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Automotive, qui si fa l’ Europa o si va sotto padrone

Sono pronto a scommettere che uno dei temi che saranno al centro del dibattito delle elezioni europee del 2024 sarà il destino del vasto e sempre strategico settore dell’automotive. Difficilmente, prima di quella scadenza, saranno dipanati tutti i nodi che la discussione sulla data di spegnimento dei motori endotermici ha finora mantenuto nell’ombra. A meno che….

Innanzitutto, c’è un problema di politica industriale che diventa anche geopolitica. Fare subito il salto, come Europa, verso l’auto elettrica, oppure utilizzare ancora gli attuali motori alimentati da biocarburanti o da idrogeno, mettono in moto valutazioni, interessi e convenienze d’investimenti che da produttivi diventano con facilità questione politica interna ai singoli Paesi europei e anche di politica delle alleanze internazionali. In questo numero ne diamo conto e francamente sembra saggia la decisione di sospendere la decisione sulla scadenza dell’utilizzo del diesel o della benzina.

In secondo luogo, l’Europa deve cercare una soluzione che la mantenga sufficientemente autonoma sia dalla Cina che dagli Stati Uniti che stanno correndo competitivamente verso l’egemonia del settore. L’unità tra le grandi case produttrici europee potrebbe accorciare i tempi delle decisioni. Ma è una unità che non ancora si intravede, se si guarda alla qualità degli investimenti che intendono realizzare nei prossimi anni. 

Ovviamente, il peso delle decisioni politiche è alto, perché si intrecciano con l’insostituibile lotta al degrado climatico (inquinamento), con la tutela dell’ambiente (stoccaggi vari) e con all’attenzione alla questione sociale (diminuzione dell’occupazione) che non palesano forti omogeneità   imboccando una strada o un’altra. Si intravedono finanche conflitti istituzionali tra Commissione Europea e Parlamento Europeo. Quest’ultimo ha votato a larghissima maggioranza la scadenza del 2035, facendo prevalere l’opzione ambientalista. La Commissione è stata più prudente, derubricando la questione dall’ordine del giorno del prossimo Consiglio Europeo, facendo circolare finanche l’idea di una sconfessione del Parlamento.

Tra tutte, la questione sociale sembra la più emarginata. Ma potrebbe diventare la più bollente. Su una gestione ordinata delle conseguenze di questo epocale cambiamento, non ci sono indicazioni precise e specifiche che hanno accompagnato finora la discussione. Eppure i numeri spaventano. Si calcola che in Europa , il passaggio tout court all’elettrico, farà scomparire 250.000 posti di lavoro e intere aziende soprattutto della componentistica. L’Italia sarebbe investita pesantemente. Federmeccanica e sindacati metalmeccanici convergono su una cifra da capogiro, 75.000 posti in meno.

Con gli attuali strumenti di tutela non è possibile una tranquilla transizione. E non è argomento che ciascun Paese possa amministrarlo per proprio conto. Ci vuole un paracadute europeo ad hoc, un grande contratto di solidarietà che consenta alle aziende coinvolte un confronto con i sindacati per mantenere lo stock più alto possibile di lavoratori in azienda e quindi anche ricorrendo a significative riduzioni a orario a parità di salario e a mirati corsi di riqualificazione. 

Il fattore tempo è decisivo. La riqualificazione degli addetti del settore è un percorso che evita alla collettività europea un costo secco e a centinaia di migliaia di lavoratori di pagare il prezzo di una scelta inevitabile per garantire la sostenibilità del futuro di tutti. E’ indispensabile avviare rapidamente una discussione seria ed organizzare strumenti adeguati ad una sfida epocale. Formazione ed eventuali esuberi dovrebbero essere affidati ad una Agenzia tripartita (Stato, parti sociali) chiamata a riqualificare in coerenza con le competenze individuali e le esigenze del mercato del lavoro, prevedendo un “salario di formazione” pensionabile, fino al nuovo impiego.

E’ auspicabile che tutto ciò si chiarisca prima delle elezioni europee. Se non succederà, aspettiamoci un’offensiva sovranista. Essa è impropria, ma non sarà per nulla frenata dalla consapevolezza che soltanto un’iniziativa europea coraggiosa può assicurare che l’esigenza di sopravvivenza e rilancio di un settore così strategico per il benessere collettivo, si combini con una lotta efficace per un clima da sanare e con la possibilità che chi vi lavora continui a farlo con rinnovate certezze e quanti quel lavoro lo perdono, possano riaverlo possibilmente migliorato, necessariamente tutelato nella fase di transizione. 

Quindi, occorre correre, non restare fermi. Concertare con tutte le parti in causa e trovare la sintesi più ragionevole sull’insieme delle implicazioni che riguardano questo settore. Soltanto così, la definizione di una data per la morte del vecchio motore e l’affermazione della nuova mobilità risulterà accompagnata da condizioni e politiche che finora sono state lasciate indietro e hanno zavorrato il processo decisionale.

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