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L’INPS proponga di gestire la previdenza complementare

Le recenti esternazioni dell’INPS e del suo Presidente in materia di riforma (l’ultima e definitiva si assicura) della Previdenza sociale mi sembra non abbiano avuto un grande successo; tuttavia sono valse a smentire il convincimento che se riforma dovrà essere, non potrà essere realizzata esclusivamente attraverso una diversa utilizzazione del monte pensioni attualmente erogate dall’INPS perché il concetto di solidarietà che governa il sistema non può rimanere circoscritto all’interno della previdenza obbligatoria, ma deve necessariamente estendersi alla solidarietà generale di cui all’art. 2 della Costituzione.

Se la nuova disciplina del mercato e del rapporto dei lavori dovrà necessariamente incidere sugli istituti della previdenza sociale, occorrerà convincersi di due assiomi, l’uno che la previdenza sociale è un diritto “inalienabile” del lavoratore per le finalità indicate dall’art. 38 cost. e l’altro che, se non si vuole distinguere gli interventi assistenziali da quelli previdenziali, occorrerà comunque tener conto che appesantire il costo del lavoro aggraverà la situazione previdenziali delle giovani generazioni.

Ma queste non sono novità, come sa chi ha seguito l’evoluzione giurisprudenziale sull’obbligo contributivo e sulla base imponibile.Da quando non si escluse il concetto di onnicomprensività della retribuzione per le voci retributive stabilite dalla legge, fino alla valutazione a questi fini della effettiva natura giuridica degli emolumenti a prescindere dalla denominazione che agli stessi si fosse voluto dare (emblematico il ricorso alle indennità una tantum in sede di conclusioni notturne al Ministero del lavoro delle vertenze contrattuali).

E fino ad arrivare all’inserimento nell’imponibile contributivo degli accantonamenti in favore di fondi aziendali per la previdenza integrativa (così si chiamava allora). Si ritenne trattarsi di un’assurda contribuzione su un’altra contribuzione, fino a quando la Corte Costituzionale mise la parola fine riconoscendo la natura retributiva di quegli emolumenti e consentendo tuttavia l’assolvimento dell’obbligazione contributiva obbligatoria tramite un contributo di solidarietà, tenendo conto, fra l’altro, che i  Fondi aziendali erano evidentemente appannaggio delle realtà aziendali più forti (Banche, Assicurazioni ecc).

Ma il passo coraggioso i lavoratori lo hanno fatto quando, con la riforma Dini, hanno consentito l’introduzione nel sistema della previdenza complementare, finanziandola con il trattamento di fine lavoro, indicando concretamente la via e la strumentazione della solidarietà.

Certo, anche la previdenza complementare sconta le conseguenze della crisi occupazionale e le profonde modifiche del mercato del lavoro e quindi è necessario fare ogni sforzo per adeguare questo strumento ai mutamenti in atto per rilanciarlo in funzione di strumento di adeguamento delle prestazioni alle necessità di garantire i trattamenti complessivi della previdenza obbligatoria. (1)

Sembra interessante a questi fini la proposta di Landini, sul precedente numero di questa Newsletter, di orientare la destinazione dei Fondi di previdenza complementare verso investimenti in favore delle imprese italiane, anche se non sembra facile superare gli ostacoli che potrebbero derivare dalla normativa europea in materia di divieto di aiuti di stato e assicurare un’adeguata garanzia per gli investitori.

Ma soprattutto la crisi scoraggia la destinazione delle quote di TFR ai Fondi, mentre le misure di sostegno che un tempo propose l’INPS – trovando la ferma opposizione delle imprese di assicurazione – sembrano dimenticate.

Se siamo convinti che il problema dei trattamenti pensionistici delle giovani generazioni non si può risolvere se non attraverso un incremento dell’occupazione sia pure tenendo conto dei nuovi modelli del mercato del lavoro riformato, ebbene sarebbe un errore lasciare la previdenza complementare alle categorie che se la possono permettere, pena l’aggravamento del fenomeno che si vuole combattere.

A tal fine non mi scandalizzerebbe un’iniziativa del massimo Ente previdenziale nazionale che proponesse al Governo il suo ingresso nella gestione dei fondi di previdenza complementare, ovviamente con tutte le garanzie legislative, finanziarie e gestionali necessarie.

In definitiva se riforma deve essere, che sia completa.

 

[1]           La Cassazione non ha tardato ad affermare che la Previdenza complementare si inserisce nel sistema dell’art. 38 della Costituzione.

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