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Atene contro Sparta, vinse la città’ democratica

Le vicende di questi giorni portano gli appassionati di storia a rivedere analoghe vicende del passato. Si parla oggi di conflitto fra le società democratiche, stabilite soprattutto nel Nord America, in Europa, in Australia e Giappone; e le società autocratiche o apertamente dittatoriali, più o meno diffuse in tutto il resto del pianeta. L’occidente democratico ha buoni motivi per sentirsi accerchiato ed è in difficoltà nel sostenere la bontà del sistema democratico, perché le società autocratiche appaiono essere più efficienti, più rapide nel deliberare, sembra che forniscano maggiore sicurezza ai cittadini, e per queste ragioni attirano simpatie.

            Una situazione analoga si verificò nel mondo mediterraneo nel V secolo a. C. Allora le società rette da sistemi democratici erano rappresentate da Atene, da poche città dell’Attica e da alcune isole dello Ionio. Tutto intorno a questo piccolo mondo democratico che era caratterizzato da un’assemblea popolare, da un consiglio eletto dal popolo, da istituzioni e magistrature elettive e di breve durata, c’era il vasto mondo delle città e degli Stati assolutamente non democratici. Ci si riferisce a Sparta, alle città del Peloponneso, ai piccoli Stati del nord della Grecia, quali la Macedonia e all’ingombrante vicino Impero persiano, realtà politiche rette da ristrette oligarchie familiari che detenevano il potere da secoli. 

Ma non erano solo le istituzioni a distinguere le città-Stato democratiche da quelle che non lo erano; in queste la popolazione cittadina era nettamente distinta in classi sempre invalicabili; non parlo degli schiavi, che erano presenti e numerosi anche in Atene; parlo, per fare un esempio, della suddivisione, in Sparta, dei cittadini in spartiati ed iloti. Un ilota non sarebbe mai giunto ai vertici della politica della città, che spettava per legge agli spartiati.

            A Sparta la vita scorreva lenta e noiosa: era proibito l’uso del danaro, l’uso di gioielli, di vesti colorate e di cosmetici. Non c’erano scuole private (a sette anni i maschietti erano affidati per l’educazione militare allo Stato), non c’erano teatri ma abbondanza di palestre e di campi paramilitari; ai cittadini era vietato uscire dai confini della città senza una valida ragione e gli stranieri non erano ben visti in città. Era, questo, il cosidetto kosmòs spartano.

Vivere ad Atene non era facile: le strade piene di botteghe e mercanti, greci, fenici, egiziani, (il Pireo era il porto più grande dell’occidente), dovunque confusione, continue assemblee popolari, circoli privati (le eterie) dove si costruivano intrallazzi e si preparavano tranelli per gli avversari politici. E poi: scuole di filosofia e filosofi itineranti e sofisti, matematici che studiavano astruserie incomprensibili, poeti, storici, drammaturghi che fustigavano il degrado dei costumi, commediografi dalla penna feroce contro i politicanti, e naturalmente scuole private, scuole di disegno, di pittura, di scultura, decine e decine di botteghe di artisti che producevano una ceramica innovativa che tutto il mondo acquistava, statue e bronzi. E grandi maestri che innalzarono teatri, templi e gigantesche statue crisoelefantine. C’era anche il medico condotto in Atene. Con questa società frenetica anzi “tarantolata” Atene costruì un impero marittimo, si arricchì di molto e giunse a sfidare il Gran Re persiano battendolo più volte in battaglia.

La convivenza di due sistemi tanto diversi era impossibile: le élites autocratiche delle città-Stato della Grecia temevano il contagio; il Gran Re persiano era infastidito dal rifiuto delle città della Ionia, protette da Atene, di pagare il tributo. Dopo una infinità di reciproche provocazioni (non si pensi che Atene se ne stesse buona e tranquilla) scoppiò, sul finire del V secolo, la inevitabile guerra le cui cause immediate nessuno seppe dire, le cause remote indicavano che la impossibile convivenza dei due sistemi politici ed economici era arrivata al limite; non si poteva più andare avanti: occorreva uno showdown che indicasse quale sistema era superiore. Fu una guerra lunga 30 anni, con morti e distruzioni in un campo e nell’altro; il Gran Re, apparentemente neutrale era naturalmente dalla parte di Sparta e la sosteneva finanziariamente.

Atene perse la guerra, ma Sparta non la vinse. Il mondo greco non si riprese più; altre potenze si fecero avanti per alcune effimere stagioni, finchè tutta la Grecia finì nel dominio dei Macedoni. E qui avvenne qualcosa di miracoloso: la civiltà di Atene fu portata dappertutto per il mondo dalle armate di Alessandro; la lingua, la cultura, l’arte di Atene produssero quel fenomeno grandioso noto come l’ellenismo. Poi dall’oriente mediterraneo quella cultura passò a Roma, che la fece propria, la rielaborò e le diede ancora sette secoli di vita.

Di Atene ci è rimasto (non tutto ma) molto: la filosofia, l’etica, il gusto della poesia e della drammaturgia, l’arte, i trattati di politica di Platone ed Aristotele, la geometria euclidea, le scoperte scientifiche. Dalla riscoperta che gli umanisti hanno fatto dei testi della cultura greca sono sorti l’Umanesimo prima e il Rinascimento poi, che hanno liberato l’uomo dalle strettoie del pensiero medioevale, non solo politico. Questo immenso patrimonio dell’umanità è giunto a noi, e noi siamo da esso conformati, noi siamo gli epigoni della cultura greca, che fu principalmente cultura di Atene.

Cosa ci hanno lasciato Sparta, Argo, Corinto, le città del Peloponneso, della Beozia, della Tracia? Quale pensiero politico, artistico, latamente culturale, ci è pervenuto dalle città-Stato autocratiche? quale patrimonio culturale ci ha lasciato l’impero persiano? E in ultima analisi: chi ha vinto la gara della storia?

E qui l’appassionato di storia torna, purtroppo, alla realtà di oggi. La sfida mi sembra la stessa di 25 secoli fa: da questa parte c’è il caos creativo delle società occidentali, l’instabilità politica, la libertà di movimento e di stabilimento, la libertà d’impresa, la libertà di espressione, il rispetto dei diritti umani, delle minoranze di ogni tipo, il sostegno ai più deboli. 

E dall’altra? Ciascuno sa concludere da sé.

*Claudio Di Biase, studioso di storia antica e moderna, avvocato

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