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Una riflessione sulla Cisl che sta mutando identità

Mi ha sollecitato a riprendere il tema della Cisl, la nomina dell’ex segretario generale Luigi Sbarra a sottosegretario alla Presidenza del Consiglio per seguire i problemi di sviluppo del Sud del Paese. 

Non coglie il significato di tale nomina il messaggio diffuso dall’attuale dirigenza della Cisl, secondo il quale si tratterebbe di un normale passaggio dal sindacato alla politica, così come avvenuto in tante occasioni precedenti. In realtà si tratta di un fatto del tutto nuovo che prevede la cooptazione dell’ex segretario generale nel ristretto gruppo dei collaboratori di fiducia della premier Meloni, senza alcuna mediazione intermedia. 

Nei precedenti passaggi di dirigenti della Cisl dal sindacato alla politica ciò è avvenuto quasi sempre attraverso una elezione in Parlamento e con incarichi connessi all’esperienza sindacale, in ogni caso mai a destra. Risulta perciò giusto interrogarci sul perché un’organizzazione come la Cisl, con una precisa autonomia rispetto alla politica, conquistata sul campo, abbia realizzato una svolta così profonda senza che siano apparsi cambiamenti particolari.  

Se indaghiamo nella storia di tre quarti di secolo di questa organizzazione possiamo, a mio parere, individuare alcuni fatti che, al di là delle apparenze, possono spiegare, almeno in parte, tale trasformazione. Nel luglio 1985, Franco Marini, appena succeduto a Pierre Carniti come segretario generale, nominò per la prima volta due segretari generali aggiunti nelle persone di Eraldo Crea e Mario Colombo. Successivamente, nel 1991 dopo Marini, nessuno dei due divenne segretario generale ma venne scelto un nuovo segretario, Sergio D’Antoni, proveniente dalla Cisl siciliana che portò un’aria diversa nel sindacato rispetto all’esperienza precedente, soprattutto in relazione al rapporto con la politica. 

Nella sua gestione non si verificarono svolte particolari, anzi fu protagonista di alcune positive esperienze di concertazione tra governo e parti sociali, ma una strada diversa era stata imboccata.  Dopo aver terminato il mandato nella Cisl, D’Antoni diede vita con Ortensio Zecchino e il sostegno di Giulio Andreotti, a un nuovo partito: “Democrazia Europea” che rimase in vita un anno e poi confluì nell’Udc. 

Nel periodo successivo altri segretari generali subentrarono alla guida della Cisl senza cambiamenti clamorosi. Pesò sulla Cisl e sul sindacato l’affievolirsi della spinta all’unità sindacale, la crisi economica del 2008, gli effetti del Covid. Ogni confederazione ricercò un proprio ruolo con un oggettivo spostamento dell’azione sindacale dalla innovazione contrattuale e concertazione sociale all’attività dei servizi che consentirono un ulteriore sviluppo organizzativo nella stabilità dei bilanci.  

Progressivamente riprese un rapporto con la politica in crisi che rimise in discussione l’autonomia sindacale. Subentrò un pluralismo sindacale con una tendenza a ripercorrere le strade del passato e l’attenzione prevalente rivolta alle scelte dei governi, rispetto ai quali risultava più facile individuare obiettivi da rivendicare. Una riduzione complessiva del ruolo dei sindacati confederali che ha favorito il proliferare di piccoli sindacati autonomi e radicali, e abbassato la qualità delle relazioni industriali. 

Una situazione che si è riproposta con il governo Meloni, con risultati deludenti, anche per i limiti del sindacato.  Con riferimento agli ultimi avvenimenti pensiamo alla grave sconfitta di segno regressivo della Cgil nei recenti referendum sul lavoro, e alla stessa legge sulla partecipazione dei lavoratori nell’impresa concordata dalla Cisl con il governo. Questa legge, uscita dal passaggio parlamentare ridimensionata nelle sue ambizioni politiche, in relazione alle sue prime applicazioni sembra ridursi a qualche azione dell’impresa distribuita ai lavoratori, che non cambia nulla della sostanza della loro condizione. 

L’altro motivo che spiega l‘evoluzione della Cisl e del sindacato è stato il prevalere dell’attività sindacale di sempre con insufficiente attenzione e impegno di fronte alla radicale trasformazione deal lavoro in atto. L’aver guardato e agito da un’altra parte rispetto al cambiamento in corso, rimane il maggior problema del sindacato di oggi che spiega la sua scarsa incidenza sul lavoro che si trasforma. 

Dietro la spinta dell’innovazione digitale e della Intelligenza artificiale, unite alla finanza internazionale, si sta realizzando una rivoluzione che molti ritengono la maggiore nella storia dell’umanità nei diversi aspetti della vita umana ed in particolare nel lavoro. In sede storica si afferma che tale trasformazione è destinata a superare la rivoluzione industriale, durata oltre tre secoli, e la stessa classe operaia come soggetto protagonista della lotta anticapitalista. 

Ai lavori in gran parte uguali della grande fabbrica sono destinati a succedere lavori diversi per competenza, durata, retribuzione. Molti posti di lavoro sono destinati a scomparire (come con i taxi senza guidatore in molte città americane) e altri nasceranno cambiando in profondità il panorama e i caratteri del mondo del lavoro. Per il sindacalismo confederale sarà una sfida cruciale destinata a ridefinire, nel vivo dell’attività, una nuova declinazione dei valori costitutivi di uguaglianza e solidarietà e la sua stessa identità futura. 

La Cisl, in particolare, se vorrà essere fedele alla sua storia e ai suoi valori, sarà stimolata a un nuovo protagonismo sindacale teso a governare e umanizzare questa vera e propria rivoluzione inedita per velocità e diffusione in tutti gli aspetti della vita umana. Le condizioni per far fronte a questa sfida rimangono, a mio avviso, due. Una nuova classe dirigente sindacale che assume tale sfida come motivo essenziale del futuro del sindacato e del proprio ruolo e la ripresa del cammino dell’unità sindacale, interrotto nel secolo scorso, per interferenza della politica. Un compito enorme ma che sta tutto dentro le finalità per cui la Cisl è nata.

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