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Evasione stabile sopra 100 miliardi in italia

Il verdetto è secco, drammatico, incontrovertibile: l’evasione fiscale nel nostro Paese continua ad aumentare, e il recupero delle somme sottratte al fisco malgrado sia a sua volta in lieve incremento è insufficiente. La somma- choc è di 109 miliardi di media nei tre anni fra il 2012 e il 2014, un quarto di tutte le imposte dovute, «ma è una somma destinata ad  accrescersi », dice Enrico Giovannini, che ha presieduto la commissione sull’ evasione fiscale del ministero dell’Economia. La settimana scorsa ha presentato la sua relazione, parte integrante dei documenti del Def.

Perché la somma, già spaventosa, salirà?

«Per due motivi. Intanto, l’Istat ha recentemente rivisto le stime del Pil per il 2014 “scoprendo” che l’economia italiana non era in recessione ma in lieve crescita. Quindi il Pil era maggiore di quanto reso noto in precedenza. Ora, visto che le tasse pagate sono quelle che sono, e non possono cambiare, all’aumentare del Pil aumenterà il “gap” fra le somme dovute, percentuali del Pil stesso, e quelle pagate. Usciremo con un aggiornamento

nei prossimi giorni per consentire al Parlamento di usare questi dati nella discussione della legge di bilancio. Secondo punto: la commissione si è insediata solo il 7 giugno, e abbiamo potuto esaminare, per motivi di tempo e di possibilità operative, solo alcune tipologie di imposte: Irpef da lavoro sia autonomo che dipendente, Ires, Iva, Irap e Imu, oltre ai contributi. È circa il 70% del volume fiscale complessivo. Mancano all’appello importanti voci come le imposte sostitutive sui redditi da capitale e sulle plusvalenze, la cedolare secca, il registro, il bollo, le ipoteche, il canone Rai, i proventi del lotto, le addizionali locali. Di conseguenza, l’evasione totale è ben superiore ai 109 miliardi citati nella relazione» 

Il termine “gap” è equivalente a evasione?

«Indica la differenza fra le tasse dovute e quelle pagate, ma ci sono da considerare gli errori, i ravvedimenti, le dichiarazioni presentate su cui però non sono state pagate tutte le imposte entro i termini, le sovrastime delle esenzioni. Però in sostanza possiamo dire che sì, la somma indica l’evasione. Il 24%, quasi un quarto delle tasse dovute, non finisce al fisco». C’è anche un altro “gap”, quello temporale. Come mai producete dati vecchi di due, tre anni?

«Sono cifre complesse da elaborare. Noi partiamo dai dati dei conti nazionali elaborati dall’Istat, che comprendono l’economia “non osservata”, a sua volta distinta tra l’economia sommersa e le attività illegali (produzione di droga, prostituzione, corruzione). Attraverso complessi calcoli si risale alle basi imponibili e poi, applicando le aliquote, si risale al gettito teorico. I nostri metodi di calcolo sono fra i più avanzati e tempestivi d’Europa. Anche il mitico Internal Revenue Service americano lavora su dati assai più vecchi».

Ma quali sono i settori economici a maggior rischio di evasione?

«Secondo l’Istat le quote più elevate di economia “non osservata” sono nelle attività varie di servizi come quelli alle persone forniti dalle badanti, con il 33,6%, e poi in commercio, alberghi e pubblici esercizi (25,9%), nelle costruzioni (23,5) e nei servizi professionali (19,8). L’Istat attribuisce all’economia “non osservata”, in cui si annida buona parte dell’evasione, 211 miliardi di euro, di cui 99 derivano da sottodichiarazioni del fatturato e dei redditi, 77 da lavoro irregolare e 17 da attività illegali». Un’analisi di questo tipo in che misura aiuta nella lotta all’evasione? «L’idea di valutare ufficialmente l’evasione e l’esito delle azioni di contrasto, per poi destinare i ricavi a un fondo finalizzato alla riduzione delle tasse pagate dagli onesti, era stata formulata dalla commissione che avevo presieduto nel 2011 per il governo dell’epoca. La delega fiscale del 2014 ha trasformato quell’idea in legge e il rapporto di quest’anno contiene già molti dati per capire il fenomeno. La nostra commissione, diventata ora permanente, continuerà a lavorare per affinare le stime. Quest’anno, il fondo per la riduzione delle imposte è stato quantificato dal governo in circa 300 milioni».

Perché?

«Solo 4,5 miliardi possono dirsi realmente recuperati, su oltre 100 evasi, perché provenienti dalla riscossione coattiva, le cartelle esattoriali. Il resto è arrivato da versamenti diretti in seguito ad accertamenti e ravvedimenti per errori e dimenticanze. Nei 10 miliardi sono compresi poi i 4 della voluntary disclosure, che sono una tantum». Quali sono le tasse più evase? «Beh, solo di Iva mancano all’appello 40 miliardi, tre volte la manovra appena varata. È uno dei casi peggiori in Europa. Ma anche l’Imu è stata evasa per 4 miliardi nel 2012 e per 5,2 nei due anni successivi. Anche l’Irpef, ovviamente quella sul lavoro autonomo, è in accelerazione: 26,2 miliardi evasi nel 2012, 28,1 nel 2013, 30,7 nel 2014. Con una “propensione ad evadere” inquietante: arriva nell’ultimo anno a sfiorare il 60%. Una precisazione: non vuol dire che il 60% dei lavoratori autonomi siano in odore di evasione, ad esserlo è il 60% degli importi dovuti. Fra le altre voci, l’Ires evasa nel 2014 è stata di 10 miliardi e l’Irap di 8». 

E i contributi? A proposito di somme recuperate, c’è nella vostra relazione il dato del 2015, i 14,9 miliardi di cui si fa tanto vanto il presidente del Consiglio. Però si legge fra le righe un certo scetticismo.

«I dati del 2014 parlano di circa 10 miliardi. È fra le voci più difficili da calcolare, vista la polverizzazione delle aziende: nel 2014 le 142mila ispezioni mirate su aziende sospette hanno fatto emergere 78mila lavoratori irregolari, cinquemila in più di quelli in regola. Con l’aumento dell’occupazione irregolare stimata dall’Istat per il 2014 sulla base dei dati rivisti, il dato è destinato a crescere».

Cosa ne pensa della prospettata chiusura di Equitalia, operazione che per ora sembra piuttosto confusa?

« Bisogna attendere il decreto fiscale, perché il diavolo sta nei dettagli. Il problema è nelle direttive che il governo e l’Agenzia delle Entrate devono dare al soggetto che riscuoterà le imposte. L’incertezza sulla transizione al nuovo regime non aiuta certamente a chiarire la strategia che si intende seguire per la lotta all’evasione» .

Infine, il semi-condono della voluntary disclosure bis con l’allargamento al cash che rischia di premiare riciclatori e corrotti che tengono il malloppo in cassetta di sicurezza.

«Tutte le analisi svolte a livello internazionale mostrano che i condoni possono avere un effetto positivo di breve termine, ma poi il gettito strutturale tende a diminuire. Bisogna capire in dettaglio come sarà il provvedimento, così da capire se si tratta di un condono o meno».

 

 (*) Giovannini è stato Presidente dell’Istat e Ministro del Lavoro; qui è intervistato da Eugenio Occorsio, il 24 ottobre 2016 su La Repubblica

 

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