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Le imprese del settore non hanno dubbi

“Siamo di fronte a una emergenza nazionale, di cui si parla ancora poco: i termovalorizzatori non sono più in grado di ricevere altri rifiuti, se non a tariffe sempre più elevate. Così, per risparmiare per lo smaltimento ci si rivolge a società poco serie, per non dire di peggio: non ci si deve sorprendere poi se i rifiuti vengono bruciati nei capannoni”. L’ allarme lanciato da Valerio Camerano, amministratore delegato di A2a, la multiutility controllata dai comuni di Milano e Brescia e quotata, colpisce perché arriva dalla Regione che, assieme all’Emilia Romagna, è in testa alle classifiche per la gestione e il riciclo, con percentuali che arrivano – per certe materie – anche al 90 per cento. Il sistema, raccontano gli operatori, è al collasso. 

Per una serie di concause, non ultima proprio il “successo” della raccolta differenziata. I rifiuti – dopo la punta della crisi economica di 4-5 anni fa – sono tornati ad aumentare, compresa la quota che viene recuperata. Ma anche quando il riciclo è organizzato al meglio, rimane sempre un 20-30 per cento (a seconda delle materie) che non può essere riutilizzata, neanche sotto forma di scarto e deve essere smaltita. Questo aumenta la pressioni sui termovalorizzatori nelle Regioni del nord Italia (mentre al sud si continua a ricorrere alle discariche). Non è finita: responsabile dell’emergenza sono anche Cina e India. 

Fino all’ anno scorso, il materiale di qualità inferiore di carta e plastica che veniva recuperato partiva via nave verso l’Asia. Ma ora, anche Cina e India utilizzano nella manifattura materiale di qualità più alta e l’esportazione si è praticamente interrotta. La conseguenza di tutto ciò è così spiegato da Filippo Brandolini, vicepresidente di Utilitalia, l’associazione che raccoglie le aziende del settore: “La crisi riguarda la carta, che ricicla l’80 per cento del materiale raccolto, ma ha il problema di collocare il restante 20 per cento, ma anche le plastiche miste non riciclabili, i cui scarti sono arrivati nel 2017 a superare il 45%”. 

In verità, riguarda anche la parte organica (il cosiddetto umido), che rappresenta complessivamente il 30 per cento dei rifiuti urbani ed è una componente sempre più importante del riciclo dei rifiuti. Secondo i dati di Utilitalia, almeno 3 milioni di tonnellate di rifiuti che per essere smaltite avrebbero bisogno di impianti adeguati. Invece, quando non finiscono in discarica, prendono la strada dei termovalorizzatori del nord Italia, con spostamenti di oltre 500 chilometri. E spesso, denunciano le imprese, questo avviene solo perché le Regioni del Meridione hanno consentito a derubricare come rifiuti speciali una parte degli urbani, che altrimenti non potrebbero attraversare l’Italia ma dovrebbero essere smaltiti in loco. 

“La fragilità ed il sottodimensionamento del sistema impiantistico per il trattamento dei rifiuti sono una emergenza nazionale – sottolinea ancora Brandolini – e non si tratta più di eventi circoscritti localmente, ma siamo di fronte a una crisi generalizzata che si sta diffondendo anche nelle regioni più avanzate”. Le imprese lamentano la mancanza di una strategia: “Siamo fermi al decreto Sblocca Italia – ricorda dalla sede di A2a, Camerano – che prevedeva la costruzione di 8 nuovi termovalorizzatori. E si tratta di una stima per difetto”. Gli fa eco un altro manager del settore, l’amministratore delegato di Iren Ambiente Roberto Paterlini: “Peccato che nel nostro paese non si costruiscano più inceneritori dal 2013, gli ultimi a Torino, Parma e Bolzano. Invece, bisognerebbe inquadrare il problema nella giusta prospettiva: se il riciclo al 100 per cento non è possibile e le discariche vanno chiuse, come ci chiede la Ue, l’alternativa, al momento, non può che essere la termovalorizzazione con recupero di energia, come avviene nel resto d’ Europa, comprese le nazioni più avanzate come Danimarca e Germania”. Per non parlare del fatto che mancano almeno 4 miliardi di investimenti per la realizzazione degli impianti e il raggiungimento degli obiettivi previsti sulla raccolta differenziata anche nel Meridione, secondo le direttive europee. 

Il sospetto degli operatori è che di fronte alle resistenze nei confronti degli “inceneritori” (basti ricordare la battaglia dei Cinquestelle a Parma) si arrivi alla solito pasticcio all’ italiana: “Non vorremmo che, di fronte all’ emergenza, la soluzione sia quella di riaprire o allungare la vita alle discariche. Perché non fidarsi invece di impianti che sono sottoposti a decine di controlli e gestiti da aziende sotto il controllo degli enti locali?». Qualcuno risponderà alla domanda di Camerano e Paterlini? 

 

* da Repubblica del 16.11.2018 

 

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