono rappresentatività. Il sindacato potrebbe rischiare di ridurre la dimensione confederale.
  2.  la stagione legata all’appartenenza ideologica e politica è venuta meno.
  3. la cinghia di trasmissione, anche come modello teorico, poichè mai si è esercita in forma meccanica, si è completamente esaurita sin dall’inizio degli anni ‘90.

Ciò nonostante, nei programmi elettorali di tutti gli schieramenti di centro sinistra il tema lavoro è sempre presente come lo è il welfare. Sarebbe, quindi, errato non riconoscere che almeno in termini programmatici tutti gli schieramenti si propongono di affrontare e risolvere il tema della disoccupazione, soprattutto giovanile, e migliorare le condizioni della sanità pubblica, delle pensioni e della scuola pubblica.

Questa è la ragione per la quale il merito e i contenuti potrebbero e dovrebbero costruire le condizioni per riunificare il centro sinistra a partire da un’analisi obiettiva sui limiti delle politiche sul lavoro che pur con di 17 miliardi di sgravi contributivi e un diritto in meno, come l’articolo18, non sono stati in grado di costruire quel posto di lavoro in più, stabile e tutelato, capace di dare risposta al grande dramma sociale dell’incertezza e della precarietà del futuro dei giovani.

Qui sta la società rabbiosa e rancorosa di cui parla l’ultimo rapporto Censis.

Qui sta l’intolleranza, il rifiuto della politica più della metà del Paese che sceglie di non andare a votare perché ritiene che la rappresentanza politica nelle sue diverse espressioni non è seria, affidabile e al servizio dei cittadini e del Paese.

Per questa ragione, pur riconoscendo i 900 mila posti di lavoro recuperati in questi ultimi tre anni, si dovrebbe riconoscere anche che purtroppo mancano ancora un milione e duecento mila ULA per tornare all’occupazione del 2007. Non servono grandi ragionamenti, bastano tre numeri. Tasso di disoccupazione 2007: 6,4% oggi: 11,1% con i giovani al 36% di disoccupazione. E’ evidente che si dovrebbe ragionare su come costruire un piano straordinario per l’occupazione ai giovani fatto di investimenti e di un diritto in più come quelli da noi proposti con la carta di diritti universale.

Ricostruire, dunque, è possibile ed è necessario per questo rimettere al centro:

  • Un piano straordinario per il lavoro ai giovani capace con investimenti adeguati e un bagaglio di diritti in cui si ripristina l’articolo 18 produrre una riduzione del tasso di disoccupazione dal 35% alla media europea e cioè creare 700mila nuovi giovani assunti a tempo indeterminato entro il 2020.
  • La lotta alle disuguaglianze, riportando nella giusta dimensione di 1 a 20 in rapporto tra il compenso di un lavoratore e di un top-manager e rilanciando una politica salariale e fiscale capace di premiare il lavoro e i pensionati. Ridurre le tasse sul lavoro si può, contrastando le ipotesi di flax-tax. I salari devono riprendere a crescere più dell’inflazione e per questo bisogna affrontare quella che io chiamo la sfida di un patto sociale modello accordo Ciampi del 1993 per aumentare la produttività, i salari e l’occupazione;
  • Bisognerebbe ridare centralità alla questione bancaria come condizione, non per la propaganda politica ed elettorale, ma come condizione per far ripartire gli investimenti produttivi riaprendo tutti i rubinetti del credito. Le polemiche su Banca Italia hanno un sapore populista che non sopporto. Hanno un non so che di attacco alle Istituzioni. Come immaginavo, la Commissione d’inchiesta sulle crisi bancarie è semplicemente una palestra in cui il tema banche si utilizza più per propaganda elettorale che per fare emergere in modo netto e chiaro le responsabilità di quei banchieri che hanno portato al disastro ben undici banche. Ho apprezzato il lavoro del Ministro Padoan e del Primo Ministro Gentiloni che hanno individuato soluzioni sia per MPS che per le due ex Venete che di sicuro hanno contribuito al superamento della crisi. Adesso, guardando al futuro, chi vuole ricostruire deve assumere la questione bancaria come questione di valenza nazionale per lo sviluppo della crescita, dell’investimenti e della buona occupazione.

 (*) Segretario generale Fisac CGIL

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