È un papa un po’ maritainiano e molto “francofortese”, ovvero mutuatario di pensieri nella e sulla crisi, l’italo-argentino Jorge Bergoglio, autore della prima enciclica “ambientalista” della storia della dottrina sociale della Chiesa, la “Laudato si’, sulla cura della casa comune”, inviata ai credenti e a tutti gli uomini di buona volontà il 24 maggio scorso, festa di Pentecoste.
Esplicitamente, quasi letteralmente, maritainiano, è il lungo richiamo al rischio mortale, per la stessa sopravvivenza del genere umano, dello schema “antropocentrico”, che considera l’uomo centro dell’universo e padrone del mondo, illuso di potersi emancipare in modo completo e definitivo dalle leggi della natura, volute da Dio.
Riscoprire il valore di queste leggi, imparare a rispettarle, sulle orme del Santo di Assisi, è per papa Francesco la via maestra per dar vita ad un rapporto armonico dell’uomo con la natura e degli uomini tra loro, come chiedono a gran voce “tanto il grido della terra, quanto il grido dei poveri” (n.49). Due istanze, quella ambientale e quella sociale, che papa Francesco non intende in alcun modo, non solo contrapporre, ma neppure separare. Anche in questo l’enciclica, così innovativa nel tema scelto, è assolutamente “classica” nell’approccio all’ultima versione della ormai tradizionale “questione sociale”.
È l’approccio della “terza via”, quello scelto da Francesco, sulla scia di tutti i suoi grandi predecessori: un approccio che esclude le soluzioni unilaterali, in nome di una prospettiva “integrale” (di nuovo Maritain-Montini…). Esclude, ad esempio, che la riconciliazione con la natura si possa perseguire riducendo drasticamente la pressione antropica su di essa, attraverso politiche di limitazione forzosa delle nascite (n.50). Così come esclude che la risposta possa venire solo dallo spontaneismo del mercato e dalla sua straordinaria capacità di alimentare il progresso scientifico-tecnologico (n.105).
Qui il papa maritainiano si fa molto “francofortese”: attraverso l’assunzione, per quanto in questo caso implicita, del paradigma della “dialettica dell’illuminismo”, ovvero della radicale, strutturale, ambiguità e ambivalenza del progresso scientifico e soprattutto tecnologico, strettamente intrecciato con quello economico, che rischia di rovesciarsi in nuova barbarie se accetta di ispirarsi esclusivamente, o anche solo prevalentemente, alla razionalità strumentale, alla logica autocentrata dei mezzi che finisce per emarginare e ignorare la domanda sui fini.
E in effetti, la Laudato si’ non trascura la sfera dei mezzi: abbondano anzi indicazioni, anche minute, per la verità non tutte convincenti, in ogni caso tutte poste sotto l’egida di un’ammissione di “incompetenza” della Chiesa (n.61), di politiche eco e socio-compatibili.
Ma le domande di fondo che l’enciclica impone al dibattito pubblico hanno piuttosto a che fare con la sfera dei fini: la riaffermazione del primato umanistico della politica, come via maestra per riconciliare lo sviluppo economico con la sostenibilità ambientale e la giustizia sociale.
Una riaffermazione dura, quasi polemica, come a voler scrollare dal suo torpore un interlocutore ormai stanco, sfiduciato, rassegnato a rimuovere questioni radicali e globali, per concentrarsi su mediocri vicende domestiche e in definitiva marginali.
La dialettica, che l’enciclica vede, descrive, denuncia, resta aperta. Compito della politica non credo possa ridursi a quello di assumere e ripetere la denuncia: certamente non pare questa l’idea di papa Francesco.
Piuttosto, compito della politica è entrare dentro la dialettica, con non rassegnata consapevolezza della sua complessità e dunque con umiltà e ambizione al tempo stesso. Si tratta infatti di immergersi fino in fondo nella contraddizione tra la necessità di sostenere uno sviluppo che garantisca benessere a più di sette miliardi di esseri umani, con tendenza ancora in crescita, e di farlo in modo sostenibile sul piano ambientale ed equo su quello sociale.
Una cosa è certa: un’impresa del genere, dal successo della quale dipende il futuro dell’umanità, non è neppure pensabile possa essere affrontata contro o anche senza la mobilitazione di tutta la ricerca scientifica e tecnologica di cui siamo capaci e senza un motore dello sviluppo economico e produttivo che vada a pieno ritmo.
Altrettanto certo è che questa quadratura del cerchio ha bisogno di una politica capace di interrogarsi, a livello globale, sui fini che persegue. E ciò potrà avvenire solo se la politica sarà incalzata da coscienze inquiete di uomini di cultura, dell’etica, delle religioni.
Per questo, per le domande che ha sollevato, prima ancora che per le indicazioni che ha proposto, dobbiamo essere grati a papa Francesco e alla sua Laudato si’.
(*) Senatore Pd