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Povertà educativa, prima e durante il Covid-19

Prima del Covid-19.
L’esclusione precoce dall’educazione e la povertà minorile sono massicciamente presenti nel nostro Paese ben prima di questa crisi, in modo strutturale. Esclusione e povertà dei minori chiamano in causa i contesti multi-fattoriali dell’esclusione, secondo trame assai complesse. 

È utile, per costruire una riflessione ben fondata, partire da un punto: il fallimento scolastico e formativo dei/lle bambini/e e dei/lle ragazzi/e. Per quanto riguarda il tasso di dispersione scolastica la nostra situazione è migliorata molto lentamente negli ultimi lustri: dal 20,8% del 2006 al 13,3 del 2016(1). Il miglioramento è avvenuto in modo disomogeneo, con una differenziazione di genere (donne intorno al 12%, uomini oltre il 16%) e forti differenze tra le diverse regioni rispetto al raggiungimento dell’obiettivo, stabilito dall’UE (2) , del 10% entro l’anno 2020: si va dal + 14 % rispetto al traguardo UE (24% di abbandoni) di Sicilia e Sardegna al + 9 % della Campania (23% di abbandoni), con punte più alte per le aree metropolitane al – 2% del Veneto (8% di abbandoni), ecc.

Quel che viene misurato è la percentuale di ELET – early leavers from education and training: i ragazzi e le ragazze che, ben oltre l’età canonica, a 24 anni, non hanno in tasca una licenza di scuola superiore né una qualifica professionale spendibile sul mercato legale del lavoro.

Vi è stato un miglioramento riguardo a numero di persone che terminano un corso di studi e, tuttavia, la situazione resta estremamente critica – come una febbre che non demorde – per il concentrarsi di tre elementi che, insieme, disegnano una crisi strutturale:

  • – alti tassi di abbandono scolastico vero e proprio uniti a molte ripetenze,
  • – alto numero di ragazzi che, anche quando promossi, hanno bassi livelli nelle conoscenze relative a matematica di base, lettura e comprensione dei testi, scrittura funzionale, orientamento di base in relazione al mondo delle scienze, ai riferimenti spazio-temporali storico geografici (sono acquisizioni irrinunciabili ai fini dello sviluppo sociale e personale nonché per entrare con una qualche dignità nel mercato del lavoro e per esercitare la cittadinanza e che vengono registrate con serietà metodologica e costanza nel tempo sia sulla generalità della popolazione – INVALSI – sia su base campionaria molto rigorosamente sorvegliata –  OCSE- Pisa e OCSE Piaac)(3),  
  • – forte concentrazione della povertà educativa minorile secondo l’Indice di povertà educativa (IPE)(4), intesa sia come condizione di povertà multidimensionale all’inizio della vita sia come prolungamento dell’esclusione per mancanza o debolezza di politiche e dispositivi compensativi presenti davvero e costanti nel tempo(5).

L’arcipelago – fortemente differenziato al proprio interno – del fallimento formativo ed educativo è concentrato lì dove ci sono bambini e ragazzi poveri. Prima di questa crisi ne sono, così, potenzialmente coinvolti 1.300.000 bambini e ragazzi in povertà assoluta e altri 2.300.000 in povertà relativa(6) che, nella loro vita concreta e quotidiana tra casa, quartiere e scuola conoscono alti tassi di povertà della famiglia, prevalenza di redditi bassi e elevato tasso di disoccupazione, lavoro precario e al nero nella famiglia e nel contesto allargato,  bassissimo tasso di donne che lavorano, spesa sociale molto minore della media, alto tasso di genitori con basso livello di istruzione, livelli bassi di consumo, fruizione bassa di servizi culturali e sportivo-ricreativi (% di minori tra i 6 e 17 anni che non hanno svolto 4 o più attività ricreative e culturali tra 7 considerate)(7), bassissime percentuali di bambini tra 0 e 2 anni con accesso ai servizi pubblici educativi per l’infanzia(8), poche classi della scuola primaria e della scuola secondaria di primo grado a tempo pieno(9), alti tassi di alunni che non usufruiscono del servizio mensa(10), che frequentano scuole con infrastrutture inadeguate per l’apprendimento misurato attraverso l’indicatore OCSE PISA(11) e con aule senza connessione internet veloce(12). Il tutto co-genera, entro tali contesti, tassi elevati di dispersione scolastica(13) e di ragazzi di 15 anni che non raggiungono i livelli minimi di competenze, in matematica di base(14), in lettura e comprensione di testi secondo i test OCSE-Pisa(15), un dato confermato da INVALSI(16) e che è universalmente riconosciuto come decisivo ai fini dello sviluppo personale e dell’esercizio della cittadinanza.

Di recente vi sono state, oltre ai regolari survey Istat e del MIUR sulla “dispersione scolastica” e ai dati OCSE e Invalsi sull’apprendimento dei nostri ragazzi, alcune iniziative che vanno nella direzione di una documentazione rigorosa e articolata del fenomeno in relazione alle povertà multi-dimensionali che colpiscono una parte importante di bambini e ragazzi. 

L’impresa sociale Con i bambini e Openpolis hanno pubblicato, sulla base di dati Istat, un documento “di sistema” sul rapporto tra povertà e esclusione educativa in Italia: “Scuole e asili per ricucire il paese”(17) che, per un verso, aggiorna l’analisi sui diversi aspetti dell’esclusione dall’educazione entro il quadro delle differenti manifestazioni della povertà e della povertà educativa e, per altro verso, esamina l’accesso o il mancato accesso a partire dalla prima infanzia per poi guardare alla effettiva “raggiungibilità” delle scuole entro i differenti scenari, prospettando un’azione di attivazione per “ricucire il paese”, appunto, a partire dal rendere effettivo, fin dall’età precoce, l’accesso alla scuola che la Costituzione garantisce a tutti/e. 

Sulla scia della tradizione degli Atlanti, Save the Children, nell’atlante 2018(18),  esamina la crisi strutturale dell’educare e l’incapacità del nostro sistema di compensare, in età precoce, la partenza disuguale e mostra anch’esso le diverse dimensioni delle “periferie educative” intese come paesaggi complessi dove bambini/e e ragazzi/e poveri/e si trovano “lontano da….”.

Più in generale, molte evidenze (riportate in letteratura e/o registrate da chi opera nei quartieri difficili e nelle scuole con bambini e ragazzi in condizione di fragilità) ci parlano di un paesaggio di esclusione educativa a “macchia di leopardo” che riguarda – in forme molto diversificate e che meritano studio e riflessioni dedicate – aree interne, campagne de-industrializzate, aree urbane (a loro volta articolate in aree protette e aree escluse secondo trame complesse e anche mutanti).

Se la concentrazione di questi dati negativi nelle differenti aree povere riguarda centinaia di migliaia di persone in tutto il Paese, la situazione nel Mezzogiorno è di particolare gravità, coerentemente con la crescita del divario Nord/Sud e con la condizione di abbandono del nostro Sud, favorito dal drenaggio delle risorse verso Nord e da gravissime responsabilità, nel mancato uso di risorse, da parte delle amministrazioni regionali e dell’insieme della politica e delle classi dirigenti del Mezzogiorno, con rare eccezioni nello spazio e nel tempo.

Questa scena, già preoccupante, appariva prima della crisi ulteriormente aggravata dalla prospettiva, allora molto minacciosa, di un regionalismo ineguale. Infatti gli accordi fin lì pattuiti da parte dello stato, in materia di autonomia regionale, sono largamente basati sulla “spesa storica”, che è già ineguale in campi decisivi per la “buona crescita” e per l’educazione quali sanità, welfare e scuola e non sono compensati da ragionevoli accordi nazionali sui LEP (livelli essenziali di prestazioni dei servizi). 

In ogni campo ma in campo educativo in particolare questa prospettiva appare inaccettabile perché penalizzerebbe gravemente territori, famiglie e bambini poveri – in particolare nel Mezzogiorno ma non solo – in contrasto con l’art. 3 della Costituzione. E’ una scena che smentirebbe tutta la tradizione in materia di educazione della Repubblica e anche dello stato unitario fin dal suo sorgere. 

La scena, fin qui descritta, di una crescita della disuguaglianza in educazione presente prima della crisi da Covid-19, purtroppo riceve una conferma dall’ultima rilevazione sul peso percentuale generale degli ELET(19)  riferita al 2017. Il trend, per la prima volta in 30 anni, riprende a salire, ritornando a oltre il 14% (con una conferma di una percentuale oltre il 20% nel Sud) – un indizio davvero grave perché conferma che questa situazione di minorità educativa non è transitoria, anzi. Il carattere strutturale del fallimento formativo acquista ancor più peso perché ci troviamo in situazione di squilibrio demografico: facciamo pochi figli e ancora troppi di questi vivono un fallimento formativo che ne condiziona pesantemente la vita. E poiché a cadere fuori dal sistema d’istruzione e formazione sono quasi sempre i figli di genitori poveri con bassi livelli d’istruzione e che vivono in situazioni multi-fattoriali di esclusione, la nostra scuola mostra di avere molto indebolito o addirittura perso la sua decisiva funzione democratica di ascensore sociale.

È un allarme presente – ben prima del recentissimo release dei dati INVALSI relativi alle classi di scuola media di II grado – anche in misurati documenti ufficiali. Il Rapporto sul contrasto del fallimento formativo e della povertà educativa redatto dalla Cabina di regia del MIUR(20)  – che ha visto un largo confronto del Ministero con scuole, esperti, comuni, regioni, privato sociale sulle esperienze già in campo oltre che sull’analisi dei dati – è solo l’ultimo(21) di una lunga serie che le istituzioni hanno curato nel tempo e che racconta la gravità della situazione e mostra le misure per affrontarla.

Per sintetizzare, in poche righe, questo ripetuto “grido di dolore” che viene di fatto raccolto dalle istituzioni ma resta inascoltato, riporto le prime frasi del Rapporto del MIUR del gennaio 2018:

È tempo per una grande politica nazionale tesa a battere il fallimento formativo in Italia. Affermare – attraverso costanti e ben articolate politiche pubbliche – l’obiettivo di battere il fallimento formativo – significa occuparsi bene del nostro oggi e guardare lontano. Non si tratta solo di trovare soluzione a un problema del nostro sistema scolastico che dura da decenni ma di puntare alla crescita dell’Italia in un’ottica di equità e nel rispetto dell’art. 3 della Costituzione della Repubblica in accordo con tutti gli indirizzi di politica economica”.

Durante il Covid-19

E’ in questa situazione, già caratterizzata da una scuola troppo ineguale, che è intervenuta la crisi attuale, che vede  un aumento rapidissimo delle inuguaglianze e povertà già in essere. E’ utile ricordare, in breve il trend che purtroppo stiamo registrando. 

In Italia hanno interrotto la scuola 9.040.000 bambini/e e ragazzi/e oltre 1 milione di bimbi/e dei nidi e dei servizi educativi della prima infanzia. In concreto, come già ricordato, i bambini/ e ragazzi/i in condizioni di povertà relativa erano 2.192.000 e in condizione di povertà assoluta 1.262.000. Oggi, a oltre 2 mesi dall’avvio della crisi, l’attuale riflessione ci dice che vi è rischio immediato che un milione cada dalla prima alla seconda di queste condizioni(22) e che si stia producendo anche un “travaso” da chi era di poco sopra la soglia di povertà verso la povertà relativa. Inoltre sono diventate più fragili altre categorie più vulnerabili. I bambini e ragazzi con disabilità e bisogni educativi speciali accompagnati a scuola dal sostegno sono 273.000 e si sono trovati in una condizione di nuova, forte, a volte drammatica esclusione. I bambini/e e ragazzi stranieri che frequentano le scuole e sono a maggior rischio di non essere raggiunti sono 819.000 mila. Non vi è stata solo – nonostante il buon lavoro delle scuole che ha dato dotazioni e connessione a tanti, grazie a un rapido finanziamento ad hoc delle scuole che hanno raggiunto le famiglie – solo questione di connessioni mancanti o povere rispetto al bisogno, che pure è un problema. Vivono in case piccole e affollate, soffrono dell’isolamento per disabilità e fragilità o per differenza di cultura e di lingua o per la vita in famiglie povere e oggi ulteriormente aggravate da minaccia di miseria, in zone povere e senza occasioni di riscatto educativo. 

Si tratta di milioni di bambini/e e ragazzi/e che rischiano di crescere in “mondi a parte”, fuori dalla coesione sociale, con i diritti negati. Vi sono tre conseguenze drammatiche: 

  • – sono fermi i principali presidi di cittadinanza della Repubblica. Le scuole – specialmente nelle periferie, nei quartieri poveri e nelle zone interne – sono i primi garanti dell’articolo 3 della Costituzione. Il venir meno delle pratiche concrete dell’accoglienza, ascolto, mediazione e negoziazione che garantiscono una vasta rete di vita civile, nelle scuole e intorno alle scuole, indebolisce fortemente la coesione sociale e territoriale, soprattutto nei luoghi dell’esclusione multi-fattoriale; 
  • – aumentano le disuguaglianze tra scuole, tra classi, tra bambini/e. La scuola “dematerializzata” sta ingigantendo i molti volti dell’esclusione in istruzione ed educazione(23) perché le disuguaglianze corrono anche su internet(24).  Ancor più di prima, le condizioni socio-economiche delle famiglie influenzano la capacità dei bambini/e dei ragazzi/e di imparare e sentirsi parte di una comunità;
  • – viene meno un luogo unico per poter elaborare – insieme ai coetanei e con l’accompagnamento di adulti esperti e significativi – le difficoltà, spaesamenti e paure e anche le capacità di reazione di un’esperienza nuova per l’umanità intera.

Così, come ha scritto il Forum Disuguaglianze e Diversità, la crisi da COVID-19 sta ponendo un’alternativa: o si va verso una crescita delle disuguaglianze educative, della povertà educativa, del fallimento formativo, oppure vi è una vera inversione di tendenza che ci porta verso una scuola nuova, ad un tempo aperta, egualitaria e rigorosa, dove si impara meglio, entro la prospettiva di comunità educanti larghe e evolute basate sull’alleanza, territorio per territorio, tra agenzie del terzo settore-comuni-scuole.

Al tempo stesso, sono presenti due scenari positivi, che evidenziano una grande capacità reattiva da parte di chi si occupa di educazione:

 – molte scuole hanno saputo rafforzare la propria funzione di “presidio repubblicano”, anche in territori difficili, molti docenti sono attivi a distanza e lavorano in autonomia, anche attraverso reti cooperative orizzontali tra docenti, tra scuole, e con soggetti del territorio, per raggiungere i propri alunni/e, anche quelli in difficoltà per ragioni di fragilità sociale, culturale, personale. Come spesso è accaduto nella storia dell’educazione, l’innovazione sorge da un radicale cambiamento. In questo periodo migliaia di classi – dalla scuola d’infanzia alle superiori – stanno riannodando le comunità di apprendimento e la circolarità di studio tra docenti e ragazzi/e tra ragazzi/e, in grandi e piccoli gruppi, in assetti diversi dalla lezione frontale, con un tasso alto di innovazione, non solo legato all’uso di device o della rete ma alla didattica e agli assetti relazionali;

  • – la lotta alla povertà educativa minorile sta continuando nonostante condizioni molto difficili. Stanno sorgendo ovunque esperienze, attività e proposte per raggiungere bambini/e ragazzi/e nelle vaste aree dell’esclusione. In particolare, le alleanze che da più tempo hanno saputo consolidare progressivamente partenariati tesi allo sviluppo educativo locale in quartieri difficili stanno mostrando una capacità speciale di contrastare le disuguaglianze aggravate dalla situazione. Sono comunità educanti già strutturate, fondate su partenariati – in particolare quelli creati grazie al fondo per la lotta alla povertà educativa minorile – tra scuole, agenzie del terzo settore, comuni, esperienze di sport, teatro, musica, arte, ecc. Si stanno mostrando capaci di mobilitare più figure professionali insieme, cooperare con le famiglie e raggiungere ogni bambino/a e ragazzo/a grazie a rapporti di fiducia costruiti tra scuola e fuori scuola, risolvendo, a tal fine, i problemi tecnici, relazionali, organizzativi.

 

Se, dunque, l’obiettivo primario di questa fase resta quello di evitare che le già elevate disuguaglianze, nell’accesso e nella qualità dell’istruzione, non si amplino ancora, non si possono trascurare le opportunità che essa apre per l’avvio di una nuova stagione di impegno nazionale per una scuola inclusiva, innovata e rigorosa.

 

 

note

1 ISTAT, 2017

2 UE, Strategia di Lisbona, Consiglio Europeo, 17 dicembre 2010

3 Un possibile indizio della capacità del sistema nel suo complesso e della scuola in particolare, di intervenire con una discriminazione positiva sugli apprendimenti e sull’acquisizione delle competenze può essere il livello di varianza tra scuole quale emerge dalle indagini nazionali e internazionali. Ebbene, la varianza tra scuole indica il tasso di variabilità dei risultati degli studenti nelle prove nazionali. Si tratta di analisi che vanno intrecciate con gli indici socio economico culturali delle scuole e degli studenti. In estrema sintesi si può affermare che la varianza all’interno delle classi può essere ricondotta alle caratteristiche individuali degli alunni mentre la varianza tra scuole indica la capacità del sistema di intervenire in maniera perequativa. Chiarisce INVALSI: La variabilità tra scuole e classi è un importante indicatore del grado di equità del sistema educativo, cioè della sua capacità di assicurare a tutti gli studenti eguali condizioni di insegnamento- apprendimento, almeno nel tronco comune del percorso scolastico… (in un sistema scolastico ideale) tutta la variabilità dei risultati si ritroverebbe all’interno delle classi e delle scuole, mentre la variabilità tra queste ultime sarebbe nulla o quasi. È questa la situazione che si avrebbe se tutti gli alunni fossero assegnati alle scuole e alle classi in maniera completamente aleatoria, indipendentemente dallo status sociale e dal grado di capacità di ciascuno. Le prove nazionali standardizzate somministrate dall’INVALSI evidenziano una variabilità dei risultati che raggiunge picchi significativi nelle aree del Sud. La varianza tra le scuole in seconda primaria in matematica al Sud raggiunge il 22.4, nelle isole il 28.2 mentre nel Nord Ovest arriva solo al 9.8 (INVALSI, Rilevazioni nazionali sugli apprendimenti).

Queste differenze parlano chiaramente di una sostanziale omogeneità di provenienza socio economico culturale degli alunni all’interno delle singole scuole (sia in termini di provenienza famigliare sia in termini di omogeneità nell’offerta territoriale di servizi, occasioni di apprendimento informale, offerta culturale, sociale, di aggregazione). Se dunque la varianza tra scuole rappresenta le differenze tra territori, i risultati che ci forniscono le prove nazionali relative alla classe seconda della primaria testimoniano del divario esistente nelle condizioni di partenza dei nostri alunni. Differenze in ingresso che, se si replicano uguali in uscita, indicano che il sistema (scuola, altre agenzie formative, servizi culturali territoriali etc.) rappresenta e riproduce il reale senza riuscire ad intervenire in maniera decisiva. Una bassa varianza tra scuole e classi è, infatti, considerata misura dell’equità di un sistema, indica la capacità dello Stato di offrire strumenti perequativi, di modificare la forbice sociale. Così, se si esaminano i ragazzi con i livelli più bassi di competenza in matematica di base e nella lettura/comprensione (low achievers), il 36% dei 15enni figli di poveri non raggiungono le competenze minime in matematica e il 29% in lettura e comprensione di semplici testi. E, ancora una volta, vi è un forte divario territoriale: i 15enni con basse conoscenze in lettura e in matematica sono, rispettivamente, il 23% e il 20% ma al Sud sono il 34 % e il 30%. (OCSE, PIAAC-OCSE Programme for the International Assessment of Adult Competencies, 2015).

 

4 La definizione di povertà educativa e la costruzione dell’Indice IPE sono state elaborate da Save the Children con il concorso di un comitato scientifico composto da: Andrea Brandolini (Banca d’Italia), Daniela del Boca (Università di Torino), Maurizio Ferrera (Università di Milano), Marco Rossi-Doria (Esperto di educazione e integrazione sociale), Chiara Saraceno (Università di Torino). Per la costruzione dell’IPE 2016, è stata adottata la metodologia AMPI (Adjusted Mazziotta-Pareto Index) ideata da ricercatori dell’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT), e applicata nel rapporto BES 2015. Consiste nell’aggregare, attraverso una media aritmetica corretta da una funzione di penalità, i singoli indicatori opportunamente standardizzati grazie alla nota metodologia Min-Max aggiustata in mo-do che il valore di riferimento sia pari a 100. Tale standardizzazione consente di effettua-re confronti spazio-temporali. La metodologia AMPI si basa sull’ipotesi che gli indicatori elementari scelti per rappresentare il fenomeno multidimensionale non siano sostituibili e che abbiano la stessa importanza teorica e statistica. Tale approccio “non compensativo” penalizza le unità geografiche che presentano un andamento sbilanciato degli indicatori standardizzati. La classifica riflette quindi il punteggio di ciascuna regione nell’indice ri-spetto al valore nazionale. Punteggi superiori a 100, indicano maggiore povertà educativa.

 

5 Per la definizione della povertà educativa in quanto fenomeno a sé stante, il riferimento comune di tante produzioni scientifiche, anche nell’ambito di pubblicazioni prodotte da enti appartenenti al sistema statistico nazionale, è rappresentato dalla definizione prodotta da Save the Children nel 2014 (Save the Children, La lampada di Aladino. L’indice di Save the Children per misurare le povertà educative e illuminare il futuro dei bambini in Italia, Roma, 2014), che definisce tale fenomeno come “la privazione, per i bambini e gli adolescenti, della opportunità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni”. In tale definizione di Save the Children, la povertà educativa assume un carattere fortemente “multi-dimensionale”, in riferimento ad almeno due fondamentali fonti di ispirazione. Da un lato, si fa riferimento alla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (1989),che in due diversi articoli si sofferma sul diritto del minore all’educazione: “Hai diritto ad avere un’istruzione/educazione” (art. 28); “Hai diritto a una educazione che sviluppi la tua personalità, le tue capacità e il rispetto dei diritti, dei valori, delle culture degli altri popoli e dell’ambiente” (art. 29). Dall’altro, la definizione prodotta da Save the Children si poggia sulla teoria delle social capabilities, ispirata dal pensiero di Amartya Sen e che trova in Martha Nussbaum un suo epigone (M. Nussbaum, Creare capacità, Bologna, Il Mulino, 2014). Secondo l’approccio teorico della Nussbaum, la possibilità di giungere ad una effettiva uguaglianza sociale passa anche attraverso la promozione della libertà individuale, intesa in senso positivo come l’opportunità, aperta a tutti, di realizzare i propri progetti di vita. È evidente che la soddisfazione di questo tipo di opportunità non richiede solamente risorse economiche, ma anche risorse culturali e “riflessive”, di capacità di discernimento, comunque necessarie alla realizzazione personale e al raggiungimento della piena cittadinanza. Seguendo la logica sottesa alla definizione complessa sopra indicata, la povertà educativa si manifesta come una privazione di quelle competenze cognitive fondamentali per poter crescere e vivere in una società complessa e dove le disuguaglianze crescono e richiedono competenze in termini di capacità reattive, di resilienza, ecc.

6 ISTAT, La povertà in Italia, 2017

7 L’indicatore utilizzato è stato elaborato dall’Istat per Save the Children e contabilizza le percentuali di minori tra i 6 e 17 anni che nell’anno precedente hanno svolto meno di 4 tra le 7 attività considerate (sport in modo continuativo, internet ogni giorno, teatro, concerti, musei, siti archeologici, lettura di un libro). Fonte Istat, 2017.

8 La percentuale di bambini tra i 0 e 2 anni che usufruiscono dei servizi per l’infanzia, nidi e servizi integrativi, comunali o strutture private convenzionate o sovvenzionate dal settore pubblico, mentre sono esclusi dalla rilevazione gli utenti del privato tout-court. Istat, 2018.

9 Per tempo pieno si intende 30 ore di servizio scolastico o più. MIUR, 2017.

10 Sono esclusi gli alunni delle scuole superiori di secondo grado. Qui l’indicatore è del MIUR, che misura la fruizione da parte degli alunni della mensa scolastica, indicativo della reale accessibilità del servizio di refezione. MIUR 2017.

11  Un valore minore a 0 nell’indice PISA della qualità delle infrastrutture indica una scuola inadeguata per l’apprendimento, rispetto allo stato degli edifici, ma anche lo spazio studio (classi), il funzionamento della cucina, del riscaldamento, dell’elettricità. OCSE PISA, 2015.

12 Per connessione ad internet si intende ADSL 7 Mbps o più (Fibra Ottica, Satellite etc.). Sono comprese le scuole primaria e secondaria. MIUR, 2015.

13 Eurostat, Early school leavers, 2018

14 Per competenze minime, si intendono i livelli 1-2 ai test PISA sotto il punteggio di 420 in Matematica. Fonte OCSE PISA, 2015.

15 Per competenze minime, si intendono i livelli 1-2 ai test PISA sotto il punteggio di 408 in Lettura. Fonte OCSE PISA, 2015.

16 INVALSI, Rilevazioni nazionali degli apprendimenti 2016-17. Risultati, 2018.

17 https://www.openpolis.it/esercizi/la-condizione-dei-minori-in-italia/

18 Save the Children, Atlante dell’Infanzia a rischio, le periferie dei bambini, a cura di Giulio Cederna, Treccani, 2018

19 ISTAT, 2018

20 http://www.miur.gov.it/documents/20182/0/Rapporto+sul+contrasto+del+fallimento+formativo/7575f155-63f9-479a-a77f-1da743492e92?version=1.0)

21 Cfr. Draghi, M. Istruzione e crescita economica, Lectio magistralis presso l’Università di Roma La Sapienza, 9 novembre 2006. https://www.bancaditalia.it/interventi/integov/2006/091106/Draghi_09_11_06.pd, 2006. Camera dei Deputati, Doc. XVII, n. 6, documento approvato dalla VII Commissione permanente (Cultura, Scienza e Istruzione) nella seduta del 21 ottobre 2014a conclusione dell’Indagine conoscitivadeliberata nella seduta del 16 aprile 2014 sulle strategie per contrastare la dispersione scolastica. Il testo dell’indagine è reperibile all’indirizzo: http://documenti.camera.it/leg17/resoconti/commissioni/stenografici/pdf/07/indag/c07_dispersione/2014/10/21/leg.17.stencomm.data20141021.U1.com07.indag.c07_dispersione.0008.pdf

22 https://www.savethechildren.it/blog-notizie/emergenza-coronavirus-un-milione-di-bambini-in-piu-a-rischio-poverta

23 La mappa delle disuguaglianze è stata descritta ( v. Save the Children, Atlante dell’Infanzia a rischio, le periferie dei bambini, a cura di G. Cederna, Treccani, 2017, 2018, 2019) e https://www.openpolis.it/esercizi/la-condizione-dei-minoriinitalia/)ed

24 In base agli ultimi dati dell’Istat, nel 2018-2019 il 33,8% delle famiglie non ha computer o tablet in casa (41,6% nel Mezzogiorno), Con questa situazione si confronta il 12,3% dei ragazzi tra 6 e 17, una quota che raggiunge quasi un quinto nel Mezzogiorno (470 mila ragazzi). Solo il 6,1% vive in famiglie dove è disponibile almeno un computer per ogni componente.

 

 

 

 

 

 

*Insegnante ed esperto di politiche educative e sociali. Già sottosegretario al MIUR con i Governi Monti e Letta. 

 

 

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