Il potere in Italia è l’ essenza della questione nazionale nella sua relazione con lo scenario internazionale e con la mutazione che tale scenario ha assunto negli ultimi decenni.
Da una sovranità limitata dettata dai ruoli che l’ Italia ha ed ha avuto nella NATO secondo la strategia degli USA, negli ultimi venti anni a tale relazione internazionale subordinata si è insieme aggiunta e sovrapposta e intersecata quella con l’ Europa dell’ Euro e la sudditanza di tutta tale area all’ egemonia monetaria tedesca, che, tramite la BCE su misura della Bundesbank, ha trasformato l’ Europa in un nuovo possibile Reich.
Dinanzi a tale situazione, anche il potere nazionale si è trasformato. Lo stato ha perduto la sua unità giuridica per l’ erosione di poteri che oggi provengono dal tetto europeo, da un lato, e, dall’ altro dal pavimento della localizzazione dei poteri: regionali, provinciali, comunali, con al centro lo sfrangiamento delle politiche economiche, sociali, sanitarie e financo educative realizzatosi a livello regionale.
Un federalismo? Niente affatto. In verità una disgregazione non regolata contemperata dal ruolo sempre più rilevante del Presidente della Repubblica che di fatto domina in un Repubblica che è, invece, ancora parlamentare. A ciò si è aggiunta la devastante trasformazione dall’inizio degli anni novanta ad oggi dell’ ordine della magistratura in un potere autonomo che erompe nella politica e nell’ economia con inusitata forza. Questa disarticolazione dei poteri, questa peristaltica sua manifestazione ha raggiunto l’acme allorchè son giunte le privatizzazioni senza liberalizzazione dagli anni novanta sino a oggi.
Esse di fatto hanno distrutto il macigno dell’ industria pubblica italiana e della grande industria in genere, anche privata, come dimostra il disastro della FIAT e di tutte le altre imprese private. L’ emergere delle medie, delle piccole e piccolissime imprese ha creato una diarchia tra economia e politica senza legami naturali, organici, di lobbies legali e manifeste, perché il potere di queste piccole popolazioni organizzative è troppo frastagliato e non in grado di far massa critica sulle decisioni apicali che ancora vengono assunte a livello centrale, nazionale ed europeo in primis. La faccia visibile di questa immersione del potere rimane quello ormai sfigurato delle banche capitalistiche in crisi e assistite dalla BCE e dei partiti personali, neo caciquistici che hanno avuto in Berlusconi, in Casini, in Di Pietro e in Beppe Grillo la loro manifestazione più lampante. IL PD, erede delle tradizioni di sinistra cattolica e comunista – anch’ esso nel gorgo del personalismo veltroniano senza storia – se ne sta liberando, interpretando il bisogno di comunità che sale da una società dilaniata dalla crisi e prostrata dall’ incapacità di decidere politicamente se non per scaricare tutti i costi della crisi sul lavoro dipendente e su quello produttivo.
La poliarchia assurge quindi a strumento visibile e invisibile di un potere oligarchico che ha avuto in Mario Monti la sua prima manifestazione europea e non solo nazionale. Ma il Finis Monti apre inquietanti interrogativi per una nazione che sta sfaldandosi nell’assenza di forti poteri aggregativi e di forti culture umanistiche che diano visione e speranza a ciò che rimane di un popolo sempre più solo.
(*) Storico ed economista. Su concessione dell’autore. Articolo già apparso su Il Messaggero