Marco Buti e Marcello Messori
A fine dicembre abbiamo argomentato che il 2023 non è stato un anno particolarmente fausto per l’economia europea e per la sua collocazione internazionale; purtroppo, tale valutazione va estesa anche all’Italia rispetto alla sua posizione nell’Unione europea (Ue).
Alcuni fattori sono stati positivi: anche se dopo molti mesi di gestazione, il governo italiano ha varato la revisione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che è stato approvato da Consiglio della Ue; inoltre, esso ha ottenuto il pagamento della quarta rata del Pnrr e ha avanzato domanda per la quinta rata sulla base del dichiarato raggiungimento di tutti gli obiettivi intermedi e traguardi previsti per la seconda metà dell’anno passato.
Al di là di valutazioni di merito, anche l’accordo europeo sulla politica migratoria è favorevole all’Italia perché può essere l’embrione di una maggiore responsabilità comunitaria. Lo stesso accordo sulle nuove regole fiscali, pur essendo il frutto di un compromesso finale fra Francia e Germania e pur rappresentando un passo indietro rispetto alla proposta della Commissione di aprile 2023 (come riconosciuto dal ministro Giorgetti), alleggerisce i vincoli italiani rispetto al vecchio Patto di stabilità e crescita.
Tuttavia, altre decisioni europee e nazionali sono state negative per il nostro paese. Innanzitutto, vanno segnalate le due risposte europee all’Inflation Reduction Act degli Usa che non hanno sfruttato spazi importanti per attuare politiche comunitarie. Il Consiglio della Ue ha rigettato la proposta di rafforzamento del bilancio pluriennale della Ue di metà percorso che era stata avanzata dalla Commissione e che avrebbe potuto predisporre una difesa della competitività e della crescita della Ue a fronte delle pratiche protezionistiche statunitensi.
La Ue ha invece approvato un allentamento del regime degli aiuti di stato che rende possibili iniziative nazionali, ma rischia di frammentare il mercato unico europeo e penalizza gli stati membri con minori spazi di bilancio (come l’Italia). A fronte di queste debolezze della Ue, il Parlamento italiano non ha ratificato il nuovo trattato del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) e ha, così, impedito il varo di strumenti meno intrusivi per la gestione delle future possibili crisi dei debiti sovrani e ha creato un ulteriore ostacolo al completamento dell’Unione bancaria. Sul piano politico, il risultato è stato che l’Italia ha minato i rapporti di fiducia con i nostri consolidati alleati dell’area euro che hanno interessi di lungo periodo convergenti con quelli italiani.
Le elezioni europee di giugno 2024 porteranno al rinnovo delle istituzioni comunitarie e alla definizione di nuove strategie di medio-lungo periodo. Quali dovrebbero essere i capisaldi dell’agenda economica italiana per migliorare la posizione del nostro paese nella Ue e nell’area euro? Se ne possono individuare tre.
In primo luogo, anziché concentrarsi sulla “politique politicienne”, il governo italiano dovrebbe sollecitare la nuova Commissione al varo di un programma ambizioso in grado di affrontare il problema dell’obsolescenza del modello produttivo europeo. Per cogliere l’importanza del punto, basti ricordare che le priorità di Next Generation-Eu (Ngeu), approvato nel luglio 2020 e finanziato con debito comune, hanno largamente riflesso il contenuto del New Green Deal che contrassegnò il programma della Commissione insediatasi nel novembre 2019.
In secondo luogo, l’Italia dovrebbe dotarsi di una visione di medio-lungo periodo capace di legare gli interessi nazionali a quegli eventi nodali nella Ue del nuovo quinquennio che, per la loro rilevanza politica, andranno affrontati a inizio legislatura. Nel 2026, terminerà Ngeu e si porrà, quindi, il problema della sua continuazione; e, nel 2027, scadrà il bilancio pluriennale della Ue. Come si è ripetutamente sostenuto, i due appuntamenti andrebbero connessi in modo da finanziare e produrre Beni pubblici europei e attivare una politica industriale europea come strumenti per realizzare la doppia transizione ‘verde’ e digitale, ristrutturare il modello produttivo della Ue e costruire una difesa e sicurezza comuni.
In terzo luogo, l’Italia dovrebbe adoprarsi perché l’agenda esterna della Ue e quella del G7, di cui ha assunto la presidenza a gennaio, trovino convergenze stringenti. Si tratta di ‘europeizzare’ la presidenza del G7 grazie a uno stretto coordinamento con gli altri membri europei (Francia e Germania) che renda possibile l’affermarsi di una “autonomia strategica aperta” della Ue nell’ambito della governance globale.
Un’agenda così ambiziosa impone il soddisfacimento di due precondizioni. Innanzitutto, l’Italia deve recuperare la fiducia dei partner comunitari procedendo alla rapida approvazione del nuovo trattato del Mes. Inoltre, in linea con le regole fiscali adottate dal consiglio Ue del 20 dicembre 2023, il governo italiano deve preparare un ambizioso piano di 7 anni per l’aggiustamento del debito pubblico nazionale, approvabile e realizzabile all’uscita da quella procedura europea per deficit eccessivo che scatterà dalla prossima primavera. Perché il piano risulti credibile, è essenziale che il governo non ceda alla tentazione di sfruttare il regime transitorio (2025-2027) delle nuove regole fiscali per effettuare correzioni minimaliste di bilancio e riforme strutturali marginali. In gioco, non vi sono solo gli equilibri fiscali italiani, ma anche la possibilità di una positiva evoluzione della governance economica europea.