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La Cina e il futuro dell’Europa

Il fascino discreto di Fiat è intramontabile e così dopo avere tuonato contro l’azienda, a petto gonfio per quasi tutto il 2024, il ministro Adolfo Urso ora tace. Siamo passati dal cercare un secondo produttore per l’Italia alla “dolce attesa” dell’arrivo in Parlamento a metà marzo del presidente di Stellantis. È bastata una lisciata di pelo di Jean-Philippe Imparato, ambasciatore di John Elkann, la ripresentazione più o meno dello stesso piano di Carlos Tavares e un po’ di pubblicità in televisione: così Urso (e con lui Giorgia Meloni) s’è acquietato.

Tavares diceva che il 2025 sarebbe stato duro e Imparato ha detto la stessa cosa. La tempistica dell’uscita dei modelli è tendenzialmente la stessa e il dare una visione di più lungo periodo, ad oggi, la trovo alquanto difficile. Tanto è bastato che dalle parti di via Nizza, dopo l’inconcludente e propagandistico Consiglio regionale aperto delle settimane scorse, si è tornato a parlare di 150mila vetture che si produrranno a Mirafiori.

Il 2025 sarà un anno transitorio sotto tutti i punti di vista perché quel che rimane dell’Europa deve decidere cosa fare sul green deal, le case produttrici dovranno reindirizzarsi sui modelli, capire come reagirà il mercato ai nuovi scenari mondiali e qui il presidente di Stellantis ha già dato, come priorità, ampi segnali a Donald Trump sulla produzione negli Stati Uniti.

Infatti in una lettera ai dipendenti americani, il chief operating officer del Nord America, Antonio Filosa parla dell’impegno a investire nelle nostre attività negli Stati Uniti per far crescere la nostra produzione automobilistica qui”. Fra gli investimenti previsti ci sono quelli negli impianti di Belvedere, a Toledo e a Kokomo.

In Italia sembra chiaro che le carte non le dà il Governo ma sopratutto i produttori cinesi che agli improbabili abboccamenti dell’esecutivo nostrano non hanno creduto come dimostra la scelta di Byd di andare in Ungheria e Turchia. Gli altri produttori non pervenuti. Chery è già un assemblatore presente, di fatto, con DR e con i suoi due marchi: Omoda e Jaecoo.

I cinesi hanno la grande necessità di ampliare i mercati perché se è vero che Byd diventa primo produttore BEV, è altrettanto vero che vende quasi esclusivamente in Cina (quasi il 90% delle vendite). Così come abbiamo già detto che la temuta invasione cinese del mercato europeo non c’è, i numeri sono irrisori ma è evidente che la Cina si sta preparando allo sbarco in Europa. Bisogna dire che Stellantis ha fatto una mossa intelligente con la joint venture insieme a Leapmotor e i primi modelli della T03 si vedono circolare con un prezzo che si avvicina al quasi accettabile e una linea e accessori molto apprezzabile.

Byd però ci indica cosa abbiamo tutti i giorni sotto gli occhi e cioè la grande qualità della filiera dell’automotive che produce buona parte dei componenti Stellantis, Bmw, Volkswagen e Mercedes.

Un indotto che oggi soffre non solo per la penuria di offerta da parte di Stellantis ma anche della profonda crisi tedesca. Quale occasione migliore per i cinesi, Byd in questo frangente, di inserirsi e proporre di lavorare con loro. Un’occasione che non va persa perché dei cinesi non dobbiamo avere paura.

Il Piemonte è ancora di gran lunga la regione con più presenza di indotto automotive con il 33% circa seguito da Lombardia (27%) e Emilia-Romagna (10,4%). Occorre precisare che in Piemonte la crisi di Maserati ha inciso meno che il crollo dell’industria tedesca in quanto l’indotto Maserati è ancora collocato per la maggior parte in Emilia-Romagna. I cinesi, dei nostri dazi se ne fanno un baffo, venderebbero anche in perdita ma venendo a produrre in Europa noi non dobbiamo temere le invasioni tecnologiche e produttive se generano lavoro ma piuttosto governarle.

Byd deposita 32 brevetti ogni giorno che significa diventare proprietari di nuove tecnologie, innovazioni e sperimentazioni che si trasformano in conoscenza e proprietà.

L’altro aspetto importante per l’indotto italiano è dato dal fatto che il mercato rimarrà piuttosto stabile e quindi l’affacciarsi di nuovi produttori significherà una modifica delle quote di mercato di ciascun produttore e noi dobbiamo essere laddove c’è chi fa muovere il mercato del nuovo.

Se abbiamo una produzione di autovetture che ha toccato nel 2024 il minimo storico, le immatricolazioni in leggera ripresa rispetto ai due anni precedenti con circa 1,5 milioni, abbiamo l’usato che veleggia su oltre 3 milioni di cambi di proprietà specialmente nelle regioni del Sud e in Lombardia. Con il diesel che la fa da padrone con il 44% di passaggi di proprietà. Per ogni 100 vetture immatricolate ci sono 198 passaggi di proprietà sull’usato. Lo stesso scenario di quando eravamo bambini e avevamo tante figurine Panini ma non si trovava Pizzaballa per completare l’album e allora ci scambiavamo l’usato ma non se ne compravano di nuove, tanto Pizzaballa non si trovava. Occorre spostare la domanda dall’usato al nuovo, un mercato enorme in Italia.

Un mercato potenzialmente fortissimo che va sviluppato con politiche adeguate. Se dovessi usare uno slogan da sindacalista direi meno profitti e più salari e investimenti, ma è certo che il mercato non si mette in moto con incentivi a spot ma facendo ripartire la domanda interna.

L’età media di un’auto circolante è di 12 anni e i cinesi hanno capito benissimo, con la loro esigenza di espandere i mercati, che il problema è semplice e banale, sono i prezzi delle auto nuove e su questo agiranno. Diventare partner di un colosso automobilistico che si prefigge di produrre oltre 300mila vetture in Europa significa portare valore aggiunto e fatturato in Italia.

La sfida è possibile. Le imprese sono all’altezza del compito; speriamo che la nostra politica lo sia altrettanto

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