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Obbligo di vaccino. Istruzioni per l’uso*

Il contesto di una epidemia che non passa, di un virus tuttora poco conosciuto, che va e viene e cambia forma, colpendo in modi diversi e poco prevedibili, dal quasi nulla al letale, è l’ideale terreno che spinge alla ricerca affannosa di soluzioni, per tentativi, anche solo a scopo di sostegno psicologico per una opinione pubblica allarmata. E anche questa volta, come spesso in Italia, la soluzione viene cercata in una legge. Ma la vera utilità delle leggi si giudica prima sul terreno della loro necessità, poi su quello della loro esecuzione e infine sulla loro efficacia. Ciascuno di questi passaggi andrebbe analizzato in vista della iniziativa legislativa annunziata dal presidente del Consiglio, per obbligare il personale sanitario a vaccinarsi contro il Covid-19. Recentemente si è avuta indicazione di ricoverati in ospedale o ospiti in RSA che sono stati infettati dal virus e si sospetta che all’origine ne sia il personale sanitario non vaccinato. È così tornato in discussione un tema che era stato affrontato a livello astratto quando si annunciò la prossima disponibilità di vaccini. Come si disse già allora, la Costituzione consente di imporre un trattamento sanitario, come sono i vaccini, contro la volontà della persona. La possibilità è sottoposta alla condizione che l’obbligo sia previsto da una legge o da un atto equivalente, come il decreto-legge. 

Ora si tratta di obbligare, non tutta la popolazione o larghe fasce di essa, ma soltanto medici, infermieri, operatori socio-sanitari. È probabile che il governo disponga di dati affidabili sul fenomeno, che si vuole contrastare e correggere, del rifiuto del personale sanitario di farsi vaccinare. Le dimensioni del fenomeno ed anche la sua realtà nelle varie categorie interessate vanno naturalmente tenute in conto per valutare l’adeguatezza dell’intervento legislativo e soprattutto il tenore del sistema che si immagina di introdurre. Un obbligo può essere articolato in molti modi. Esclusa la coercizione fisica, naturalmente, si possono prevedere sanzioni penali o amministrative  per chi non si adegua, ma esse rispetto al problema concreto e alla sua urgenza sarebbero inutili. Diverso è il caso di conseguenze sul piano del rapporto di lavoro, pubblico o privato che sia. Tali conseguenze e la loro concreta gestione sono necessariamente diverse se si tratta di uno dei (pochi) medici specialisti di un ospedale, o uno dei molto più numerosi infermieri o operatori socio-sanitari. Il loro rapporto di lavoro poi è diverso e non per tutti è richiesta l’abilitazione alla professione.

Quanto ai numeri, non risulta vi sia un vero problema per quanto riguarda i medici. Il ricorso alla vaccinazione sarebbe pressoché totale, se si escludono casi particolari come quello dei medici che, avendo patito il Covid-19 ed essendone guariti, per un certo tempo non possono vaccinarsi. La previsione dell’obbligo di vaccinarsi non sarebbe quindi necessaria. Non sorprende che sia così per l’evidente interesse personale e professionale ed anche perché in tal senso spinge il codice deontologico, recentemente richiamato dal presidente degli Ordini dei medici. Più significativo sarebbe il caso della categoria infermieristica. Ma sarebbe sbagliato assimilare la posizione di coloro che non si vaccinano a quella dei No Vax, irrazionali, complottisti, ecc. Anche per gli infermieri il codice deontologico spinge verso l’accettazione del vaccino. Sarebbero però presenti perplessità di tipo sanitario in una categoria composta in gran parte da donne, spesso giovani, che temono effetti collaterali non ancora sufficientemente testati. Un’opera di seria informazione sarebbe necessaria, ma la circostanza è rilevante poiché potrebbe aprire la via ad un diffuso contenzioso, per far valere motivi validi in opposizione alle sanzioni. Su un altro piano va considerato che non è escluso che una persona, anche vaccinata, possa essere infettata e poi per un certo tempo essere infettiva. L’elemento vaccinazione da solo non sarebbe quindi decisivo, ai fini della protezione degli ospiti di ospedali e RSA; andrebbe chiaramente espresso lo scopo prudenziale che spiega il provvedimento in cantiere e non la presunzione di una sua efficacia assoluta.

Si tratta di questioni che dovrebbero essere esaminate nel momento in cui l’intervento legislativo verrà definito, quando la parola “obbligo” dovrà essere declinata in una forma concreta, utile e praticabile. Come è noto è diffusa l’opinione secondo la quale l’operatore sanitario in un ospedale o in una RSA, che rifiuta di vaccinarsi potrebbe -anzi, dovrebbe- essere allontanato dal servizio o almeno dal servizio a contatto con i pazienti o ricoverati, in applicazione delle leggi già vigenti. È di pochi giorni fa la decisione del giudice di Belluno che ha respinto un ricorso contro provvedimenti di quel tipo. La legge in preparazione potrebbe intervenire sul piano civilistico dell’adempimento dei doveri propri del rapporto di impiego; potrebbe utilmente chiarire e disciplinare, con specifica attenzione al settore sanitario che è in considerazione, l’obbligo per le strutture sanitarie di reagire al rifiuto del dipendente con il suo trasferimento ad altre mansioni, se possibile senza danno per la funzionalità del servizio, ovvero il suo allontanamento dal lavoro o il licenziamento. Una graduazione di possibili provvedimenti sarebbe opportuna. Soprattutto andrebbe disciplinata la natura del provvedimento “sanzionatorio” e la tipologia dei possibili ricorsi al giudice. Il problema cui si vuol dar soluzione richiede l’immediata efficacia del provvedimento e l’attenta regolamentazione dello svolgimento del controllo giudiziario. 

 

*da La stampa del 27 marzo 2021 

 

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