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L’Italia verso la democrazia illiberale

Le scelte e i fatti relativi del governo italiano, entrato nella seconda parte della XIX legislatura della Repubblica, dimostra che stiamo vivendo un particolare periodo del nostro Stato in direzione di alcune trasformazioni istituzionali e politiche che stanno gradualmente mutando l’identità democratica del nostro Paese. 

Non conta tanto il riferimento ad un presunto ritorno del fascismo che rimane un fatto storico vissuto e conclusosi nel secolo scorso, quanto la recente strategia dell’odierna destra, che da quel movimento può trarre una certa ispirazione, ma che rimane pensiero e strategia dell’Italia di oggi. 

Il primo elemento significativo di questo processo rimane una evidente differenza con relativo distacco del governo Meloni dallo spirito e la lettera della nostra Costituzione democratica, non solo e non tanto sulla sua evidente identità antifascista (nonostante qualche parziale e tardiva ammissione della premier sul fascismo nemico della nostra libertà) ma per la precisa e concreta concezione della Nazione come espressione diversa e per  taluni aspetti alternativa al nostro Stato costituzionale, nella concezione  del potere, delle istituzioni, dei rapporti internazionali e delle relative libertà dei cittadini.  

Con riferimento alla concreta vita dell’attuale governo possiamo notare le seguenti scelte strategiche e politiche che confermano tale assunto. Innanzitutto il Parlamento, cuore e fonte del potere democratico, ridotto a semplice macchina di produzione delle decisioni del governo. Privo di un dibattito politico dignitoso sui problemi del Paese, retrocesso a strumento propagandistico della maggioranza, con l’opposizione malamente sopportata. 

In secondo luogo, le stesse riforme costituzionali in cantiere (premierato, autonomia, giustizia) che, seppur condizionate dalla diversa impostazione politica di FdI e Lega, rompono l’equilibrio dei poteri previsto dalla Carta, in direzione di un anomalo rafforzamento dell’esecutivo. 

Un terzo elemento incompatibile con la Costituzione attiene alla concezione del nostro rapporto con l’Europa che, secondo l’articolo 11, è basato sulla cessione di parti di sovranità dallo Stato all’Ue in direzione di un’Europa federale mentre l’attuale governo, a parte Salvini che, con il gruppo europeo dei Patrioti, è radicalmente contrario alla stessa idea d’Europa, nella linea egemone di FdI, è contrario a ogni cessione di sovranità della nazione riducendo l’Ue al massimo ad una confederazione tra Stati sovrani. 

Questa linea, sostanzialmente antieuropea, alternativa a come, fin dall’inizio, l’Europa fu concepita dai fondatori, viene confermata dall’orientamento generale della politica estera fondata su un atlantismo trumpiano con tutte le conseguenze negative in termini di difesa reale degli interessi nazionali, e di isolamento europeo e internazionale.

 Con una certa dose di sfrontatezza si è pensato che tale anomala alleanza servisse come elemento di mediazione per favorire il negoziato sui dazi tra Usa e Ue, mentre la realtà dei rapporti ha dimostrato la marginalità di Meloni rispetto a Trump, in occasione dell’incontro in San Pietro tra Trump, Zelensky, volonterosi, e il suo isolamento rispetto al previsto negoziato Ue-Usa sui dazi. 

Se a questi elementi fondamentali aggiungiamo un sistema di comunicazione della premier e del governo fondato sulla propaganda che contraddice consapevolmente la realtà, e una sistematica e invasiva occupazione del potere attraverso una gestione rigidamente di parte delle nomine istituzionali, ci rendiamo conto di come l’azione di governo si stia progressivamente allontanando dalla corretta gestione democratica del nostro Stato. 

Una realtà tanto più preoccupante se valutiamo come tale situazione è vissuta dall’opposizione.  Innanzi tutto, va tenuto presente quanto accaduto nelle elezioni politiche del 2022 quando in una competizione, prevista come bipolare dalla legge elettorale, una coalizione comunque coesa di centrodestra si è confrontata con un centrosinistra diviso e quindi non competitivo, rendendo l’esito scontato del voto, nonostante la maggioranza dell’elettorato fosse contraria. 

Da quella sconfitta regalata, a tutt’oggi la realtà dell’opposizione non è sostanzialmente mutata nel senso che la sua azione non è andata oltre una contrapposizione ideologica e uno scontro sulle singole scelte, spesso limitata anche dall’insorgere di scontri e divisioni tra Pd e M5S, senza riuscire a rendere evidente una precisa alternativa di governo del Paese. In tal modo, come dimostrano anche i sondaggi più recenti, con FdI che cresce e il Pd che cala, essa è diventata funzionale alla maggioranza e al suo consolidamento. 

Senza una forte ed evidente svolta del Pd, che renda evidente e operativa una alternativa di governo del Paese, l’esito delle prossime elezioni politiche del 2027 appare scontato, al punto che la stessa Meloni, fiutando l’aria favorevole si candida fin da ora. 

Questo rimane il dilemma fondamentale del Pd, tra la continuità di un ruolo di opposizione tradizionale, fatalmente vocato alla sconfitta e il coraggio di assumersi fino in fondo l’onere di dar vita ad una alternativa di governo per dare inizio ad una opposizione diversa che reimposti su questa base il centrosinistra e realizzi una nuova fase della politica italiana. Un dilemma dal quale il Pd e tutte le sue componenti non possono sfuggire, e che deciderà, in ogni caso, il futuro del partito.

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