E’ passato poco più di un anno dalla morte del Cardinale Carlo Mario Martini, e in questi giorni sono usciti diversi volumi che ne ricordano la grande figura.
Uno dei più interessanti è sicuramente questo del filosofo della scienza Giulio Giorello: “La lezione di Martini. Quello che da ateo ho imparato da un cardinale”(ed. Piemme, pagg. 105, € 12,00).
Giulio Giorello e Carlo Maria Martini erano legati da una grande amicizia e stima profonda, tanto che l’allora Arcivescovo di Milano chiese al filosofo non credente di collaborare con lui alla ”cattedra dei non credenti” (una delle più belle e innovative “invenzioni” di dialogo create da Martini, durante il ventennale ministero episcopale, nella Diocesi ambrosiana). In particolare l’autore collaborò a due “cattedre”: quella sugli orizzonti tecnico scientifici della modernità, e quella, complessa e assai difficile, sul tempo.
In questo libro Giorello ci offre, della figura di Martini, una lettura fine e carica di forte empatia. Da ateo “libertario”, come ama definirsi, non fa sconti all’uomo di fede. Così è con la stessa capacità pensante del Cardinale che l’ateo Giorello fa i conti fino in fondo con il suo ateismo: quella di Martini – afferma Giorello – “era proprio la figura più adatta a ‘provocare’ (come amava dire lui) un ateo dichiarato, spingendolo a ripensare la natura del proprio ateismo non attaccandolo con esclusioni o condanne, ma stimolandolo con l’attenzione e con quello che potrei chiamare il dubbio del credente. Il mio ateismo si è configurato sempre più come un atteggiamento, per così dire, di metodo per sondare quali possibilità si aprano a chi decida di procedere senza Dio, prescindendo da qualsiasi fondamento teologico nella pratica scientifica e nella solidarietà della vita associata”.
Fare i conti fino in fondo con la modernità, nella sua “variante” dell’illuminismo radicale, per Martini significava assumersi una responsabilità imprescindibile per il credente. E qui il credente incontra la coscienza degli uomini “moderni”, ovvero la libertà delle opzioni personali. “Il nostro sogno – scriveva Martini nel 1996 – non sarà allora evasione irresponsabile né fuga dalle fatiche quotidiane, ma apertura di orizzonti, luogo di nuova creatività, fonte di accoglienza e di dialogo” . E la “cattedra dei non credenti” quindi è lontana anni luce dalla “apologetica classica”, è una esercitazione dello spirito, dove credenti e non credenti “pensanti”, fanno esperienza di autenticità. “Io ritengo – scriveva Martini – che ciascuno di noi abbia in sé un non credente e un credente, che si parlano dentro, che si interrogano a vicenda, che rimandano continuamente domande pungenti e inquietanti l’uno all’altro. Il non credente che è in me inquieta il credente che è in me e viceversa”. In questo approccio Giorello sottolinea la giovinezza intellettuale del Cardinale.
Ed ecco allora Martini fare i conti, ad esempio, con la scienza contemporanea contro ogni fondamentalismo anche scientistico contro lo slogan, davvero banalizzante, ”più scienza meno fede, più fede meno scienza”. Il punto per Martini, sottolinea Giorello, è un altro: “Come si possa essere scienziati senza rinunciare a pensare al di là, e come si possa essere credenti senza rinunciare a lasciarsi interrogare e mettere in questione dai dati sempre nuovi della scienza”.
Quello che Giorello vuole sottolineare è la metodologia laica del Cardinale nel suo interrogarsi da uomo della Parola con i problemi. Da qui nasce il “sogno” di Martini per una Chiesa libera, accogliente , aperta, povera . La chiesa fermento. Alla fine di questo incessante dialogo l’ateo Giorello può affermare “Sono un tipo particolare di ateo cui non interessa più prevalere sulla pelle (sulla mente, sulla carne) di chi crede. Ringrazio Carlo Maria Martini per avere purificato il mio ateismo da questa tentazione”.