La disoccupazione giovanile è una sciagura. Ma la disoccupazione adulta è anche un’angoscia. Non a caso è di quest’ultima che si parla con maggiore insistenza. La soluzione emergenziale del blocco dei licenziamenti (adottata in Italia soltanto nel 1945 e ora da nessuno dei Paesi europei) sta mostrando la corda. La ripresa produttiva è in atto; ovviamente è a macchia di leopardo, con alcuni settori in affanno nella ricerca di specialisti ed altri ancora sotto schiaffo pandemico. E la verità si sta manifestando con chiarezza. Non si ritorna al passato.
Sia i giovani che gli adulti devono dare i conti con una rivoluzione crescente delle opportunità di lavoro derivanti non solo dallo scombussolamento del covid 19, ma soprattutto dalle modifiche strutturali nel sistema economico nazionale che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha adottato per ottenere gli ingenti finanziamenti del New Generation EU (NGEU). Ci sono tutte le condizioni perché questo impatto sulla distribuzione quantitativa e qualitativa dell’occupazione si trasformi da questione sociale in questione di ordine pubblico.
I sindacati ne sono consapevoli, tanto che dopo 480 giorni dall’inizio del blocco dei licenziamenti hanno sottoscritto il 29 giugno una tregua con il Governo, chiedendo assieme alle rappresentanze degli imprenditori “una rapida conclusione sulla riforma degli ammortizzatori sociali, sull’avvio di politiche attive ed i rafforzamento dei processi di formazione permanente e continua”. Cioè hanno detto che finora non si è cavato un solo ragno dal buco e ottobre è vicino.
E’ inutile fare processi per cercare l’assassino. Tutti colpevoli, nessuno colpevole. Intanto, il tempo è tiranno e diventa sempre più pressante la domanda: “chi si preoccuperà del disoccupato adulto per aiutarlo nella ricerca di una nuova occupazione?”. Non si può attendere la riforma complessiva degli strumenti assistenziali e proattivi per avere un mercato del lavoro ben regolato. Bisogna puntare a soluzioni di transizione, di maggiore attuazione nel breve periodo. Che non possono appoggiarsi sulle fragili gambe (salvo le solite ma poche eccezioni) dei Centri per l’impiego, delle APL. Non ci si potrà neanche lavarsi le mani finanziando i GOL (garanzia per l’occupabilità dei lavoratori) o alimentando i contratti di reinserimento.
C’è bisogno che, fermo restando le prerogative delle Regioni, si decida che i disoccupati adulti formatisi nel periodo pandemico siano affidati ad un unico soggetto che orienti verso professionalità confacenti alle doti del disoccupato/a che ad esso si rivolge, gli dia un “salario di formazione” con relativi oneri previdenziali e lo aiuti a cercare un nuovo impiego già durante il periodo di formazione. Chi non si rivolge a questo riferimento istituzionale, usufruirà delle norme di tutela attualmente esistenti.
L’ideale sarebbe che questo soggetto nasca per volontà delle parti sociali (l’esempio più azzeccato è la cassa edile che da lungo tempo gestisce ammortizzatore e formazione) che assieme al Governo danno vita a questo strumento di transizione. Non bisogna crearlo dal nulla. C’è già. E’ l’ANPAL da riformare, come previsto dal Commissariamento. Le parti sociali possono sedere nel suo Consiglio di Amministrazione, per dare gli indirizzi giusti. D’altra parte, l’ANPAL sta già gestendo il Fondo per le nuove competenze che riguarda, però, soltanto gli occupati. Ha al suo interno risorse professionali adeguate per fare anche da contenitore della riqualificazione dei disoccupati adulti. In più ha risorse umane sparse per tutto il territorio nazionale, ora con funzioni di supplenza nei riguardi dei Centri per l’impiego.
In tempi relativamente brevi e con una governance competente, può diventare subito operativa. Inoltre, può prendere i contatti opportuni con gli Enti, i Fondi interprofessionali e le società di formazione professionali che sono attrezzati per fornire programmi e didattiche adeguati alle esigenze del mercato. Può anche concordare con le Agenzie di somministrazione e le migliori APL rapporti virtuosi con le aziende, accelerando i tempi della riallocazione delle persone ad esse affidate. Il tutto, per non lasciare indietro nessuno, specie i più disponibili a disegnare per sé stessi un futuro diverso e forse più allettante.
Ovviamente, questa prospettiva implica assunzioni di responsabilità da parte sia degli imprenditori e dei sindacati. Finora, il disoccupato adulto è stato sostanzialmente un soggetto affidato a sé stesso, alla sua rete di conoscenze, allo stellone. L’imprenditore e la sua organizzazione di rappresentanza si interessa – quando lo fa – soltanto dell’occupato. Il sindacato ha il suo core business nell’occupato a tempo indeterminato. Ma questa stagione prefigura un lungo cambiamento. La maggior parte delle persone vivrà di lavori, non di lavoro fisso. La sua migliore tutela passa dalla capacità delle organizzazioni di rappresentanza di saper fornire tutele concrete anche nei periodi di transizione da un lavoro a un altro. E’ un salto di qualità da effettuare più dovuto, che voluto, più indispensabile che opzionale, più valoriale che di interesse.