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La storia si ripete e il burattinaio è sempre lo stesso

Un sol grido: terre ai coloni!

È la richiesta semplice, arrogante e chiara che si alza ‘dai nuovi arrivati in un nuovo Paese’ come predatori sempre desiderosi di nuove terre. È successo così con i coloni bianchi degli Stati Uniti d’America, e succede ora in Cisgiordania e (forse fra non molto) succederà nella striscia di Gaza.

Lo sanno tutti che l’erba del vicino è sempre più verde; e allora perché non coglierla?

Due secoli fa si era dato forma politica e giuridica un nuovo Stato Federale, denominato Stati Uniti d’America, con a Ovest un confine naturale che è il fiume Mississippi (anche la storia dei fiumi a confine si ripeterà). Da Saint Louis si vedevano le immense praterie al di là del fiume: ma guarda quanto è verde l’erba del vicino! 

E allora i coloni non frenano l’ingordigia e cominciano ad avanzare protetti dall’esercito, benedetti dai gestori della fede ma soprattutto da quella particolare (in)cultura della diversità che crea razzismi e gerarchie. 

E i nativi che fine fanno? Anticamente erano barbari, poi selvaggi, ora terroristi. Quindi perché piangerne la morte? Perché non gioire di terre, produzioni, economie riconsegnate finalmente alla civiltà? 

Le armi per la conquista sono tante: quelle da fuoco, una volta semplici come Colt e Winchester e oggi sofisticate e distruttive, legate alla fame (distruggiamo i bisonti, come oggi blocchiamo gli aiuti umanitari), all’esportazione della civiltà e dei loro diritti dell’uomo (bianco), fino alle alleanze più o meno esplicite, economiche e politiche con i Paesi geograficamente e culturalmente contermini.

Negli USA consolidati (ai primi del novecento) c’è stato anche un vero e proprio etnocidio, un’azione programmata a distruggere lingua e cultura dei nativi. Vengono presi i bambini e mandati forzatamente nei collegi di cultura bianca, vestiti alla marinara, a imparare eparlare una lingua non loro, a studiare una storia che vedeva i loro padri come selvaggi, talmente selvaggi che non accettavano di buon grado, e con la dovuta sottomissione, la civiltà portata dai coloni. E, pensate un po’, si ribellavano!

Per ora a Gaza si sono fermati al genocidio, ma molti iniziano a dire esplicitamente che vorrebbero riscrivere la storia e modificare le icone della Valle dei Templi.

Negli USA vengono abolite le danze e le feste dei nativi americani: non si potevano eseguire (a cuor leggero) neanche nelle riserve, che da nicchie culturali sono a tutt’oggi trasformate in luoghi di libero esercizio del gioco d’azzardo, con sigarette e merci a minor costo, in cui andarsi a sballare il sabato sera (e non solo).

È per questa tradizione che la prima cosa che ha detto il Presidente degli USA è stata: trasformiamo Gaza in una nuova Costa Azzurra.

Il burattinaio è sempre lo stesso, il Presidente degli USA; per Gaza ha un attendente di tutto rispetto nella cultura del colonialismo e della sostituzione di civiltà e culture: è l’attuale capo del Governo di Israele.

Attenzione: Israele è una democrazia nella quale governa chi è eletto da una parte dei cittadini israeliani. Non confondiamo la parte con il tutto. Nella mia vita ho partecipato a infinite manifestazioni di protesta e di dissenso con chi mi governava e non ho mai accettato di essere confuso culturalmente, politicamente ed economicamente con i governanti.

Mentre scrivo (24 agosto), leggo i sondaggi, con il valore relativo che hanno, sulla politica di Israele e successivi all’annuncio dell’esecutivo sull’operazione militare nella Striscia: il 62% degli intervistati non ha più fiducia nel governo Netanyahu, e solo il 18% non vuole un accordo con Hamas.

Responsabile del genocidio a Gaza e di averla ridotta alla fame, è il governo e la parte di popolazione che esso rappresenta, fino a quando questa non si dissocerà apertamente.

Il popolo ebraico è un grande popolo con una grande cultura e tutti noi occidentali gli dobbiamo qualcosa; ci siamo formati sulle teorie di molti dei loro scienziati e uomini di cultura. Israele ha avuto economisti e filosofi che tra l’altro hanno formato culturalmente le più grandi rivoluzioni del secolo scorso. E poi c’è la scuola di Francoforte, un faro per la cultura del novecento non assoggettata alla visione tayloristica della modernità. Non confondiamo la condanna al governo Netanyahu con un’inesistente critica al popolo ebraico che nessuno fa e che nessuno vuol fare, salvo quelli che culturalmente si sentono di appartenere ancora ai crimini del fascismo e del nazismo e alle loro leggi razziali.

E poi è Netanyahu il responsabile diretto e formale del genocidio di Gaza e speriamo che ne risponderà alla giustizia internazionale e alla morale dei popoli. Ma diciamolo: senza l’avallo del burattinaio non avrebbe potuto dare sfogo al suo odio etnico.

Mentre scrivo, leggo: gli Imam italiani aderiscono all’appello di 80 rabbini ortodossi e conservatori moderati

“I peccati e i crimini di Hamas non esonerano il governo di Israele dal suo obbligo di compiere tutti gli sforzi necessari per prevenire la fame di massa … Vi sono stati mesi in cui Israele ha bloccato i convogli umanitari, partendo dal presupposto errato che aumentare le sofferenze avrebbe portato alla resa di Hamas. Il risultato è stato invece un aggravarsi della disperazione. La giustificata rabbia nei confronti di Hamas è stata pericolosamente amplificata da alcuni estremisti fino a trasformarsi in un sospetto generalizzato nei confronti dell’intera popolazione di Gaza, compresi i bambini, bollati come futuri terroristi. Nel frattempo in Cisgiordania la violenza dei coloni estremisti ha provocato l’uccisione di civili e costretto gli abitanti dei villaggi palestinesi ad abbandonare le loro case, destabilizzando ulteriormente la regione. … In mezzo a questa devastazione, l’assenza di una chiara visione postbellica da parte del primo ministro Netanyahu ha permesso alle voci più estreme del governo israeliano, compresi i Ministri della comunità sionista religiosa, di riempire il vuoto con proposte inquietanti. Fra queste vi sono anche l’esilio ‘volontario’ forzato dei Palestinesi da Gaza e il sacrificio degli ostaggi israeliani rimasti, nel perseguimento di una sfuggente vittoria totale. Questo momento richiede una voce diversa, fondata sui nostri valori ebraici più profondi e informata dalla nostra traumatica storia di vittime di persecuzioni”. 

La storia dei bisonti si ripete, la fame diventa un’arma di guerra volta al genocidio e all’etnocidio.

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