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Una bella esperienza di equilibrio e tenacia

Caro Raffaele, la morte di Franco Marini mi sommerge di ricordi.

Quando frequentai il Centro Studi di Firenze, nel ‘65, Vito Scalia voleva che facessi la mia sperimentazione, a Roma, in Federpubblici. La Fim di Torino e quella nazionale si opposero e restai a Torino. Marini, proprio nel ’65, arrivo alla Federpubblici e divenne subito Segretario generale aggiunto. Ci sfiorammo e non ci incontrammo. In quegli anni era in corso un forte e radicale confronto nella Cisl tra conservatori e innovatori. Tra Storti, segretario generale della Cisl, e Macario, che arrivò dalla segreteria confederale a guidare la Fim. La dialettica era serrata e la contrapposizione dura, esplicita e pubblica.

In comune avevamo la provenienza. Pressoché tutti venivamo dagli oratori e dall’Azione Cattolica. Tutti eravamo contro i fascisti e i comunisti. Con quelli eravamo radicalmente antitetici, con questi radicalmente concorrenziali. Il Concilio Vaticano II  (con papa Giovanni XXIII) ci aveva insegnato a distinguere tra errore (da combattere) e errante (da rispettare).

Marini aveva una visione “romana” del sindacato e, come la maggioranza Cisl di quel momento, più politica che contrattuale.

Negli anni ’60 e fino al ’72 si oppose decisamente alla prospettiva della riunificazione sindacale come avanzava in Fim, nelle categorie industriali e in molte Unioni del Nord. Una unità costruita dal basso, con i delegati eletti in ogni squadra, reparto, ufficio su scheda bianca, senza indicazione di appartenenza. Con una forte autonomia dai partiti (e non solo dai governi e dal padronato).

Finché restò aperta questa possibilità tra i metalmeccanici, la contrapposizione in Cisl fu determinata e drammatica. Nel ’72 Scalia arrivò a un passo dalla scissione guidando il pubblico impiego (con Marini), i braccianti, gli elettrici e le Unioni del Sud contro il Nord e le categorie industriali.

A Spoleto il Consiglio Generale Cisl si spaccò esattamente in due. In quello successivo, Storti, che aveva sposato entro certi limiti l’ipotesi unitaria, vinse per un solo voto. Tutto rientrò in una relativa normalità quando, sempre tra il ’72 e il ’73, la Fiom fu bloccata nel processo unitario immaginato con Fim e Uilm dal divieto della Cgil, che subì un vero diktat dal Pci.

Nel ’73, Marini entrò nella segreteria confederale con Storti, segretario generale, e Macario, segretario generale aggiunto. Fallito il progetto rivoluzionario di una Flm, autonoma dai partiti, si profilò la più articolata e governabile Federazione Cgil-Cisl-Uil.

Quella che una volta era la contrapposizione tra Storti e Macario e che era poi diventata la contrapposizione tra Marini e Carniti, si configurò come una perfetta collaborazione tra chi modernizzava la linea e la contrattazione sindacale (Carniti) e chi governava l’unità della Cisl, tra Nord e Sud e tra le varie categorie, dosando la presenza equilibrata di carnitiani e mariniani. 

Così come garantiva l’unità della Federazione unitaria Cgil-Cisl-Uil, smussandone ogni aspetto che potesse apparire antipolitico. Basti ricordare come il sindacato attraversò l’attacco terroristico e i movimenti violenti dell’autonomia operaia (Guido Rossa a Genova, Luciano Lama all’Università, l’omicidio di Aldo Moro). In questa intelligente gestione, interna e unitaria, Marini dimostrò il suo lato migliore.

Il mio rapporto con lui, diretto e personale, iniziò quando lui era l’aggiunto di Carniti. Ero stato battuto nel direttivo della Fim torinese da Gianni Vizio e dal gruppo radicalmente Flm. Tornavo a fare il semplice operatore della Val di Susa e della zona Ovest di Torino. Carniti con Marini mi convocarono in Confederazione e mi finanziarono progetti formativi e informativi rivolti a tutti i delegati torinesi, in particolare Fim, sia delle grandi come delle piccole-medie aziende. 

Dopo la vicenda Fiat dell’80 e l’accordo confederale sui punti di scala mobile, c’era da ricostruire un tessuto sindacale lacerato. Carniti e Marini guardavano avanti e, sempre nell’84, quando Carniti ebbe un grave problema di salute, Franco Marini lo sostituì con molta lealtà. Al Congresso dell’85 divenne il segretario generale e propose di eleggere due carnitiani, come aggiunti, Colombo e Crea.

Anche la sua appartenenza alla corrente di Forze Nuove di Donat-Cattin ebbe caratteristiche analoghe a quelle che dimostrò nel sindacato. Quando lo sostituì alla guida della corrente, quando fece il Ministro del Lavoro e quando divenne Segretario del Partito Popolare e fu decisivo nella Margherita a farla convergere nella fondazione del Partito Democratico.

L’ultima volta che lo incontrai personalmente fu nel 1990, in Brasile. Quell’anno, con te e Simonetta andammo (io ero con Adriana) a inaugurare il centro studi che avevamo finanziato – come FIM – alla Cut di Lula a Belo Horizonte. Lui venne con il figlio Davide. In quell’occasione, soprattutto a Manaus, ho visto e ammirato il Franco papà. Dolce e severo insieme, come solo un padre sa essere. 

In una gita nella foresta amazzonica, ci avevano preparato pranzo su una palafitta, in mezzo al fiume. Il nostro accompagnatore, per farci cosa gradita, aveva portato un pacco di spaghetti da Manaus. Li cucinò, con le verdure, la signora che abitava quella casa di legno sospesa sull’acqua. Per cuocerli prese l’acqua del fiume. Ci sedemmo a tavola e quando ci servirono quella pasta con le verdure eravamo tutti perplessi. Davide accennò a un rifiuto. Franco con molta decisione prese la forchetta, iniziò a mangiare e, senza guardare il figlio, disse: “È buonissima e non si discute”. Il figlio e tutti noi in silenzio mangiammo gli spaghetti. Il messaggio era chiaro: un piatto di pasta qui non sono in molti a poterlo mangiare e loro hanno fatto di tutto per farci trovare il nostro piatto nazionale come segno di amicizia. Come si fa a non apprezzare un gesto così? Il resto non conta niente.

*Già Segretario generale della FIM CISL di Torino

 

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