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Dall’economia del riciclo all’economia circolare.

Questo è un rapporto sull’economia circolare in Italia. Dalla ormai consolidata analisi dell’economia del riciclo passiamo alla più ampia economia circolare. 

Sulla scorta del pacchetto europeo relativo alle politiche per l’economia circolare e in particolare alle politiche per i rifiuti e i prodotti del dicembre 2015 e di una serie di altre iniziative internazionali in ambito OCSE, UNEP e G7 (con il “piano di lavoro quinquennale per l’uso efficiente e sostenibile delle risorse”), anche in Italia – come altri paesi europei – il Ministero dell’Ambiente e il Ministero dello sviluppo economico hanno pubblicato nel corso del 2017 un documento di orientamento “Verso un modello di economia circolare per l’Italia”, che è stato sottoposto ad una ampia consultazione pubblica (conclusa nella seconda metà del 2017). 

Al centro del documento vi è la necessità di un cambio di paradigma del sistema economico italiano, che acceleri processi già in atto, anche attraverso l’adozione di un insieme di misure pubbliche di regolamentazione, incentivo e impiego di strumenti fiscali. Il documento sottolinea anche l’importanza di strumenti di misura e quantificazione e di indicatori di monitoraggio. 

Questo nostro rapporto costituisce un contributo, in primo luogo sotto il profilo conoscitivo e quantitativo, all’elaborazione delle politiche italiane. 

La filiera del riciclo è il cuore della nuova economia circolare. Ma non è tutto. 

 L’idea dell’economia circolare non è nuova. E’ l’idea alla base di gran parte del pensiero economico e scientifico ambientalista. E’ l’idea, di Barry Commoner ma anche dell’italiana Laura Conti, del “cerchio da chiudere”. E’ l’idea dell’economia dell’astronave contrapposta all’economia del cowboy. L’economia circolare, in antitesi alla dominante economia lineare nell’uso delle risorse, riaggiorna questo approccio e, secondo la definizione che ne dà la Ellen MacArthur Foundation, «è un’economia pensata per potersi rigenerare da sola. In un’economia circolare i flussi di materiali sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati ad essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera». L’economia circolare è dunque un sistema in cui tutte le attività, a partire dall’estrazione e dalla produzione, sono organizzate in modo che i rifiuti di qualcuno diventino risorse per qualcun’altro. Nell’economia lineare, invece, terminato il consumo termina anche il ciclo del prodotto che diventa rifiuto, costringendo la catena economica a riprendere continuamente lo stesso schema: estrazione, produzione, consumo, smaltimento. 

 

L’economia circolare crea valore economico con più lavoro e meno risorse. 

 L’economia circolare non riguarda solo ciò che succede “a valle” della produzione e del consumo. L’economia circolare parte dalla progettazione di un sistema più efficiente (rispetto all’uso di risorse) rispetto a quello tipico dell’’economia lineare:  

▪ prevede innanzitutto che vengano utilizzate in modo massiccio le fonti e le risorse rinnovabili (elemento centrale della sostenibilità);

▪ prevede che chi produce (e anche chi consuma) diventi responsabile del ciclo di vita del prodotto;  

▪ prevede una forte capacità di innovazione e un design di prodotto fatto per durare, per essere disassemblato, per essere riciclato o riutilizzato nella sua interezza o in singole parti possano essere riciclabili o riutilizzabili in altre forme; 

▪ prevede una riorganizzazione del consumo funzionale all’ottimizzazione delle risorse anche attraverso forme di economia collaborativa, di sharing e condivisione dei beni. 

In questo senso una economia circolare è una economia che crea valore economico con più lavoro e meno risorse materiali e, perciò, può accompagnare una crescita economica generatrice di occupazione – mentre altri sviluppi tecnologici, per quanto da altri punti di vista auspicabili, sono distruttori di occupazione – e con una maggiore produttività nell’uso di materia. 

Secondo il recente rapporto Wrap (2017, Economic Growth Potential of More Circular Economy), “insieme con sostanziali benefici ambientali, una crescente economia circolare offre il potenziale di creare posti di lavoro riducendo lo strutturale squilibrio nelle regioni europee ad alta disoccupazione. Lo sviluppo dell’economia circolare è di per sé una grande trasformazione industriale, ma mentre precedenti transizioni industriali si sono focalizzate sulla produttività del lavoro ed hanno spesso implicato l’uso di minore forza lavoro e la creazione di alta disoccupazione, la crescita dell’economia circolare crea valore economico usando più lavoro e meno risorse e perciò accresce sia l’efficienza d’uso delle risorse che l’attività economica”. 

Non esiste una definizione condivisa del perimetro dell’economia circolare. 

 Non esiste una definizione condivisa di quali siano le attività economiche da ricomprendere nel concetto di economia circolare, anche se Eurostat ha individuato un primo indicatore che, come nel caso delle stime sulla cosiddetta “economia verde”, introduce importanti semplificazioni per utilizzare la base statistica esistente. Altri soggetti (come nello studio sul Regno Unito di Wrap, 2017 o in quello sulla Francia del Ministero dell’Ambiente 2017) hanno adottato perimetri parzialmente differenti di economia circolare.  In particolare Wrap introduce nell’economia circolare l’intero settore del noleggio e del leasing, mentre in Francia si introduce il ciclo idrico e alcune attività di servizi come R&D, ingegneria etc. Elemento critico e discutibile di tutti questi studi è l’aver spesso assunto integralmente alcuni codici Nace (ad esempio per la raccolta dei rifiuti o in altri casi per il ciclo idrico) senza operare alcuna distinzione o tentativo di distinzione tra le attività coerenti con una logica di economia circolare e quelle invece tipiche proprio di una economia lineare e talora senza alcuna valenza ambientale. Un po’ stupefacente è infine l’assenza dell’industria manifatturiera basata sul riciclo, operazione forse giustificabile con l’impossibilità di una determinazione metodologicamente forte, ma che genera un perimetro insensatamente incompleto della stessa economia circolare. 

Questo rapporto offre però una prima rappresentazione più ampia e comprensiva di quelle finora esistenti. 

Potendo lavorare su dati disaggregati – o disaggregabili con buona affidabilità – in questo studio proporremo anche un indicatore dell’economia circolare più analitico, che per quanto riguarda la filiera del riciclo è sostanzialmente basato sull’impostazione dell’ultimo studio EPA (2016) e del precedente e pionieristico studio di Beck (2001) per l’economia degli Stati Uniti. 

In particolare, in questo studio, così come negli studi americani prima citati o in precedenti studi di Ademe, consideriamo come componente dell’economia circolare e della filiera del riciclo una “quota parte” dell’industria manifatturiera basata sulla produzione a partire da materie seconde.

 

*Preliminary Summit della ricerca: Economia Circolare, a che punto siamo in Italia? 29/11/2018

 

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