Il linguaggio crea mondi. E’ il caso della questione dell’immigrazione, rispetto alla quale parti consistenti di politica e mass-media, in questi decenni nel nostro paese, sono state capaci di offuscare e di modificare il dato di realtà, fissando nell’immaginario individuale e collettivo di coloro che hanno scarso spirito critico, che ci troviamo di fronte ad un’invasione di criminali. Accreditando peraltro l’idea che si tratta di una questione transitoria, quando invece siamo di fronte a un fenomeno strutturale, legato alla fuga da paesi nei quali la vita si fa difficile sia per le persecuzioni politiche, sia per le condizioni economiche.
Parliamo di un certo modo di narrare un fenomeno certamente assai complesso – e dai risvolti tragici per i tanti che muoiono in fondo al mare – che ha la potenza di creare una realtà inesistente, che finisce per vivere solo nella testa della gente. La manipolazione del linguaggio circa l’immigrazione ha prodotto, sia nella sua portata quantitativa, sianella descrizione dei migranti, inaccettabiligeneralizzazioni.
Riportando i dati del Dossier immigrazione 2022, l’esperto del tema, il sociologo Maurizio Ambrosini, rileva che tra gli immigrati considerati illegali che giungono nel nostro paese, tra la prima e la seconda istanza, oltre il 50% si vede riconosciuto lo status di rifugiato e può rimanere in Italia legalmente. “Di conseguenza – chiosa Ambrosini – dovremmo sempre tenere presente che tra i volti che vediamo scendere stremati dalle navi dei soccorritori, in realtà oltre la metà appartengono a persone che verranno riconosciute meritevoli di ricevere protezione legale dalle nostre istituzioni. Bollarli come immigrati illegali è un sopruso che si aggiunge a quelli che hanno subito prima della partenza e durante il viaggio” (Lavoce.info 12/12/2023).
Attraverso le emozioni che viviamo, il nostro cervello si fa un’idea della realtà e ci fa maturare questa o quella convinzione. Un processo che, in assenza di un equilibrio emotivo-affettivo, risulta sensibile soprattutto a eventi che incutono paure e timore, acuendo così la percezione del pericolo. Ecco che di fronte al linguaggio terrorizzante di una parte della politica di diversi mass media, replicato sui social media, scattano meccanismi difensivi rispetto a ciò che non è conosciuto, e che nel caso dei migranti, si trasforma in una massa di invasori criminali.
Come scrive un grande esperto di percezione, qual è il neuroscienziato dell’University College di Londra, Beau Lotto, “se vogliamo creare degli spazi che aiutano la comprensione, dobbiamo considerare non solo come vediamo, ma anche perché vediamo quello che vediamo (…) La percezione non è un’operazione che ha luogo nell’isolamento del nostro cervello, bensì fa parte di un processo incessante all’interno di un’ecologia, termine con il quale intendo la relazione di ogni cosa con le cose che la circondano e le loro reciproche influenze”.
La questione della cattiva narrazione del fenomeno migratorio è talmente seria che da circa quindi anni in Italia è nata un’associazione, Carta di Roma, che ha definito un protocollo deontologico per i giornalisti che si occupano del tema. Carta di Romacome è scritto sul suo sito web “lavora per diventare un punto di riferimento stabile per tutti coloro che lavorano quotidianamente sui temi della Carta, giornalisti e operatori dell’informazione in primis, ma anche enti di categoria e istituzioni, associazioni e attivisti impegnati da tempo sul fronte dei diritti dei richiedenti asilo, dei rifugiati, delle minoranze e dei migranti nel mondo dell’informazione” [ https://www.cartadiroma.org/chi-siamo/].
In relazione a queste premesse volte a superare qualsiasi stereotipia sui migranti e ad accrescere la consapevolezza che non è la questione in sé (che rimane complessa e necessita certamente di politiche adeguate), ma la sua amplificazione distorta a creare danno ai migranti, si rimane sconcertati di fronte alle parole usate in merito alla questione immigrazione dal sociologo Luca Ricolfiin un recente articolo [La sinistra e quei silenzi sul Dossier migranti, La Stampa, 22.9.2024].
Ricolfi, come ha già mostrato in altre circostanza, pur dichiarandosi di appartenere al mondo cosiddetto progressista, assume posizioni reazionarie di maniera, contro il presunto buonismo della sinistra e di coloro che non accedono in materia a posizioni securitarie. Qualche anno fa lo stesso Ricolfi (in buona compagnia con Ernesto Galli Della Loggia) si distinse per una stroncaturadella pedagogia di don Lorenzo Milani, il prete di Barbiana, la quale a suo avviso avrebbe avuto un tale peso nello sviluppo della scuola italiana, al punto di danneggiarla. Si tratta di una posizione ideologica. Per carità, si può criticare anche don Milani, ma non ci pare che il suo pensiero sia stato l’architrave della scuola pubblica italiana. Basta ascoltare in proposito chi di educazione se ne intende, Cesare Moreno, maestro di strada a Napoli: “Don Milani ha creato una piccola comunità integrale che ha preso la parola necessaria a non sentirsi subalterni, a non sentirsi inferiori a chi comanda. Per fare questo ha dedicato la massima attenzione alle condizioni di vita degli allievi e ad usare un linguaggio che non tradisse la loro origine e contemporaneamente li mettesse in grado di leggere il mondo. Questo insegnamento è ancora centrale e lungi dall’essere realizzato sulla scala del sistema educativo” [Passion&Linguaggi, 1 maggio 2023].
Tornando all’immigrazione, nell’articolo citato, Ricolfi, a nostro avviso, utilizza da un lato un registro narrativo cinico, quando scrive che oltre alla violenza e al terrorismo di cui sono portatori i migranti, “il fattore cruciale, verosimilmente, sono icrescenti successi elettorali delle destre anti-immigrati nella maggior parte dei paesi europei, un trend che non può non preoccupare le forze disinistra”. Come dire che affrontare dal versante securitario la questione offre un vantaggio elettorale, e quindi anche la sinistra italiana si deve dare una mossa e attrezzarsi in tal senso. Dall’altro lato, Ricolfi si distingue nelle sue tesi capovolgendo la realtà. Scrive il sociologo torinese: “In alcunipaesi, i dirigenti della sinistra si stanno rendendoconto che la questione migratoria non può piùessere elusa con formule – accoglienza, integrazione, diritti umani- tanto generose quantoincapaci di andare al nocciolo dei problemi. Chesempre più sovente non sono solo economici, o disicurezza, ma sono di identità delle comunitàlocali, messe a dura prova dalla concentrazione diimmigrati (spesso senza lavoro e senza fissa dimora) in specifiche porzioni del territorionazionale, siano esse le grandi stazioni ferroviarie, iparchi urbani, le periferie delle città, i piccoli centrirurali. Un processo che può far sì che i nativi,specie se appartengono ai ceti bassi, si sentano”stranieri in patria”.
Ho vissuto diversi anni nella provincia di Varese e da nativo, più che sentirmi uno straniero in patria, mi vergognavo da cittadino italiano, appartenente a un popolo di migranti, quando vedevo quelle concentrazioni di migranti che si formavano in vari luoghi della città nei pomeriggi feriali, nei sabati e le domeniche. Quella situazione è soltanto la rappresentazione plastica dell’emarginazione della quale sono vittime queste persone che perchèdifferenti diventano, per scelta dei nativi, un corpo estraneo alla comunità.
Peccato che la ragione saliente di tale fenomeno – che Ricolfi fa finta di non vedere – sia quella che i migranti sono ben accetti quando lavorano, quando si rompono la schiena in fabbrica o nello svolgimento del lavoro di cura degli anziani italiani (che nessun italiano farebbe più….), e vengono puntualmente messi ai margini, non riconosciuti dalla comunità, dopo l’orario di lavoro.
Si fa fatica a comprendere, in una prospettiva civica, che in assenza della maturazione di un atteggiamento di accoglienza totale e non solo strumentale legata alla necessità di manodoperache gli italiani rifiutano, i migranti, anche nell’immaginario individuale e collettivo, rimarranno per sempre un corpo estraneo. Si favorirà così peraltro anche quella paura che la politica continua irresponsabilmente ad alimentare. Fino al punto, come ha fatto recentemente il ministro Salvini per condizionare il dibattito sulla cittadinanza, di alludere alle origini sudafricane di un cittadino italiano diventato assassino nella provincia bergamasca, come se il Dna c’entrasse qualcosa in tutto ciò.
Anche rispetto agli immigrati clandestini sarebbe necessaria una maggiore lucidità politica. Infatti più si rendono ardui e difficili i percorsi di inserimento nella cittadinanza dei migranti, più resterannoampie le aree dell’illegalità. Non si riflette abbastanza che questa è un’ottima notizia per le mafie e per la criminalità organizzata, che sono in grado di reperire manodopera a buon mercato per gestire i loro affari loschi e criminali. Più i migranti restano invisibili, più vivono nella clandestinità e perciò nella potenziale condizione di delinquere.
D’altra parte, come confermano al riguardoautorevoli ricerche, è lo status legale delle persone che determina la predisposizione a commettere un reato, non la loro nazionalità. Tuttavia in questo paese l’intreccio perverso di politica e media tende a far vivere insopportabili stereotipi che influenzano gli elettori, che spesso premiano la destra.
Ma proprio perché la questione politica è seria bisogna evitare di semplificarla, come sembra invece fare Ricolfi richiamando la sinistra a politiche simildidestra, con il rischio che anche la sinistra stessa – è già accaduto in altri campi – invece di provare a ridisegnare una cittadinanza compresi i migranti, sposti sul piano tattico – cinicamente – la questione, per godere di una posizione che gli dia una maggiore rendita elettorale. Ci vorrebbe un’idea progettuale, ma è merce rara nella politica attuale, legate sempre più al breve periodo e alla sopravvivenza dei leader.
Infine, la questione immigrazione credo debba indurci, senza deviazioni ideologiche a fare un ragionamento piuttosto banale, ma che tiene in considerazione la complessità delle cose. I migranti vanno trattati da cittadini a pieno titolo, e proprio per questo possono rappresentare la soluzione di molti nostri problemi. Senza buonismo, ma con pragmatismo. Visto come siamo messi con i conti pubblici, con le difficoltà crescenti del sistema pensionistico (e Salvini vuole anche quota 41….), con la crisi demografia nel nostro paese, e la contestuale difficoltà a reperire lavoratori, ritengo che l’atto più intelligente che la politica possa fare è proprio quello di favorire l’immigrazione.
Non c’è nessuna invasione, anche perchèsappiamo che l’Italia, per la maggioranza degli immigrati che qui approdano, è un paese di passaggio. Per il resto chi delinque, italiano o straniero che sia, deve fare i conti con le norme e le leggi dello stato di diritto che riguardano tutti. Mi sembra sufficiente per garantire l’ordine pubblico, non c’è bisogno come pensano a destra di leggi speciali.
E comunque la questione dell’immigrazione va sempre assunta con l’ottica degli esseri umani, e con il pensiero rivolto ai tanti morti che giacciono nel fondo del mare Mediterraneo. In tal senso consiglio di leggere il libro scritto dalla dottoressa Cristina Cattaneo, medico legale presso l’Università degli Studi di Milano e direttrice del Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense, che è stata coinvolta in questi anni nell’identificazione dei migranti morti in mare a Lampedusa: resti umani senza un nome, “persone scomparse nell’oblio, dimenticate da tutti”. Come afferma nel suo libro “Naufraghi senza volto”, neanche la morte mette tutti sullo stesso piano.
L’attore e mediatore culturale africano MohamedBa, emigrato in Italia dal Senegal, sulla rivista Passion&Linguaggi così parlava a proposito dei migranti, raccontando il dolore che si vive nel lasciare il proprio paese: “Sei già straniero per la tua famiglia, perché hai voltato loro le spalle: nella loro visione tu sei colui che finalmente ha raggiunto la terra promessa, per cui da qui a poche ore le lacrime saranno tutte asciugate, da qui a poche ore avremo da mangiare a sufficienza, da qui a poche ore vivremo nel paradiso. E dall’altra parte ti ritrovi in mezzo a persone che non ti riconoscono, che non vedono te come la vittima e la conseguenza di scelte politiche scellerate, ma addirittura ti additano come causa e fautore del loro malessere, a causa della loro insicurezza; diventi un essere umano senza sostanza, un numero insignificante, indegno anche di diventare una percentuale. In questa situazione, il desiderio è voler essere visto come un essere umano e sentire che qualcuno che si renda disponibile a regalarti una cosa molto semplice, che non costa tanto, cioè a dirti un ‘ciao come stai’ ”[Desiderare con dolore la terra giusta. Il migrante due volte straniero, Passion&Linguaggi, 1 luglio2022].