In questi giorni Papa Francesco conclude l’ottavo anno del suo pontificato, iniziato il 13 marzo 2013. Anni non semplici, pieni di avvenimenti che hanno scosso e rivitalizzato la Chiesa. Ne parliamo con Franco Ferrari, caporedattore della rivista “Missione Oggi” e autore di uno degli ultimi libri sul pontificato del papa argentino (Francesco, il papa della riforma, Paoline, Milano 2020), a partire dal
33° viaggio apostolico che Francesco ha appena compiuto in Iraq (5-8 marzo 2021), una terra martoriata dalle guerre e dal terrorismo del settarismo religioso.
Qual è il senso di questo viaggio, che il papa ha voluto mantenere fermo nonostante le molte ragioni avverse?
Francesco realizza il sogno di Giovanni Paolo II, che nei pellegrinaggi del Grande giubileo del 2000 (Sinai, Terra santa) aveva inserito anche quello ad Ur dei Caldei, impedito dal mancato accordo con il governo di Saddam Hussein. Si tratta di un viaggio con un triplice scopo. Strettamente religioso e spirituale: visitare la terra da dove è iniziata l’”avventura” di Abramo, il patriarca riconosciuto dalle tre grandi religioni abramitiche, appunto: ebraismo, islam e cristianesimo. Poi, un obiettivo più finemente politico. Da un lato, portare sostegno alla minoranza cristiana – che nel tempo, a causa in particolare della persecuzione del califfato Daehs, si è ridotta, secondo le stime, da 1 milione 400mila a poco meno di 400mila unità -, nella speranza che la visita inneschi il ritorno dei molti che sono fuggiti. Dall’altro, proseguire nella realizzazione del dialogo con l’islam nello spirito della Dichiarazione sulla Fratellanza umana…
Proprio di questa Dichiarazione, firmata nel 2019 con il Grande imam di al-Azhar (Al-Tayyib), si è da poco celebrato il secondo anniversario. Nei giorni scorsi, il 6 marzo, durante il viaggio in Iraq, c’è stato anche l’incontro con il Grande Ayatollah Al-Sistani. Cosa spiega questa grande attenzione del Vescovo di Roma nei confronti dell’islam?
Francesco ha una visione geopolitica della situazione internazionale e la sua lettura si può dire che anticipi e porti a livello di coscienza aspetti che i politici sembrano non voler vedere. Pensiamo all’immagine della “terza guerra mondiale a pezzi” utilizzata per definire una micro-conflittualità endemica in molte regioni del mondo. Lo stesso dicasi per “la cultura dell’odio” che Bergoglio vede come conseguenza del populismo e del sovranismo, ma anche del fondamentalismo religioso. Le religioni e le teologie non sono innocenti rispetto alla violenza, per questo Francesco cerca di disinnescare una delle possibili micce della nuova violenza religiosa. E il dialogo, come ha scritto ai cristiani del Medio Oriente, è “il migliore antidoto alla tentazione del fondamentalismo religioso”, in particolare poi il dialogo interreligioso, là dove le situazioni sono più difficili.
Per evitare una conflittualità distruttiva, Bergoglio propone alle Chiese cristiane e agli esponenti delle varie fedi di “entrare insieme, come un’unica famiglia, in un’arca che possa solcare i mari in tempesta del mondo”. Quest’arca si chiama “arca della fratellanza umana”.
Francesco sta lavorando alla costruzione di quest’arca. L’imam e l’ayatollah che lei ha citato sono entrambi importanti esponenti dell’islam: Al-Tayyib della corrente sunnita e Al-Sistani dell’islam sciita.
Questo papa, come mai prima in modo così aperto e virulento, è al centro di continui attacchi e contestazioni. Da cosa è generato questo clima conflittuale e in particolare chi sono i nemici di Francesco?
Dobbiamo considerare un aspetto che, a otto anni dalla sua elezione, si tende a dimenticare cioè le condizioni in cui versava la Chiesa al momento delle dimissioni di Benedetto XVI. Ci sono almeno tre questioni che vanno ricordate: la credibilità della Chiesa era compromessa per una serie di gravi scandali; la curia mandava segnali di cattivo funzionamento e di lotte intestine neanche troppo nascoste; il clima crepuscolare e il diffuso disagio che si respirava per la mancata risposta ai molti e prepotenti segni dei tempi e per l’attardarsi sulla questione se il Vaticano II avesse segnato o meno una discontinuità con il passato.
Negli incontri preparatori del Conclave i cardinali avevano chiesto a gran voce un’azione di riforma in particolare della curia romana. Il papa “venuto dalla fine del mondo” è andato però alla radice dei problemi e ha avviato una riforma che riguarda sia le strutture, sia la pastorale, sia l’impegno missionario e la conversione personale. Tutti temi che, affrontati in modo molto diretto come fa Francesco, stanno scuotendo un’istituzione che non riesce a stare al passo con i tempi; cambiamenti che generano paure, divisioni. Interventi che hanno ridato fiato, soprattutto, agli ambienti conservatori e reazionari, ma hanno anche suscitato perplessità in coloro che vorrebbero un cambiamento. Perciò i “nemici” sono una categoria trasversale e non facilmente catalogabile.
Questi oppositori fanno un fronte comune o sono una galassia frammentata? E, soprattutto, quanto contano realmente, al di là della risonanza mediatica?
Si può osservare che l’opposizione al papa ha una grande varietà di attori: si va dai blog e siti reazionari, ai media con una linea editoriale conservatrice, ai “giornalisti attivisti” con i loro blog (per l’Italia si possono citare Magister, Valli, Rusconi, Tosatti), a vescovi (ma anche a Conferenze episcopali), a cardinali per giungere a gruppi di pressione sostenuti economicamente da esponenti del mondo economico-finanziario ed imprenditoriale, particolarmente presenti negli Stati Uniti.
Secondo un osservatore attento come il vaticanista Marco Politi questo fronte è valutato in un “buon trenta per cento”. Una consistente minoranza, certamente agguerrita e molto forte sui social e in alcuni suoi filoni (è il caso di vescovi e cardinali) può essere presente in gangli vitali dove non conta il numero, ma l’ambito di potere e di autorità che si esercitano.
Nel titolo e nel sottotitolo del tuo libro utilizzi i termini “riforma” e “conversione”: Che rapporto c’è tra i due e a quale riforma pensa Francesco?
Ogni conversione è già di per sé una riforma e viceversa ogni riforma richiede una conversione. Sono come due facce della stessa medaglia.
Bergoglio nell’affrontare il compito di riformare ha un ordine di priorità, come ha indicato nella prima intervista concessa a “La Civiltà Cattolica”: “Le riforme organizzative e strutturali sono secondarie, cioè vengono dopo. La prima riforma deve essere quella dell’atteggiamento”, cioè la conversione spirituale personale, perché ogni riforma per essere efficace si attua «con uomini “rinnovati” e non semplicemente con “nuovi” uomini».
Per questo il tema della conversione personale è sempre al centro dell’attenzione di Francesco: dalle omelie di santa Marta alla denuncia delle quindici malattie della Curia (qualcuno con ironia ha commentato che sono “più delle dieci piaghe d’Egitto”); dall’invito a vescovi e presbiteri ad abbandonare la “mondanità spirituale” alla richiesta di utilizzare i conventi vuoti per i poveri che sono la “carne di Cristo”.
Una costante revisione di vita, un ritorno al Vangelo per tutta la Chiesa; un intervento nella carne viva che non è indolore. La conversione spirituale, si pone quasi come una pre-condizione per realizzare gli elementi centrali della riforma, che sono la conversione pastorale e missionaria.
Bergoglio ritorna spesso al tema della sinodalità. Ha già indetto quattro sinodi e nel prossimo anno ve ne sarà un quinto dedicato proprio a questo tema. Perché questa scelta?
La scelta della via sinodale sottintende un modello di chiesa che si caratterizza: per l’ascolto dei fedeli e del loro “fiuto” cioè del loro senso della fede; per un’autorità e per un potere intesi come servizio; per una diversa modalità di intendere il ruolo del papa. Una Chiesa caratterizzata dalla sinodalità potrebbe favorire anche un ripensamento delle forme con le quali il Vescovo di Roma esercita la sua autorità e i suoi poteri.
Si tratta di instaurare una circolarità della comunicazione tra i fedeli e la gerarchia con un duplice movimento dal basso verso l’alto e viceversa.
La via sinodale è anche un percorso “educativo”. Bergoglio crede che un confronto vero aiuti la maturazione reciproca e possa favorire la conversione pastorale richiesta dal “cambiamento d’epoca”. Non è senza significato il fatto che i temi dei sinodi abbiano riguardato questioni sulle quali la vita pastorale è in grave crisi: la famiglia, i giovani e la situazione di una terra di missione come l’Amazzonia.
Francesco tra l’altro ha varato una riforma del Sinodo che responsabilizza fortemente i vescovi anche sul piano dell’elaborazione del magistero. Ora diversamente dal passato, a conclusione dei lavori, i padri sinodali devono produrre un documento organico sul tema in discussione, che il papa potrebbe anche assumere direttamente nel suo magistero.
Non si può però ignorare che una nutrita minoranza di vescovi, manifestatasi in tutti e quattro i sinodi, non sembra favorevole al metodo della sinodalità.
Francesco ha preso di petto due questioni: l’abuso sui minori e la riorganizzazione degli organismi economici della Santa Sede, ma quali risultati ha ottenuto fino ad ora?
Gli interventi relativi alla legislazione sulla giustizia hanno consentito di scrivere un nuovo capitolo circa la condanna degli abusi sui minori e le persone vulnerabili da parte del clero. Significativi l’obbligo di denuncia alla giustizia civile e l’Istruzione (2019) con la quale si toglie il segreto pontificio per le denunce, i processi e le decisioni riguardanti gli abusi.
Inoltre, non si deve sottovalutare l’Incontro dei presidenti di tutte le Conferenze episcopali del mondo per un pubblico esame di coscienza sul tema e aiutarli a superare in proposito la “cultura del silenzio”. Dobbiamo anche essere consapevoli che ora per completare questa dolorosa operazione verità molto dipende dalla volontà e dalle scelte delle Conferenze episcopali nazionali.
Circa la gestione economica credo non sia di poco conto il fatto che gli interventi di riorganizzazione dei vari organismi (Ior, Apsa, …) e l’aggiornamento della normativa hanno fatto sì che lo Stato della Città del Vaticano sia stato tolto prima dalla lista nera dei paesi “paradisi fiscali” e, in un secondo tempo, da quella dei paesi con una legislazione inadeguata per contrastare il riciclaggio.
Una caratteristica dell’azione pastorale di Francesco è la dimensione sociale dell’evangelizzazione, fino a dare vita agli Incontri Mondiali dei Movimenti Popolari (Immp). Qual è il senso di una scelta così forte?
A differenza dei suoi predecessori, il papa argentino non si limita a condannare l’ingiustizia sociale, invita a trarne anche le conseguenze operative. Per liberare i popoli dalle ingiustizie e dalle marginalità il Popolo di Dio non può limitarsi a “fare la carità”. Non ci si può limitare ad una risposta individuale “ad una mera somma di piccoli gesti personali”, occorre collaborare con tutti “per risolvere le cause strutturali della povertà e per promuovere lo sviluppo integrale dei poveri”. Una sorta di invito alla rivoluzione, che con Paolo VI abbiamo imparato a chiamare “promozione umana”.
La dimensione sociale dell’evangelizzazione rimarca Francesco, in continuità con Paolo VI, è nel cuore stesso del Vangelo che propone la vita comunitaria e l’impegno per gli altri.
In quest’ottica va collocato il sostegno agli Incontri Mondiali dei Movimenti Popolari, che si presenta come una strategia “per promuovere l’organizzazione degli esclusi” al fine di costruire il cambiamento sociale dal basso.
In questi giorni ricorre l’ottavo anniversario dell’elezione di Bergoglio al soglio di Pietro e in molti, anche di coloro che non gli sono ostili, sembrano delusi dal governo di Francesco. Molti dossier aperti senza che se ne veda la possibile conclusione….
Non mi sento di condividere queste valutazioni. Non si può sottovalutare il fatto che in un tempo breve Francesco abbia rimesso la Chiesa in cammino su molte strade e abbia avviato un processo che, per quanto aperto e incompleto, ha innescato la dinamica del cambiamento.
L’osservazione però rimanda al metodo di governo che Francesco utilizza; la risposta credo stia nel primo dei quattro principi esposti nell’Evangelii gaudium: il tempo è superiore allo spazio. Ciò significa avviare processi, mettersi in cammino. È il principio fondamentale che consente, strada facendo di tenere conto delle situazioni e di adeguare il percorso prima di giungere alla decisione finale. In una istituzione dove c’è una tradizione secolare di pensiero strutturato tutto questo indubbiamente disorienta.
Non si può, però, dire che Francesco non governi. Pensiamo alle decisioni riguardanti tutta la partita della riorganizzazione degli organismi economici e degli abusi nei confronti dei minori di cui abbiamo parlato prima.
Occorre considerare che i diversi processi avviati si possono dispiegare solo in un tempo lungo. Alcuni di questi li potrà concludere lui stesso, la conclusione di altri saranno nelle mani del suo successore. L’intento riformatore di Francesco è di tale ampiezza che necessariamente eccede il suo pontificato.