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Il Governo, il Garante della privacy e il senso dello Stato

Nell’ambito della vicenda relativa alla trasmissione del programma di Report della Rai, che il 16 ottobre scorso ha subito un attentato, con lo scoppio di un ordigno davanti all’abitazione del giornalista Sigfrido Ranucci a Pomezia (Roma) con la distruzione della sua auto e il danneggiamento della facciata della palazzina, è scoppiato il caso del ruolo del garante dell’Authority di tutela della privacy dei cittadini. 

La relativa inchiesta da parte della Direzione distrettuale antimafia prende le mosse dalle inchieste di Report e dalle reazioni della criminalità locale. Nonostante la diffusa solidarietà bipartisan al giornalista, il 23 ottobre il Garante della Privacy ha inflitto a Report una multa di 150 mila euro per aver reso pubblica la registrazione di una telefonata dell’ex-ministro Sangiuliano alla moglie. Ciò perché in tal modo si avrebbe violato il codice della privacy e il regolamento sulla protezione dei dati. 

Senonché, nel corso di una trasmissione, Ranucci ha documentato che uno dei membri dell’Authority, Agostino Ghiglia, designato da FdI, è andato a consigliarsi con Arianna Meloni del suo partito prima della suddetta decisione. Inoltre, su Report è andata in onda un’inchiesta dell’Authority sulla multinazionale californiana Meta, nel corso della quale il Garante avrebbe inizialmente proposto una sanzione di 44 milioni di euro, successivamente azzerata, fatto che potrebbe configurare un danno erariale allo Stato. Comportamenti che avrebbero determinato l’accusa di conflitto d’interesse, di mancata terzietà e di esposizione a pressioni politiche. 

In aggiunta, lo stesso Ranucci ha diffuso alcuni imbarazzanti dettagli sulle spese di rappresentanza dei componenti per cui si è scatenata una bufera con richiesta di dimissioni dell’intero consiglio da parte dell’opposizione. Se teniamo presente che in base alla legge istitutiva, a tutela della sua autonomia, l’azzeramento dell’Authority compete solamente ai suoi membri, la richiesta dell’opposizione può sembrare frettolosa, ma stupisce maggiormente la risposta di Meloni. 

La premier, oltre a richiamare il vincolo della legge, si è lasciata andare ad una polemica fuori posto sul fatto che l’attuale Authority è stata nominata dal governo giallorosso Conte 2 per cui la responsabilità ricade sulla stessa opposizione. A parte la proposta approvata dal Parlamento, per cui diviene di tutti, stupisce che il capo del governo qualifichi i componenti di una Authority indipendente come formata da uomini che rimangono di partito, mentre usa questo escamotage, del tutto fuori posto, per evitare di esprimere un giudizio motivato sull’insieme del suo comportamento. 

Un dovere che, in questo frangente spettava innanzitutto a chi governa, e il fatto che si sia preferito, con un cattivo espediente, difendere il proprio partito, denota una evidente caduta del senso dello Stato, che proietta un’ombra preoccupante sul governo Meloni. In un’altra occasione simile, l’intervento della premier è stato ben più di merito, anche se pure oltre le righe in termini di senso dello Stato, quando ha criticato il governatore di Bankitalia per il suo giudizio sulla manovra di bilancio, che aveva sostenuto la necessità di una maggiore crescita come premessa per poter affrontare gli altri problemi con possibilità di soluzione. 

Lo stesso presidente dell’Authority ha pure evitato di entrare nel merito, rifiutando le dimissioni con una motivazione solo formalmente ineccepibile: “Quando la politica grida allo scioglimento o alle dimissioni dell’Authority, non è più credibile”. A questo punto ci troviamo di fronte ad una authority indipendente che ha suscitato forti dubbi sulla sua imparzialità senza avere alcun rapporto con la politica perché chi l’ha nominata non ha nessun potere di revocarla. 

Ci sarebbe la via di riformare la legge istitutiva in quanto il legislatore italiano ha dimenticato l’inciso del regolamento europeo che prevede la possibilità di revoca “in caso di colpa grave o se non soddisfa più le condizioni richieste per l’esercizio delle sue funzioni” ma la via presenta maggiori difficoltà. La concreta possibilità di risolvere il problema è legata alla riforma delle clausole della sua elezione proponendo, come già alcuni hanno indicato, una elezione del Parlamento con una maggioranza qualificata di tre quinti degli aventi diritto. 

In modo che si tratti effettivamente di una scelta bipartisan. Una necessità inevitabile specie quando si tratta di garantire alcuni diritti umani che rappresentano l’identità della nostra democrazia come, in questo caso della libertà di stampa e di comunicazione, dove l’Italia si trova in grave ritardo risultando al 49° posto, tre posti più in basso dell’anno precedente.

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