Professore, lei che è uno studioso della criminalità organizzata in America Latina ci spiega in parole semplici cosa sta accadendo in questi frangenti in Ecuador?
Mi sembra di rivedere in atto la strategia di Totò Riina che fu quella di fare la guerra allo Stato per poi venire a compromessi favorevoli per i mafiosi. In Equador i capi dei narcos hanno ordinato di iniziare una vera e propria guerra allo Stato, sequestrando persone, uccidendole in vere e proprie esecuzioni pubbliche, colpendo obiettivi sensibili con armi da guerra. È in atto una vera e propria guerra civile per il predominio del potere nel Paese.
I narcos quindi vogliono assumere il potere?
Per quanto possa conoscere quei contesti, credo che oggi sia difficile rispondere a questa domanda. Personalmente credo che il loro obiettivo non sia il potere fine a sé stesso. I trafficanti di droga vogliono controllare lo Stato ristabilendo la loro egemonia sul Governo e costringerlo a trattative in loro favore. Ribadisco che quello che sta accadendo mi ricorda molto il periodo storico stragista di Cosa Nostra.
José Adolfo Macías detto “Fito”, capo del cartello egemone in Ecuador, è davvero così potente da mettere con le spalle al muro uno Stato sovrano?
Parliamo del braccio destro di Jorge Luis Zambrano Gonzalez, capo assoluto dei Choneros, e cioè di un’organizzazione mafiosa di matrice narcoterroristica di portata internazionale. Sono leader nel traffico internazionale di cocaina in alleanza con i cartelli colombiani e messicani, in particolare del cartello di Sinaloa, con la mafia albanese, con la ‘ndrangheta, con Cosa Nostra americana e italiana. Hanno un potere economico e militare tale da poter mettere in crisi uno Stato. Los Choneros sono in grado di infiltrarsi nella politica, decidere chi eleggere, comprare voti, corrompere polizia e magistratura e ammazzare senza pietà quei politici che si frappongano tra loro e i loro profitti come accaduto pochi mesi fa davanti alle telecamere al candidato presidenziale Fernando Villavicencio e, solo una settimana dopo, all’altro candidato Pedro Briones. Questi due attentati ci confermano che sono in grado di destabilizzare lo Stato ecuadoregno.
Perché il presidente ecuadoriano Daniel Noboa ha dovuto dichiarare lo stato di emergenza?
Le dinamiche politiche dell’America latina sono molto diverse dalle nostre. Lo stato d’emergenza per due mesi, coprifuoco, posti di blocco, limitazione della libertà personale, leggi eccezionali per cercare il boss evaso dal carcere di massima sicurezza di Guayaquil, a detta di Noboa, sono misure ritenute necessarie per evitare una guerra civile molto più sanguinosa di quella in atto. Devo anche aggiungere che questo Stato fino a pochi anni fa non era preda dei narcos come ad esempio la Colombia, il Messico, il Perù. Era tra i paesi dell’America latina quello meno a rischio di crisi dell’ordine pubblico. Questa misura eccezionale potrebbe essere anche frutto d’inesperienza nella lotta al crimine organizzato.
Che cosa è cambiato in questi ultimi anni?
La geopolitica del narcotraffico mondiale. L’Ecuador ha una posizione geografica strategica che torna utilissima per i cartelli messicani e colombiani perché raffinano la coca e controllano la partenza dei carichi di coca verso l’Europa e l’Africa proprio dai principali porti ecuadoregni. Come abbiamo già detto in una precedente intervista su Rai News l’aumento della domanda di sostanze stupefacenti dall’Europa ha reso necessario trovare nuovi narco-Stati e nei porti dell’Ecuador l’invio di cocaina è resa molto più facile rispetto alla Colombia e al Messico. I dati dell’Interpol parlano di tonnellate di cocaina nelle navi in partenza nei porti di Guayaquil, La Libertad, Manta, Posorja, Puerto Bolivar. La convenienza economica e la maggiore sicurezza hanno fatto sì che messicani e colombiani decidessero di dislocare gran parte dei loro affari connessi al narcotraffico internazionale in Ecuador.
Noi europei corriamo qualche rischio da ciò che sta accadendo in Ecuador?
Certamente. I nuovi narcotrafficanti stanno diventando sempre più potenti e vogliono espandersi nei nuovi mercati europei. Quest’aspetto deve preoccuparci e non poco poiché con le loro crescenti risorse inquineranno sempre di più la politica, l’economia e la finanza ricoprendo ruoli chiave nei mercati globali e quindi anche da noi in Europa. Ciò che sta accadendo in Ecuador riguarda anche noi italiani poiché anche le nostre mafie lì hanno rilevanti interessi. Nel Paese andino si producono oggi tonnellate di cocaina, di eroina, di marijuana e di droghe sintetiche tra cui il fentanyl di cui il nostro continente ha sempre più bisogno per soddisfare le enormi richieste.
Secondo lei lo stato di emergenza dichiarato darà i suoi frutti?
Secondo me no. Ho letto sui giornali ecuadoregni di una norma che concederebbe l’immunità penale a quei soldati e poliziotti che opereranno per ristabilire l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato. Si comprende agevolmente che questo significhi “licenza di uccidere”. Credo dunque che le violenze non diminuiranno ma aumenteranno.
A livello internazionale si sta muovendo qualcosa in soccorso dell’Ecuador?
Gli Stati Uniti hanno già offerto la loro assistenza all’Ecuador, che già contava sul supporto di Washington per avviare il cosiddetto “Piano Phoenix” del presidente Noboa, volto ad aumentare la sicurezza nel Paese. Il piano consiste in un investimento di circa un miliardo di dollari per creare una nuova unità d’intelligence, costruire nuove carceri di massima sicurezza, rafforzare i controlli nei porti e negli aeroporti e dotare di armi tattiche le forze di polizia. Di questi fondi, si legge su Reuters, un terzo sarà fornito dagli Stati Uniti sotto forma di aiuti militari, di cui le autorità dell’Ecuador hanno disperatamente bisogno poiché erano e sono assolutamente impreparati ad affrontare questo tipo di criminalità organizzata.
Alla fine, secondo lei, il latitante “Fito” sarà catturato?
Credo di poter dire, per conoscenza di quelle dinamiche, che o sarà ucciso o sarà venduto dai suoi compagni e da quello che poi prenderà il suo posto e medierà con lo Stato. Un copione più volte visto in America latina e che ancora una volta mi ricorda la dinamica della cattura di Totò Riina e la presa del potere di Bernardo Provenzano.
Vincenzo Musacchio, criminologo forense e investigativo. associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). È ricercatore indipendente e membro ordinario dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità del Royal United Services Institute di Londra. Nella sua carriera è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nella seconda metà degli anni Ottanta. È tra i più accreditati studiosi delle nuove mafie transnazionali. Esperto di strategie di lotta alla corruzione e al crimine organizzato. Autore di numerosi saggi e di una monografia pubblicata in cinquantaquattro Stati scritta con Franco Roberti dal titolo “La lotta alle nuove mafie combattuta a livello transnazionale”. È considerato il maggior esperto europeo di mafia albanese e i suoi lavori di approfondimento in materia sono stati utilizzati anche da commissioni legislative in ambito europeo.