La presidenza Trump rappresenta una forma aggressiva di sovranismo che può essere molto pericolosa per la stabilità dell’ordine internazionale, soprattutto per la dimensione e l’importanza dell’economia americana.
Il messaggio di Trump è questo: «Sono pronto a rompere ogni regola di buona condotta se non siete disposti a fare quello che dico io, e la mia minaccia è credibile perché posso fare molti danni». Sul fronte internazionale, ciò potrebbe distruggere il modello di integrazione economica basato su regole stabili e multilateralismo.
L’idea che gli accordi di libero scambio siano nell’interesse di tutti se condizionati a pratiche commerciali corrette e non discriminatorie (oltre che rispettose per l’ambiente e dei diritti dei lavoratori), sarà scartata a favore di un approccio mercantilista, in base al quale l’unica cosa che conta è avere un saldo commerciale positivo. Per raggiungere questo obiettivo, occorre usare l’arma dei dazi, dividere il fronte dei Paesi concorrenti e costringerli alla trattativa su una base bilaterale. Il fatto che la nuova destra sovranista (Orban, AfD, Le Pen) fosse contraria alle istituzioni sovranazionali era già chiaro sulla base dell’esperienza europea.
Ora Trump porterà questa avversione per il multilateralismo e le istituzioni internazionali su scala mondiale. Il problema è che la dimensione degli Usa è molto superiore alla dimensione dei singoli Stati europei, e il passaggio a un sistema di contrattazione bilaterale tra gli Usa e ogni singolo Paese membro dell’Unione europea erode l’efficacia delle ritorsioni da mettere in atto in caso di fallimento del negoziato, ponendo l’Europa nel suo insieme in una posizione di netto svantaggio. La Meloni può certamente vantare come un «asset» il fatto di avere rapporti privilegiati con Trump (come si è visto nel caso di Cecilia Sala), ma sbaglierebbe di grosso se giocasse questa carta per rompere il fronte unitario nel negoziato Usa-Europa.
Se ciò avvenisse, potremmo forse salvare dai dazi qualche prodotto nazionale, ma subiremmo le conseguenze molto più gravi di un freno dell’export continentale e della recessione che potrebbe provocare. La destra europea è di fronte a un dilemma non banale: come preservare i benefici dei beni pubblici europei (tra cui l’integrazione commerciale, gli investimenti, la difesa, la politica estera e l’ambiente) e, nello stesso tempo, continuare a sparare cannonate contro i «burocrati di Bruxelles».
Un’Europa coesa e solidale può rispondere efficacemente alle minacce di Trump per due motivi principali. Il primo è che una guerra commerciale intercontinentale, tariffe contro tariffe, danneggerebbe gli USA in modo significativo. Si ridurrebbe l’export verso l’Europa di alcuni prodotti importanti per l’economia americana (motociclette, prodotti farmaceutici, servizi e aumenterebbero notevolmente i prezzi in Usa di prodotti europei non facilmente sostituibili. Ciò potrebbe avere effetti negativi sull’economia americana senza produrre un ribilanciamento del saldo commerciale (un evento che si è già verificato con le tariffe imposte da Trump durante il suo primo mandato presidenziale).
Il secondo motivo per cui le minacce di Trump potrebbero essere inefficaci è che l’Unione europea potrebbe spingere l’acceleratore sulla realizzazione di accordi regionali preferenziali, come nel caso del Mercosur, del Regno Unito e dell’Indo-Pacifico. Naturalmente, non conviene essere inutilmente conflittuali con l’amministrazione
Trump. L’export di beni dell’Unione europea verso gli Usa vale 500 miliardi di euro (in aumento di circa il 40% dal 2012) e produce un avanzo di 150 miliardi.
Una guerra commerciale con gli Usa avrebbe effetti disastrosi, mentre un ribilanciamento di questo squilibrio potrebbe essere mutualmente vantaggioso. Dopo la guerra in Ucraina e la rottura dei rapporti con la Russia, l’Europa ha bisogno di importare gas naturale liquefatto, e, per nostra fortuna, gli Usa sono diventati esportatori netti di prodotti energetici. Esistono ampi margini per un negoziato alla pari.
Vedremo se l’aggressività del presidente americano serve solo a rafforzare la sua posizione negoziale o se preannuncia un approccio conflittuale e non cooperativo nei rapporti internazionali.
Il paradosso è che ciò non servirà a migliorare la condizione economica degli americani, ma solo ad affermare l’idea «antiliberale» che il potere presidenziale possa estendersi oltre i limiti stabiliti dal bilanciamento dei poteri costituzionali. Trump intende esercitare questo potere per illudere il suo elettorato che la deindustrializzazione dell’America sia causata dalle pratiche commerciali scorrette dei Paesi esportatori e che possa essere fermata con le tariffe commerciali. Ma questa è propaganda e una illusione che potrebbe costare molto cara.
*da La Stampa, 23/01/2025