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Un passo indietro nel rapporto cattolici-politica

C’era una certa attesa per il Meeting di Rimini di quest’anno, preparato con grande impegno da Comunione e Liberazione attorno al titolo impegnativo di S.T Elliot: “. “Nei luoghi deserti costruiremo con mattoni nuovi”. Finalizzato ad una ampia partecipazione, corredato da una pluralità di mostre e iniziative, era previsto con un programma che, fin dall’inizio, era destinato a suscitare interesse e dibattiti, essendo costruito attorno all’apertura di Mario Draghi e alla chiusura di Giorgia Meloni. Gli inviti erano caratterizzati dalla presenza in massa di vari ministri ed esponenti di centrodestra estesi ad alcuni cattolici di centrosinistra con una evidente scelta di favorire la politica di oggi. 

Nel corso dei sei giorni di durata della manifestazione, tra le innumerevoli iniziative realizzate, alcune di particolare valore, come le testimonianze dirette delle madri delle fazioni in guerra a Gaza e del superamento dell’odio tra parenti di protagonisti e vittime del terrorismo nel nostro Paese, la maggiore attenzione, dentro e fuori il Meeting, si è concentrata sull’intervento iniziale di Mario Draghi sui problemi attuali dell’Unione Europea e su quello finale della premier  sul valore e le prospettive del suo governo.  

Draghi ha spiegato, alla luce delle esperienze geopolitiche attuali, come l’Ue, pur rimanendo un mercato economico importante, risulti del tutto inadeguata a svolgere un ruolo di polo geopolitico protagonista senza una precisa e coesa unità politica, ancora tutta da conquistare. In termini coraggiosi, egli ha svolto una critica serrata su tale ritardo e ha auspicato l’avvio di una nuova fase di avanzamento concreto verso gli Stati Uniti d’Europa. Tuttavia, per Draghi l’Europa rimane il vero soggetto che, per storia, cultura e valori di riferimento, è potenzialmente capace di influire in modo determinate sul nuovo ordine mondiale assieme a Usa e Cina. 

Del tutto diverso il lungo intervento di Meloni che, cogliendo l’occasione del Meeting e di una certa omogeneità culturale dell’uditorio, ha esposto in termini enfatici, il valore di svolta essenziale del suo governo, rispetto ai limiti della politica precedente, mettendo assieme ideologia e propaganda. Più che analizzare i fatti, la premier ha affermato, in termini di indimostrabile certezza, che l’Italia, con questo governo, si sta riappropriando del suo ruolo storico tanto nella politica internazionale che interna, come risultato della sua identità e della sua stabilità. 

Sull’Europa, utilizzando strumentalmente i giudizi di Draghi, ha accentuato le critiche relative alla sua marginalità politica e alla sua   incapacità di risposte credibili ai numerosi problemi e alle esigenze di presenza e di ruolo nel contesto globale. In uno sprazzo di verità ha affermato che il futuro dell’Ue sarà caratterizzato da un’unità nella diversità, con conseguente abbandono della prospettiva dell’Europa federale.  In politica estera l’Italia sta pienamente nell’Occidente, dimenticando che il suo alleato Trump, con la sua politica, lo sta distruggendo. Per il futuro si confermano le scelte delle riforme costituzionali su premierato e giustizia, la lotta ai migranti clandestini, le riforme di scuola, lavoro, sanità, e un grande piano casa. Il tutto in un contesto culturale nuovo, nel quale la presenza della Chiesa sia pianamente legittimata sulla base della svolta impressa da Papa Giovanni Paolo II. 

Un discorso largamente scontato, che ha ricevuto ripetuti, scroscianti applausi dei partecipanti, la cui validità deriva, più che dai contenuti, dallo stato di crisi del nostro sistema politico, ancora privo di una credibile alternativa. Dal punto di vista del rapporto tra cattolici e politica va constatato che nel Meeting il percorso di ricerca e approfondimento avviato nella settimana di Trieste dello scorso anno, sulle nuove esperienze dei cattolici nel contesto di laicità nella società secolarizzata, è stato abbandonato. Appare sostituito ad un rapporto plaudente con la politica, trascurando un impegno critico dei credenti di fronte ai suoi limiti sempre più evidenti rispetto ai problemi del Paese. 

Il fatto che oggi la politica prevalente risulti più conservatrice, ancorché pienamente legittima, non giustifica minore testimonianza e impegno critici dei cristiani sulla base dei valori di cui sono portatori. Nell’anno che segna il traguardo dei 60 anni dalla celebrazione del Concilio Vaticano II, che indicò ai laici cristiani più chiaramente un percorso di libertà e responsabilità nella loro attività temporale, credo che nell’azione politica la loro testimonianza debba andare oltre una  marginalità subalterna per assumere fino in fondo la responsabilità e l’onere  di essere, al livello della loro responsabilità, guida critica e creativa con la relativa disponibilità a pagare il prezzo che tale ruolo richiede.

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