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La democrazia vaticana

Dall’intera vicenda che si è celebrata in Vaticano, con l’elezione del nuovo Papa, l’insegnamento che un laico dovrebbe trarne è che proprio il Soglio di Pietro oggi è una delle poche democrazie rappresentative che funziona, senza cedimenti populisti. Proprio il ritorno di Leone XIV davanti ai cardinali per spiegare le ragioni della scelta del nuovo nome ci dice quanto funzioni nei palazzi vaticani il vincolo di rappresentatività.

Più di un comune sindaco o assessore, che una volta eletti la prima cosa che pensano è come sganciarsi da ogni legame con gli organi elettivi, il vicario di Cristo, una volta designato, per decisione del tutto autonoma e consensuale del collegio cardinalizio, ha avvertito una sorta di vincolo di gratitudine, se non di vera e propria dipendenza, tornando all’origine della sua carica e sollecitando un coinvolgimento dei propri elettori nelle sue scelte.

Ma al di là delle procedure, quello che sembra aver funzionato, e non solo in questo caso, è anche la cinghia di trasmissione fra i cardinali e le rispettive comunità di fedeli che li hanno sostenuti. Quella geografia così approssimativa che vuole distinguere i principi della chiesa in riformisti e conservatori, e oggi potremmo dire in globalisti e sovranisti, è invece uno dei rimbalzi delle caratteristiche degli ambiti pastorali che circondano la gerarchia ecclesiale.

I vescovi africani sono classificati più propensi a difendere la cerimonialità del potere temporale della Chiesa perché i propri fedeli sono bersaglio di conflitti e persecuzioni che possono essere mitigati proprio dalla protezione di un potere forte. Mentre tedeschi o europei del nord sono più decisi nel percorso innovativo per le condizioni socio culturali dei rispettivi territori.

Sono banalità sociologiche che oggi assumono la forma di eccentricità meccanicistiche in confronto a sistemi politico-elettorali, tutti protesi a un plebiscitarismo emotivo, in cui solo suggestioni gridate dal leader e riprodotte, molecolarmente, da un accorto uso della rete, sono in grado di costruire larghe basi di consenso. Consenso che, una volta deposta la scheda, non trova altri modi per interloquire con i propri eletti, che diventano amministratori delegati della propria carica.

La Chiesa, proprio nel momento di massimo sbandamento – con le dimissioni di Papa Ratzinger, che sorprese il mondo annunciando il suo ritiro con una formula che non lasciava spazio alle incertezze: “In Mundo nostri temporis rapidis mutationibus subiecto et quaestionibus magni ponderis pro vita fidei perturbato”. Una vera sentenza: la massima autorità religiosa occidentale alzava le mani dinanzi a quei “temporis rapidis mutationibus” rispetto ai quali si dichiarava “subiecto”; attraverso i suoi rappresentanti ha puntato prima su un gesuita, Papa Francesco, e poi su un agostiniano, Papa Leone XIV. Due scuole di pensiero forti, nate e consolidatesi proprio nel contrasto con i poteri prevalenti che miravano a recintare l’ambito di sovranità religiosa.

Una scelta che metodologicamente ha attraversato in entrambi i casi l’intera catena di rappresentanza dell’universo cattolico, trovando proprio nella coerenza e nella affinità fra base e vertice l’energia per reggere rispetto al confronto con il fenomeno che sta insidianto aspetti fondanti della fede: le intelligenze artificiali.

Prima Francesco, ora Leone, individuano in questo sistema non una tecnologia, o, ancora più brutalmente, una tecnica, come filone della filosofia spiritualista o esistenzialista, ma una questione sociale, una dinamica che determina le relazioni e i rapporti economici e antropologici. Siamo dinanzi a un mondo, aveva scritto Francesco al G7 sull’intelligenza artificiale, in cui bisogna far entrare gli esclusi. Ma al di là del merito è la concatenazione di rappresentanze, il modo con cui legare una grande comunità dando sostanza ai vertici mediante un consenso organizzato della base non in quanto tale, ma in quanto mediazione permanente di interessi e obiettivi attraverso una struttura di collegamento, dialogo e consenso.

La Chiesa, potremmo dire, è già un’altra cosa rispetto a quella comunità verticale di cui ancora qualcuno ha nostalgia: è uno snodo di quella gigantesca rete planetaria che sta allineando ogni essere umano su una stessa linea di reciproco collegamento. In questo ramificato universo il successore di Pietro si chiede chi comanda? E rivolgendosi ai suoi confratelli ne chiede la collaborazione per condizionare la risposta. Per l’Occidente assediato da autocrati e sovranisti potrebbe essere una bella opportunità da riprodurre.

* da HuffPost Italia 12/05/2025 

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