Dopo la morte del Papa, diversi intellettuali hanno scoperto la distanza che li separa dal pontificato di Bergoglio.
Due casi, tra tutti.
Il primo è quello del professor Odifreddi, matematico, razionalista, non credente. Odifreddi, sulle colonne de La Stampa del 22 aprile 2025 scrive un articolo in cui afferma perentoriamente che Francesco è stato il pontefice “più frainteso e adulato dalla stampa e dai fedeli”. Molti gli addebiti che Odifreddi attribuisce a Bergoglio, rimproverandogli di non aver ridotto la Chiesa a quello stato di povertà che, pure, aveva auspicato; di non aver fatto passi avanti più decisi nella legittimazione dell’omosessualità; di non aver fatto abbastanza in tema di pedofilia, ecc. ecc. Tuttavia, un intellettuale come Odifreddi dovrebbe considerare che il primo dovere di ogni leader è quello di non spaccare l’organismo di cui si trova a capo. Questo principio governa aziende, partiti e associazioni, ancor più una realtà come la Chiesa, accreditata di 1 miliardo e mezzo di fedeli nel mondo, nella quale i cambiamenti non possono che avvenire per piccoli passi e segnali discreti, il cui susseguirsi, nel tempo, induce la riflessione e il mutamento di una mentalità sedimentata nei secoli. Odifreddi dovrebbe ricordare che l’introduzione della lingua nazionale in luogo del latino, scelta conciliare sacrosanta, determinò uno scisma. Figuriamoci quello che sarebbe accaduto se Bergoglio avesse impazzato nella Chiesa nei termini auspicati dal matematico, con la sicurezza un po’ scientista che gli è propria.
L’altro caso è quello di un illustre storico, Loris Zanatta, studioso dei populismi sudamericani, che già nel 2020 aveva pubblicato un libro, peraltro interessante, dal titolo Il populismo gesuita, Peròn, Fidel, Bergoglio. La tesi del libro è che tutti i populismi prodotti dal Sudamerica (non solo quelli desumibili dal titolo dell’opera) nascono dallo stesso schema, quello forgiato dalle missioni gesuitiche, fondato sulla religiosità ispanica, modello nel quale “i re cattolici ambivano a restaurare il Regno di Dio in terra, a creare un ordine temporale che come un organismo naturale replicasse il disegno divino” (dall’introduzione al volume, pubblicato da Laterza). Di qui il giudizio non benevolo nei confronti del pontificato di Francesco, rinvenibile sul sito dell’ISPI, al quale rimando, unitamente al libro e alla biografia del Papa, pubblicata da Zanatta poco prima della morte di Bergoglio, sempre presso Laterza.
Per mettere in dubbio l’opinione di uno studioso di valore occorre rifarsi a un’autorità indiscutibile. In questo caso, a quella di Isiah Berlin, tra i filosofi più importanti del XX secolo, il quale, in un convegno del 1968, disse che il concetto di populismo è come la scarpetta di Cenerentola. Così come il principe va cercando il piedino al quale la scarpetta si adatta, imbattendosi a lungo solo in aggraziate estremità alle quali essa si attaglia parzialmente (nearly-fitting), e giungendo al lieto fine solo nella logica propria delle favole, allo stesso modo, applicare l’etichetta (o scarpetta) di “populismo gesuita” a Bergoglio rischia di forzare la realtà in uno schema precostituito, senza riuscire nell’intento.
E mentre gli studiosi strologano di populismo papale, di antiamericanismo argentino, di gattopardismo vaticano ecc. ecc., centinaia di migliaia di fedeli rendono omaggio a Francesco, inverando per l’ennesima volta il detto evangelico: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli” (Matteo 11,25). Mentre i dotti cercano invano la scarpetta del populismo che calzi a Bergoglio, i “piccoli” hanno già trovato la loro risposta.
*Da Diariominimissimo 04/2025
** Blogger e podcaster