Sarebbe grave se l’Europa, dopo l’ondata di emozione per i troppi morti, che ha portato il presidente della commissione sull’isola di Lampedusa, risolvesse in un nulla di fatto le discussioni che si sono aperte in queste tristissime giornate. L’illusione, fin troppo coltivata, che possano essere eretti muri alle frontiere del continente ha prodotto finora costi umani inenarrabili, senza peraltro essere efficace neanche nella deterrenza.
Chi fugge da guerre, violenza e fame, non ha paura di un rischio in più, affronta magari la morte sorretto dalla speranza di salvare la propria vita e quella dei propri figli e proprio in virtù dei troppi muri, la consegna a scafisti senza scrupoli ed a organizzazioni criminali. Non esiste un canale legale di accesso, nessun modo per attraversare il mare in sicurezza, e così il Mediterraneo continua a inghiottire migliaia di persone, del grosso delle quali nulla si sa, se non che sono oltre 20.000, giovani, donne, bambini. Uno scandalo. Un orrore che rischia di macchiare per sempre la coscienza dell’Europa e di condizionarne il futuro democratico.
Se si guarda a quel che succede in Africa e nel medio-oriente, del resto, risulta evidente che il flusso non è destinato a cessare e l’evoluzione di guerre, come quella siriana o di tragedie, come quelle eritrea e somala, richiamano il mondo intero a riflettere sulla gestione di ondate di profughi di dimensioni colossali; se si pensa che solo nei paesi confinanti con la Libia ci sono due milioni di profughi in emergenza umanitaria, va condiviso che il mondo non può restare a guardare. Sono fenomeni complessi, non si governano con gli slogan, né si possono semplificare troppo o ignorare. Ma vanno affrontati, ognuno facendo la sua parte. L’Europa deve fare la propria.
Abbiamo da subito proposto, in sintonia con organizzazioni umanitarie ed organismi di cooperazione di tutto il mondo, di istituire intanto un corridoio umanitario, con la celerità e l’impegno organizzativo che in genere si riserva alle operazioni militari. Vuol dire dare la possibilità di chiedere protezione ed asilo già prima della partenza, in opportuni presidi che vanno aperti nei paesi e nelle rotte terrestri di spostamento, vuol dire garantire trasporti sicuri, vuol dire una vigilanza in mare che mira a salvare vite ed alleviare sofferenze, non a respingere o ad evitare interventi per timore di diversi far carico dell’asilo e dell’accoglienza.
Vale per tutta l’Europa; Frontex ha finora come “mission” la difesa delle frontiere, non altro. Se fossero vere le denunce secondo le quali l’uso di quelle navi avrebbe anche conosciuto episodi di respingimento attivo, fino al sequestro di viveri o altro, bisogna discuterne in chiaro e senza ipocrisia, poiché ciò non può rappresentare l’azione dell’Unione. Non abbiamo dubbi che l’operazione Mare Nostrum, iniziata dal nostro Paese, ha solo finalità di soccorso e pattugliamento; meglio ce lo auguriamo. Vorremmo non rivedere operazioni di “restituzione”, magari in paesi come la Libia che continuano a non garantire i diritti umani più elementari. E a proposito di questo, sarebbe il caso che si iniziasse a mettere mani ad una revisione dei nostri rapporti bilaterali, per cui la cooperazione finora è stata cooperazione a ricacciare indietro, nel deserto e nelle prigioni, migliaia di profughi, di richiedenti asilo, di migranti.
Naturalmente è necessario rivedere alcuni strumenti normativi che caratterizzano il diritto europeo. Vale per tutti la Convenzione di Dublino che obbliga il singolo richiedente asilo a rimanere legato indissolubilmente al primo paese in cui mette piede. È un sistema che va corretto, così come va impostata una politica adatta a governare un fenomeno così complesso, a partire dall’esigenza che ci sia un luogo nelle istituzioni comunitarie in grado di fare da regia e di far fare un passo avanti al bisogno di avere una strategia comune, un governo comune di un numero sempre maggiore di politiche, tra cui, ineludibile, quella dell’immigrazione.
Tutto ciò è necessario, ma non può essere qualcosa che accade a prescindere dalla volontà dei singoli Stati. Né un alibi: deve farlo l’Europa e quindi, nel frattempo, l’Italia può andare avanti con la politica assurda, anacronistica, inefficace e persino ” cattiva” che l’ha caratterizzata finora.
Negli anni scorsi il tema immigrazione, e quello, diverso, ma collegato, dei rifugiati e richiedenti asilo, è stata materia prediletta degli imprenditori della paura e di tutti i populismi, vecchi e nuovi, che l’hanno usato per fare fortune elettorali, approfittando anche delle insicurezze e della fragilità di strati sociali impoveriti e spaventati.
Il governo Letta ha determinato una netta discontinuità simbolica con la nomina a ministro della prima donna straniera e di pelle nera della storia della nostra Repubblica. Ma anche questo ormai non basta più. Non è rinviabile un severo e franco confronto parlamentare che affronti i nodi della nostra legislazione e provi a cambiari profondamente. Ognuno dovrà assumersi le proprie responsabilità, anche perché il Paese deve vedere chi davvero vuole innovare e chi invece nasconde sotto nuovi linguaggi la vecchia pulsione razzista e xenofoba che ha prodotto gli istituti più aberranti della nostra normativa, penso al reato di clandestinità che, oltre ad essere una mostruosità giuridica poiché considera reato non un’azione ma una condizione della persona, è servito solamente a riempire carceri, ad alimentare situazioni schiavistiche nella gestione dei rapporti di lavoro in molti settori a partire dall’agricoltura, a rendere l’immigrazione irregolare una realtà endemica ed invisibile, a scoraggiare persino i soccorsi in mare. Quel reato va eliminato, subito, riportando la discussione sul governo dell’immigrazione nel quadro della civiltà giuridica di cui il nostro Paese fa vanto.
Poi noi siamo senza una legge sul diritto d’asilo, le procedure in atto sono lente, il quadro dei diritti e delle condizioni da tutelare non sono soddisfacenti. Proprio per poter chiedere all’Europa con la forza che è necessaria, una vera inversione di tendenza ed una messa in comune dell’obbligo all’accoglienza ed alla tutela, e’ necessario fare intanto noi quello che chiediamo agli altri che, peraltro, hanno già leggi più avanzate ed efficaci delle nostre e paesi come la Germania accolgono un numero di rifugiati di gran lunga superiore al nostro. Temo che provino fastidio del nostro lamento e della nostra incapacità di convincerci che con questo fenomeno bisogna convivere e che quindi bisognerà organizzarsi.
Bisogna infatti, anche, occuparsi sul serio dell’accoglienza. Offrire ogni volta agli occhi del mondo le immagini delle condizioni indegne in cui sono tenuti i sopravvissuti al mare nella martoriata Lampedusa, o dei centri sovraffollati ed incivili o, per gli altri aspetti, della violenza più che carceraria dei Cie, non aiuta certo una presa in carico solidale e condivisa di tutti i nostri partner europei. Fa solo male al Paese ed è crudele con le persone più fragili ed indifese, è una vergogna non più tollerabile.
La nostra idea è che il sistema vada totalmente cambiato. Si può partire dalle buone pratiche, e certamente quella del sistema Sprar, costruito dagli enti locali, lo è. Le persone vanno prima accolte, curate, sfamate. Poi vanno divise in piccoli gruppi, collocate nelle nostre comunità, aiutate in un percorso di integrazione e di legalità. Non costa tanto di più, vuol dire spendere diversamente e vuol dire scommettere su un Paese in grado di guardare al futuro e di agire con valori e convenienze che non sono quelli macinati dalla propaganda delle destre.
Ovviamente anche solo questo, che non è poco, presuppone un diverso approccio al tema.
La Bossi Fini non va bene non solo per la crudeltà delle sue previsioni e la stupidità del suo ragionamento di fondo. Non va bene perché presuppone una situazione che, se mai c’è stata, ora sicuramente non c’è più. Ha prodotto una grande ipocrisia: ha fatto finta che uno arriva in Italia quando già ha un lavoro, il che ha comportato le necessarie sanatorie basate sulla finzione di flussi che in realtà coprivano persone già soggiornanti; ed ha immaginato le invasioni dal mare come canale principale di arrivo, quando tutti sanno che gli arrivi prevalenti sono da terra e con visto turistico.
Nella sostanza la legislazione si è mossa, al netto della sua barbarie, come se si trattasse di fronteggiare un fenomeno emergenziale, rispetto al quale l’unica politica possibile fosse quella del contenimento e del rifiuto. Ma questo è oramai fuori dal mondo. L’immigrazione è fenomeno strutturale e di lungo periodo delle società europee e non solo. La sfida è renderlo compatibile, anzi funzionale, ad un progetto di crescita, sviluppo e rafforzamento democratico; provare a farne un punto di forza per un sistema produttivo e di welfare che ha bisogno delle energie proprie del mercato del lavoro immigrato; cogliere la potenzialità positiva che ne deriva per una struttura demografica in inarrestabile invecchiamento. Già oggi, del resto, il lavoro straniero è un formidabile contributo al nostro sistema di protezione sociale dal momento che, per esempio, contribuisce in contributi e fisco per molto di più di quanto riceve.
Certo non si può essere stranieri per sempre, e non c’è sistema economico-sociale che possa desiderarlo. Sarebbe un gran segno ripartire, per la nostra ricostruzione nazionale, dalla cittadinanza a chi è nato qui o ha ricevuto l’investimento della nostra scuola. Oppure dal riconoscere il diritto a chi vive e lavora in una comunità locale ad assumere responsabilità nel determinarne i destini amministrativi. Fare Paese, guardare avanti, sentirsi parte di un progetto di costruzione di una nuova qualità sociale, e non prigionieri impauriti di una cittadella assediata che produce solo guerre tra poveri, questa sarebbe la sfida, e questi sono i temi che mette in campo la riflessione sull’immigrazione.
L’alternativa qual’e’?
(*) Segretaria Confederale CGIL Nazionale