Come tutti gli anni ho ricevuto il Cud dall’Inps con i dati lordi e netti della mia pensione, dati che mi ricordano il contributo che verso, volente o nolente dato il mio sottostare al sostituto d’imposta, allo stato. Quest’anno, in particolare, oltre al solito pensiero rivolto a chi evade, ho pensato al fatto che quel mio contributo versato allo stato è servito anche a finanziare la ristrutturazione gratuita per i proprietari di 8 castelli attraverso il bonus 110. Mi è venuto in mente, a prescindere dai castelli, che poiché dai dati Enea una buona parte del bonus 110 è stato goduto dai proprietari di villette unifamiliari e dai proprietari di immobili di categorie catastali elevate, i sostenitori dell’introduzione della patrimoniale potrebbero prendere come riferimento per indicare i soggetti da colpire con l’imposta il fatto di aver usufruito del bonus 110, con l’esclusione magari dei proprietari di appartamenti in condominio.
Uscendo dal particolare e dalle fantasie e andando al generale, i dati Istat sull’indebitamento netto della P.A. nel 2023 pubblicati il 1° marzo, smentiscono clamorosamente le previsioni del governo fatte con la NADEF. L’errore non è marginale, ma di 1,8 punti di PIL, pari a 39 mld ed è fatto in pratica tutto dal lato delle uscite. Un errore, tra l’altro, compiuto non a inizio anno, ma a tre mesi dalla chiusura dell’esercizio 2023, con i dati di tre trimestri accertati. Come ha fatto la Ragioneria Generale dello Stato a sbagliare così clamorosamente? Giorgetti attribuisce la colpa al 110, ma nel farlo nasconde una parte della verità, poiché il 110 era stato bloccato dal governo e quindi come ha fatto a produrre un extra-deficit così grande?
Una spiegazione di quanto è accaduto ci è data da un paper dell’Osservatorio sui Conti Pubblici della Cattolica d Milano .
In breve, il governo blocca, ma il parlamento, con l’intervento di tutti i partiti di maggioranza e opposizione, introduce deroghe. Si può ipotizzare, afferma il paper, “che negli ultimi mesi dell’anno molti soggetti si siano affrettati a fare i pagamenti per lavori non finiti, o addirittura fittizi, per usufruire del sussidio al 110 per cento. Infatti, in base alla normativa allora vigente, le detrazioni al 110 per cento spettanti per gli interventi di Superbonus per i quali era stata esercitata l’opzione di sconto o cessione erano valide se i lavori erano portati a termine entro il 31 dicembre 2023”.
La cosa strana è che a fronte di questo boom di spesa per il superbonus negli ultimi mesi dell’anno, nulla di corrispondente appare nei dati sull’economia, sull’occupazione e nemmeno sui dati Enea. Insomma i dati ufficiali di Istat, Agenzia delle Entrate ed Enea tra di loro non collimano. Si spera che con il prossimo DEF il governo faccia chiarezza in merito.
In primo luogo chiarendo l’ammontare esatto della spesa per i bonus edilizi nel 2023, ammontare non ancora accertato in via definitiva, ma che si conoscerà esattamente solo nei primi giorni di aprile con il timore di avere sgradite sorprese.
Nel frattempo il governo è nuovamente intervenuto con un nuovo decreto legge che ha messo la parola fine al credito d’imposta e allo sconto in fattura cercando così di bloccare la spesa dei bonus nel 2024 e di renderla con certezza non payable secondo le regole Eurostat in modo da poterla spalmare in più esercizi finanziari.
Non vi è dubbio che il governo ha avuto difficoltà, per usare un eufemismo, per controllare la spesa dei bonus edilizi. Al PD che ha fatto qualche ironia sui mal di pancia di Giorgietti a proposito della spesa fuori controllo, tuttavia, bisognerebbe ricordare che i primi mal di pancia non sono stati quelli dell’attuale ministro del Tesoro, ma quelli di Draghi e di Franco che cercarono di bloccare il bonus 110 già durante il loro governo di unità nazionale e che non vi riuscirono per la resistenza dei partiti di governo e del partito allora all’opposizione, FdI. Ricorderete la durezza delle frasi di Draghi in materia nell’intervento di replica nell’ultimo dibattito come presidente del Consiglio. Così come al PD si dimenticano che è lo stesso ministro del Tesoro di Conte, Gualtieri che pure varò il 110, a dire che la permanenza del bonus e la sua estensione sono state un errore.
D’altra parte cosa si può dire di misure che sono costate più di quanto si spende per la sanità e che sono servite a ristrutturare il 4% degli immobili privati senza distinzione di reddito, anzi con una concentrazione degli interventi nelle categorie catastali più elevate con una redistribuzione a vantaggio, quindi, dei più ricchi.
Va poi ricordata una cosa. Il passaggio dalle detrazioni d’imposta alla cessione del credito favorisce certamente chi ha bassi redditi e a causa dell’incapienza non potrebbe godere delle detrazioni d’imposta. Nel caso dei bonus edilizi il presupposto primo è, tuttavia, il possesso di un immobile, indice comunque di un certo grado di benessere. Per chi non ha immobili, ossia per i più poveri, il problema non si pone, i bonus non portano alcun vantaggio.
Il fatto è invece rilevante per gli evasori che sono esclusi dal beneficio delle detrazioni d’imposta, in quanto incapienti per definizione, ma che invece godono naturalmente della cessione del credito. Non per nulla buona parte dei bonus 110 è stata goduta da proprietari di villette unifamiliari. Sarebbe interessante una verifica della dichiarazione dei redditi su chi ha usufruito del 110.
Stupisce come spesso, per non dire sempre, si parli di lotta all’evasione e poi si facciano provvedimenti che premiano chi evade o che comunque ignorano l’esistenza del fenomeno.
Nella bozza del documento alternativo del PD a quello conclusivo dell’Indagine sugli effetti derivanti dai bonus edilizi è riportata una proposta di un nuovo bonus per il futuro. Lasciando stare la misura dell’importo, la durata e altro, colpisce l’aspetto fiscale. Il livello del bonus è legato al reddito familiare. Mi viene subito da pensare che due lavoratori dipendenti con figli avrebbero più difficoltà ad averlo rispetto a due autonomi con figli. E come se nel PD una mano non sapesse cosa fa l’altra. Chi protesta contro l’evasione degli autonomi da un lato, chi propone misure ignorando la stessa. Almeno proporre come riferimento non il reddito ma l’Isee sarebbe più decente.
Con l’ultimo decreto il governo cerca di mettere una parola conclusiva sui bonus edilizi, almeno come si sono configurati dal 2020 al 2023 con il varo del 110 e il credito d’imposta e lo sconto in fattura. In realtà non c’è nessuna parola conclusiva, ma tre problemi da affrontare.
In primo luogo l’impatto sui conti pubblici dei bonus. Il DEF che uscirà nei prossimi giorni dovrebbe chiarire questo punto. E’ un DEF problematico dal punto di vista politico, precede di poco le elezioni europee, credo quindi che il suo tasso di aderenza alla verità sarà non particolarmente elevato. E’ comunque sperabile che combinando previsioni di crescita ottimistiche comunichi almeno informazioni sulla spesa credibili.
I bonus edilizi hanno avuto un effetto espansivo sull’economia. Non certo nella misura propagandata dai 5stelle e dall’Ance. Se prendiamo le stime Banche d’Italia e UPB il contributo, degli investimenti in costruzioni residenziali, alla crescita del PIL nel biennio scorso è stato di due punti percentuali, di cui uno generato dall’incentivo fiscale. Un apporto quindi limitato, tuttavia un apporto che ora viene a mancare con effetti negativi sulla crescita economica.
Nel 2024 il settore delle costruzioni nonostante il contributo del PNRR probabilmente entrerà in recessione.
Dopo l’eliminazione dello sconto in fattura e della cessione del credito va affrontato il problema della struttura fiscale dei bonus edilizi anche in considerazione delle normative europee sulle abitazioni tenendo conto ovviamente dell’esperienza negativa del 110.
Una misura che non premi gli evasori dal punto di vista fiscale, non elimini il contrasto d’interessi tra il committente e l’impresa che fa i lavori, che chiami il capitale privato a partecipare alla riqualificazione degli immobili in ragione dei vantaggi che il proprietario ne riceverà.