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”Odorate di periferia, di popolo, di lotta”

Papa Francesco ci ha lasciati, ma non sarà certo dimenticato, perché era uno di noi, uno che si metteva al servizio di tutti, che avrebbe voluto nella sua ansia di carità arrivare a tutti noi, a uno a uno. Quando incontrava le masse cercava sempre qualcuno a cui rivolgersi personalmente.

È stato come perdere un fratello, un congiunto stretto, un amico dal tempo della gioventù: persone indimenticabili. 

Aveva il dono di saper parlare dei problemi sociali in modo inscindibile dal Vangelo, che è sempre stato la sua base di riferimento.

A volte, abbastanza raramente, toccava temi teologici o citava la dottrina sociale della Chiesa, ma il Vangelo invece era ovunque nei suoi discorsi; quelli erano discorsi dottrinali, il Vangelo è vita, è esperienza diretta dello Spirito.

Non potendo toccare i molti temi da lui affrontati in tante occasioni, mi limito al tema del lavoro che per Francesco costituiva un trinomio insieme a casa e terra (terra, techo, trabajo).

Il lavoro costituisce un pilastro del suo insegnamento: il lavoro è espressione di libertà, perché “permette all’uomo di guadagnarsi il pane” (concetto da lui ripetuto infinite volte, perché vedeva in questo l’autonomia della persona); se si toglie il lavoro all’uomo si priva l’uomo della sua dignità.

E denunciava con forza due questioni: che il sistema economico attuale basato sul profitto costringeva molti alla precarietà e alla povertà; che questo sistema produceva delle eccedenze umane, degli scarti, persone che perdevano la possibilità di lavorare.

Chi può dimenticare le assemblee che convocava in Vaticano di lavoratori poveri: cartoneros, venditori ambulanti, artigiani di quartiere, sarte, piccoli contadini, persone cui era negato anche il diritto al sindacato.

Ma la sua visione non si limitava a giudicare le conseguenze negative dell’economia di mercato; invitava alla solidarietà che è agire in termini di comunità e lottare contro le cause strutturali della povertà, della diseguaglianza, dell’ingiustizia.

Rivolgendosi ai poveri sosteneva che questo è un modo per fare la storia.

E ai lavoratori poveri diceva anche “voi odorate di periferia, di popolo, di lotta”.

Senza andare realmente nelle periferie, i progetti che ascoltiamo nelle conferenze internazionali rimangono inattuali o, peggio, diventano strategie di contenimento, che rendono i paesi poveri addomesticati e inoffensivi, passivi.

Parlando ai dirigenti della Cisl e della Cgil, in due occasioni distinte, il Papa è entrato più nel merito dei problemi attuali del lavoro nel mondo occidentale.

I principi rimangono gli stessi ma si declinano in modo più rispondente: innanzitutto il valore del lavoro che consente di realizzare se sessi, di vivere la fraternità, di coltivare l’amicizia sociale e di migliorare il mondo.

Indubbiamente, tra le espressioni di Papa Francesco a riguardo, questa è quella che appare più completa e più vicina a noi.

Aggiunge poi un altro concetto molto importante: con il lavoro si costruisce una trama di connessioni tra persone e progetti che sono il tessuto della democrazia, la quale non nasce nei palazzi, ma dalla operosità creatrice che proviene dalle fabbriche, dalle botteghe artigianali, dai laboratori, dai luoghi di lavoro.

Appare in questa affermazione una visione della democrazia, come democrazia sociale, che nasce dal basso, dal lavoro (tesi tanto bella, quanto innovatrice).

Rivolgendosi alla Cisl sostiene che persona e lavoro sono due cose che devono stare insieme. La persona si realizza in pienezza quando diventa lavoratore/lavoratrice. La persona fiorisce nel lavoro. Il lavoro è la forma più comune di cooperazione che l’umanità abbia generato.

Però la persona non è solo lavoro: occorre avere uno sguardo più ampio e proteggere non solo quelli che sono dentro (i garantiti), ma anche quelli che sono fuori, che spesso sono disperati e senza aiuto.

Il sindacato deve tornare ad essere profetico e non schiacciarsi sulle istituzioni e i partiti che, quando ce n’è bisogno, devono essere criticati.

Questa è un’economia di mercato, non un’economia sociale di mercato e quindi esclude i giovani di prima assunzione, le donne che sono considerate di seconda classe, gli anziani.

Queste persone rappresentano le periferie attuali, periferie esistenziali, per le quali dobbiamo impegnarci.

Nelle encicliche e nell’esortazione “Evangelii gaudium” i temi del   lavoro e dell’economia ritornano, in un quadro mondiale.

Dura è nell’esortazione la condanna dell’attuale sistema economico: “Come il comandamento non uccidere pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita, noi dobbiamo dire no ad un’economia dell’esclusione e della inequità” (EG, n.53).

E questo perché con la cultura dello scarto:”Non si tratta più semplicemente dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stesa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nelle periferie, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono sfruttati, sono rifiuti, avanzi” (EG,n.53).

Un altro richiamo importante, ben poco usuale per noi europei, è quello del popolo.

Per Francesco è un concetto fondamentale. Lo trae dal Vangelo e da come Gesù operava in mezzo al suo popolo cui si rivolgeva con affetto.

Bisogna stare in mezzo alla gente, condividere la loro vita, collaborare con tutti alla costruzione di un mondo nuovo. È’ un invito all’apertura verso tutti, verso ogni persona, al di là delle appartenenze religiose, politiche, sindacali, nazionali. 

L’ enciclica “Fratelli tutti” ci invita mediante “l’amicizia sociale” ad aprirci agli altri popoli per favorire un avvicinamento.

Anche qui non mancano considerazioni sull’economia: in particolare ricorda che il diritto di proprietà è un diritto naturale secondario, subordinato al principio primario della destinazione universale dei beni.

E ricorda che, se si vuole ricostruire la pace a livello mondiale, non si deve dimenticare che l’inequità e il mancato sviluppo umano integrale lo impediscono. Se si tratta di ricominciare, sarà sempre a partire dagli ultimi.

Infine, la “Laudato sì” afferma che “Non ci sono due crisi separate, una ambientale e una sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale” (LS, n.139).

Siamo all’interno di una situazione così complessa che i problemi si mescolano e si intersecano e richiedono soluzioni comuni o convergenti.

Spesso la dottrina sociale della Chiesa si mantiene su orientamenti di carattere generale; direi che, invece, i discorsi di Francesco sono molto chiari, diretti, precisi.

Sono quindi per un cristiano un impegno indifferibile, lo obbliga a prendere posizione, a vedere quale è la sua parte in questo disegno, in questo processo (Francesco infatti avvia processi).

Concludendo si può dire che nella visione di Francesco il lavoro sia servizio. Lo è particolarmente quello del sindacalista, che si trova nella situazione ideale richiamata da Francesco.

È in mezzo ai problemi e in mezzo alla gente e affronta i problemi con la gente, assieme.

È qui che ogni giorno si fa fraternità, società, democrazia.

*già Segretario generale della CISL ci Milano e della Lombardia

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