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Il dialogo sotto scorta

Se si arriva a minacciare di morte, ripetutamente, un sindacalista vuol dire che l’esasperazione sociale ha oltrepassato il livello di guardia e il fanatismo si sta addensando nella società. Non sappiamo, ovviamente, chi stia provando a far saltare i nervi a Marco Bentivogli, il Segretario Generale della FIM CISL. E’ inutile inoltrarci nelle supposizioni. L’aggressività che prende di mira un sindacalista, ma anche un uomo politico, un artista, un parroco, un giornalista ha a che fare con la qualità e gli spazi delle libertà di espressione, di proposta, di rivendicazione, di conciliazione.

Ha scritto Amos Oz: “Nel mio mondo la parola compromesso è sinonimo di vita. E dove c’è vita, ci sono i compromessi. Il contrario di compromesso non è integrità e nemmeno idealismo e nemmeno determinazione, devozione. Il contrario di compromesso è fanatismo, morte” (Contro il fanatismo). E’ di questo che ci dobbiamo occupare e preoccupare. Chi deve tutelare e reprimere faccia la sua parte. Ma poi, ci dobbiamo chiedere se non stiamo svalutando il valore del dialogo, se non stiamo svilendo il ruolo di chi deve alimentare questo dialogo, se non stiamo – in definitiva –  favorendo chi si vuole imporre più con la forza che con la ragione.

Il sofista dirà subito: c’è compromesso e compromesso. Uno “alto” e uno “mediocre”, uno “corposo” ed uno “leggerino”. Certo, i contenuti hanno il loro peso ma bisogna anche tener conto della partecipazione delle persone coinvolte nel compromesso. E’ di valore anche una mediazione modesta, di quelle che fanno storcere il naso. Ma se è condivisa, sia pure faticosamente, dagli interessati acquista un significato che trascende la questione specifica. Il contrario del dialogo con gli altri e tra i propri rappresentati è solo quello che dice Oz; l’alimentazione della lamentela che a lungo andare diventa rancore e se non intercettato, si trasforma in forme – sia pure minoritarie – di fanatismo. E siccome siamo in una fase in cui a più livelli e su più orizzonti si vedono gli scricchiolii valoriali intorno al compromesso partecipato, sarebbe bene che si corresse ai ripari.

Per questo, è un errore pesante di valutazione strategica non assicurare spazi adeguati di azione ai soggetti del confronto civile, sia che riguardi il sociale che la dimensione politica. Gli esempi potrebbero essere tanti, ma per chiarezza ne cito uno: la legge, in questi ultimi anni, è intervenuta troppo sui temi del lavoro. Non è un giudizio sulla qualità della legislazione, anche se si potrebbe obiettare su alcune scelte fatte, ma la sua invasività ha prodotto un oggettivo restringimento delle potenzialità negoziali del sindacato. Proiettato nel tempo, questo restringimento svaluta la funzione degli interlocutori collettivi. Essi stessi si trasformano, non so fino a quanto consapevolmente o forzatamente, in lobbisti che premono continuamente su partiti, parlamento, governo per far prevalere la propria opinione. Il pigia pigia non è garanzia di democrazia e di partecipazione.

Come sempre, i vuoti si riempiono. Se il valore del dialogo si sfarina, se chi deve alimentarlo vede ridursi il perimetro del campo da gioco, il ricorso agli atti estremi, fino alla personalizzazione del conflitto, prende il sopravvento su quella della reciproca comprensione. Finanche Gianni Agnelli, che con il potere aveva una certa dimestichezza, ammoniva la razza padrona che “le azioni si pesano, non si contano”. L’arguta raccomandazione vale in tanti altri ambiti del vivere umano, ma a maggiore ragione in quello civile. Se non si dà valore alla qualità, si dà spazio soltanto alla quantità. Vincere ricorrendo soltanto alla forza, vuol dire imporsi usando ogni mezzo, non escludendo l’arroganza, la sopraffazione, la minaccia.

Non conviene alimentare questa deriva. Cogliamo anche il più piccolo dei segnali di svuotamento del senso   del dialogo che ci viene dalla quotidianità, non sottovalutiamo i rischi personali e comunitari che gli atti di fanatismo provocano, anche senza diventare gesti atrocemente definitivi. In questo, gli uomini e le donne della politica hanno la responsabilità di imporsi nei dibattiti, con le loro esternazioni più pensando alla testa di chi li ascolta che alla loro pancia. L’andazzo sembra opposto, anche perché sono alle porte le elezioni politiche. Ma forse, proprio per questo, uno sforzo di sobrietà nel lessico politico, una dimostrazione di rispetto per l’avversario, verrebbero apprezzati dalle persone che riescono a coinvolgere. E ovunque sia possibile, nelle scuole, sui mass media, attraverso i social, nei luoghi di lavoro, con le manifestazioni di pochi o di massa, finanche in famiglia abituiamoci e abituiamo gli altri ad utilizzare il linguaggio del confronto.        

   

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