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Le competenze dei giovani e il futuro del lavoro

La giovinezza rappresenta la fase progettuale di ogni nuova generazione. Dalla capacità, quindi, di realizzare progetti di vita e professionali solidi dipende la solidità e la prosperità di una comunità, di un territorio, di un paese.

L’Italia è entrata nl XXI secolo senza un progetto coerente di sviluppo all’interno del quale consentire alle nuove generazioni di essere ben orientate nelle scelte formative, di essere dotate di competenze solide (avanzate e trasversali), di poter contare su strumenti efficaci per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, di ottenere piena valorizzazione all’interno delle organizzazioni e delle aziende.

Sono state messe in campo misure di rilievo – come l’Alternanza scuola-lavoro, Garanzia giovani, lo stesso Reddito di cittadinanza – ma realizzate senza un piano ampio nel quale ciascuna iniziativa si inserisse per contribuire a comporre un disegno organico unico, con obiettivi chiari ben definiti da realizzare in modo integrato. Con esiti finali poco efficaci e soddisfacenti se misurati in termini di rafforzamento ottenuto della presenza qualificata dei giovani all’interno del sistema produttivo italiano (o, meglio, dei processi che generano, quantitativamente e qualitativamente, nuovo benessere nel Paese).

I dati del “Rapporto giovani 2020” dell’Istituto Toniolo mettono in evidenza la crescente consapevolezza dei giovani rispetto ai cambiamenti del mondo del lavoro sotto l’influsso dell’innovazione tecnologica, con particolare attenzione alle competenze e ai modelli organizzativi. Un quadro in grande evoluzione, entro il quale si trovano ad operare le proprie scelte formative e professionali. I giovani intervistati, in particolare, mostrano una buona conoscenza delle professioni del futuro ma anche una difficoltà a sentirsi in sintonia con esse e a immaginarle adatte per sé stessi, soprattutto per chi ha titolo di studio più basso. Questo pone una questione sia di formazione che di riqualificazione per una componente rilevante di ragazzi che rischiano altrimenti di rassegnarsi a rimanere esclusi rispetto alle nuove opportunità e a leggere il cambiamento solo in termini di rischi. Va, inoltre, aggiunto che sono soprattutto i giovani con istruzione più elevata ad esporsi maggiormente a esperienze formative informali (sevizio civile, esperienze all’estero, ecc.), utili per rafforzare preziose competenze trasversali che completano e si integrano con quelle avanzate.

Non mancano, quindi, segnali positivi di riconoscimento delle nuove opportunità aperte dal mondo che cambia e dalla rivoluzione digitale, con rischio però che si accentui una polarizzazione sociale e territoriale, che rischia di essere ulteriormente accentuata dall’impatto dell’emergenza sanitaria.

Sempre i dati dell’Istituto Toniolo mostrano come i giovani italiani non solo partano da livelli pre-pandemia di occupazione più bassi in Europa, ma siano anche tra quelli che più temono l’impatto negativo dell’emergenza sanitaria. Oltre la metà degli intervistati teme contraccolpi negativi sul proprio lavoro. Tra gli under 35 in condizione di NEET (quelli che non studiano e non lavorano) durante il primo lockdown oltre il 40 percento ha affermato di aver posticipato dopo il lockdown la ricerca di lavoro e circa un terzo di averla abbandonata.

Come affermato nel Rapporto BES 2020 le giovani generazioni, “oltre a riuscire con difficoltà a trovare un’occupazione, si trovano poi in alcuni casi impiegate anche in professioni non adeguate al proprio livello di istruzione”.  Lo rivela il dato che misura il sottoutilizzo di capitale umano: la percentuale di lavoratori che possiedono un titolo di studio superiore a quello richiesto dall’attività professionale svolta risulta pari a circa il 25% nel secondo trimestre 2020, ma raggiunge quasi il 38% tra i lavoratori di 25-34 anni

Va, inoltre, sottolineato come in larga parte dei giovani italiani vi sia la disponibilità anche ad adattarsi a quello che il mercato offre, ma più che negli altri paesi c’è anche il timore che l’eccessivo adattamento al ribasso possa diventare una condizione permanente senza uscita, che intrappoli poi in percorsi professionali di basso profilo e a rinunciare a realizzare in pieno i propri progetti di vita.

Al di là dei livelli attuali di disoccupazione e sottoccupazione quello che pesa è soprattutto il non sentirsi inseriti in processi di crescita individuali e collettivi, ovvero inclusi in un percorso che nel tempo consenta di dimostrare quanto si vale e di veder riconosciuto pienamente il proprio impegno e il proprio valore (indipendentemente dal genere, dalla famiglia e dal territorio di provenienza).

Se non vogliamo, allora, che le nuove generazioni rappresentino uno svantaggio competitivo – come rivela il record di NEET – ma, al contrario, la forza principale per far tornare il paese a crescere con una spinta più che compensativa rispetto ai freni del debito pubblico e dell’invecchiamento della popolazione, dobbiamo con urgenza agire su tre fronti interdipendenti.

Il primo è quello della formazione, sia con rafforzamento delle competenze di base e avanzate (come quelle digitali) sia di quelle trasversali (come l’apprendere ad apprendere, la creatività, l’intraprendenza).

In secondo luogo va urgentemente ridotto il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro. In carenza di sistemi esperti efficienti di orientamento e supporto negli snodi del percorso di vita e professionale, troppi giovani rischiano di perdersi e di portare nella vita adulta delusioni e frustrazioni anziché energie e competenze per realizzarsi e far crescere il paese.

In terzo luogo, rispetto alla domanda di lavoro, servono imprese che non considerino i giovani come manodopera da impiegare a basso costo e da dismettere facilmente, ma come il carburante principale per alimentare la competitività dell’azienda all’interno dei percorsi più virtuosi di sviluppo sostenibile. Serve, inoltre, la disponibilità a riconoscere il valore aggiunto inatteso che i nuovi entranti possono dare rispetto alle competenze iniziali richieste. Detto in altro modo, le aziende del XXI secolo – qualsiasi sia il settore in cui operano – devono saper evolvere in fabbriche in grado di trasformare la capacità di essere e fare delle nuove generazioni in ricchezza e valore nel mondo in cui vivono.

Quello della scarsa formazione all’interno delle aziende dei nuovi assunti è uno dei punti di debolezza del sistema italiano: viene spesso preferita l’assunzione di manodopera più matura con competenze già direttamente spendibili. All’assunzione dei giovani si ricorre invece come manodopera a basso costo, anziché considerarli risorsa ad alto potenziale quando adeguatamente formati e valorizzati.

Il sistema Italia esprime una bassa domanda di qualità nei confronti delle nuove generazioni. Ciò è anche legato al basso investimento in ricerca, sviluppo e innovazione, causa e conseguenza di una minor espansione strategica dei settori più dinamici e competitivi nei quali capacità e competenze delle nuove generazioni possono fare la differenza.

Per agire con successo su questi tre fronti è necessario che i giovani abbiamo chiara la necessità di essere pronti per il lavoro di oggi e prepararsi nel contempo a quello di domani, ma anche che le aziende siano pronte per utilizzare al meglio le competenze che i nuovi entrati hanno oggi e investire nel contempo nello sviluppo di quelle che saranno ancor più utili domani.

Questo vale ancora di più nel cambiamento di scenario prodotto dalla pandemia.  Da un lato è necessario un ripensamento delle competenze subito necessarie alle aziende che devono ripartire e per nuovi servizi richiesti nell’organizzazione sociale post Coronavirus. D’altro tempo è importante definire quali competenze avanzate saranno necessarie per rendere competitivo il paese a regime nel new normal.

I dati dell’Istituto Toniolo già citati, oltre ai timori per l’impatto sui percorsi lavorativi e i progetti di vita, fanno emergere anche segnali incoraggianti. Sul piano personale si riscontra in molti giovani la voglia di reagire positivamente, di guardare oltre i limiti della normalità passata, assieme ad una maggiore propensione a far fronte ai cambiamenti e a riconoscere nuove opportunità.

Rispetto al sistema economico e sociale, intravedono un possibile impulso positivo sul fronte delle competenze digitali, dell’innovazione tecnologica e della transizione verde. Si tratta di temi sentiti vicini e propri dalle nuove generazioni, forte è quindi anche il desiderio e l’auspicio di essere coinvolte come parte attiva di una nuova fase di crescita del Paese.

Deludere queste aspettative significa, per un paese che ha accumulato così tanti squilibri come il nostro, perdere l’ultima possibilità per inserirsi nei processi più virtuosi di sviluppo nel resto di questo secolo ed evitare il rischio di scivolare definitivamente ai margini.

* Professore di Demografia alla Facolta’ di Economia Universita’ Cattolica

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