Ignazio Visco ha di recente letto Le considerazioni finali della Banca d’Italia. Queste non dominano certo per originalità. Riprendono infatti i classici temi sulla crisi in corso. Sull’avanzo della bilancia commerciale tedesco prendono peraltro una posizione di contrarietà, per quanto sfumata. Le tesi che seguono sono invece per una correzione radicale dei parametri di Maastricht. Esse devono essere prese non come anticonformistiche, ma come l’ovvia prosecuzione di una discussione che fino agli anni Ottanta era pienamente viva. Il sindacato può uscire pienamente dall’attuale crisi, purché si occupi in pieno del ruolo, che già occupa, nel mondo dei servizi. Si osserva in particolare quanto segue.
a) Il dibattito Riforme per lo Sviluppo è la premessa sbagliata su cui si basa la discussione attuale. C’è la riforma del settore dei servizi, erronea, perché se in tale settore i prezzi sono troppo alti, esiste l’effettiva libertà di entrata. Nella grande industria, invece, prezzi troppo alti rispetto ai salari possono tenere, perché la libertà di entrata non è effettiva. C’è il Job Act, ovvero la riforma del lavoro, senza che se ne sentano benefici. C’è l’idea balzana della crescita della produttività, quando l’Italia ha una bilancia commerciale superattiva. C’è la riforma della Pubblica Amministrazione; la riforma dell’Università; la riforma della giustizia. Si potrebbe proseguire con l’elenco, ma vale una considerazione di base: negli anni ottanta del secolo scorso, quando le cose in economia andavano relativamente bene, perché non ci si occupava di queste riforme?
b) La verità è che nessuno dei commentatori si occupa del fattore fondamentale della crisi: la mancanza di deficit pubblico nei paesi avanzati. In questi paesi, infatti, lo sviluppo industriale è già avvenuto, e quindi gli investimenti sono necessariamente bassi. I risparmi, invece, proprio perché le economie sono sviluppate, sono mediamente alti. In assenza di moneta-merce, cui si dovrebbe ricorrere strutturalmente in questa situazione, l’unica misura possibile è il deficit pubblico. Ciò implica, necessariamente, un orientamento verso saggi di interesse nulli. Le decisioni in materia spettano al G20, che ha il difficile compito di portare gli interessi a zero nei paesi avanzati, lasciandoli tuttavia positivi nei paesi sottosviluppati. Il compito è fattibile (si vedano in particolare i miei articoli su Mondoperaio, del Novembre 2016, e sulla SIEP, Working Papers, 2017, in occasione dell’ottantesimo compleanno di Pedone), purché la discussione inizi veramente. Nel frattempo, si possono studiare soluzioni di tamponamento, con riduzioni del debito pubblico, tipo la proposta Salerno-Monorchio: ovvero una privatizzazione collettiva degli immobili pubblici, con tuttavia la golden share in mano allo Stato.
c) Nell’attuale situazione, un fattore potente della crisi europea è l’avanzo strutturale della Bilancia dei Pagamenti commerciale. Ciò vale per tutti gli avanzi, non solo per quelli europei. L’avanzo tedesco è spaventoso, ed ormai lo è quello dell’intera Unione. Ma ci sono inoltre gli avanzi della Cina e quelli dei paesi produttori di petrolio. L’unico reale contrappeso è il disavanzo americano, che ora l’America vuole ridurre. Nel frattempo l’Europa cresce nei suoi avanzi, stoltamente esaltandoli. Ciò nonostante che i Trattati Europei prevedano un limite massimo all’avanzo. L’esempio più clamoroso è quello tedesco, in cui i limiti previsti dai trattati sono sfondati di oltre il 50%: senza che nessuno, salvo l’America, osi neanche parlare di questa illegalità. Se l’avanzo commerciale tedesco non ci fosse, ed in suo luogo ci fosse stato il suo equivalente, cioè il deficit pubblico, il debito pubblico tedesco sarebbe simile a quello giapponese, pari a oltre il 200% del Pil.
d) Dunque i trattati europei vanno drasticamente rivisti. Il mondo deve essere diviso in zone, tipo l’Europa, ognuna con la missione del pareggio della Bilancia dei Pagamenti (per zona). Già le zone grossomodo esistono. Poi ci deve essere un centro, tipo il G20, che regoli i tassi di interesse a livello globale ed alcune aliquote di fondo dei sistemi fiscali (aliquote minime per l’Iva; per l’imposta societaria che colpisca i redditi al di sopra del saggio di profitto normale, cioè le rendite; aliquote differenziate sugli interessi). Ci si sta muovendo confusamente in questa direzione, con gli accordi sulla tassazione delle società di capitali tra Francia e Germania.
e) I paesi dei sub-sistemi mondiali, ad esempio quelli europei, hanno l’importante compito di allocare il nuovo debito, cioè il deficit, in relazione all’avanzo dei risparmi (calcolati al pieno impiego) rispetto agli ammortamenti e agli investimenti previsti. Va tenuto conto della situazione della bilancia dei pagamenti. Ovviamente la decisione in materia è collettiva. In altre parole, i controlli attuali sul deficit pubblico dei paesi europei vanno sostituiti da controlli e decisioni sulla dinamica delle grandezze macroeconomiche, con il settore pubblico che si muove di conseguenza.
f) Questi sono i cardini della politica economica del futuro. Essi sono solo lo sviluppo della discussione degli anni Ottanta, orientata secondo le idee originali di Keynes, anziché secondo l’orrida sintesi neoclassica, che ha distrutto il keynesismo. A questa impostazione bisogna tornare al più presto, dimenticando coloro che propongono le riforme per lo sviluppo e difendono l’unione europea così come attualmente è.
g) Socialmente, il sindacato riprenderà la sua forza, e potrà far crescere i salari nel lungo termine grossomodo come la produttività, pur mirando al pieno impiego della capacità produttiva. Questa potrebbe anzi divenire una nuova regola dei parametri di Maastrich, sostitutiva di quella dell’inflazione: cioè ogni quattro o cinque anni si fa un bilancio, adeguando (o riducendo) la crescita dei salari rispetto alla produttività. Ora questi due obiettivi (pieno impiego, salari che crescono come la produttività) sono da tempo distrutti, e non vengono più proposti all’attenzione (come insegnano le Considerazioni finali della Banca d’Italia): ciò è la base della sua debolezza.
h) Oltre che cambiare la musica sull’Europa, il sindacato deve cambiare la musica anche all’interno. Via lo sciagurato “Patto dei produttori”, che ha portato all’attuale situazione: strutturalmente, esso vede la dominanza delle ali estreme, la Confindustria e la CGIL. Gradualmente, il posto deve essere presto da una coalizione dei “Fornitori si servizi”, che potenzi il ruolo del sindacato come fornitore di servizi, e lo ponga altresì, con nuovi ruoli, al centro della dialettica sociale. La Cisl e la Uil, accanto al mondo, ora economicamente dominante ma politicamente morto, che ruota attorno a ReteImpreseItalia, ne sono i potenziali protagonisti.
i) Dunque tutti i parametri di Maastrich vanno sostituiti. In luogo del pareggio di bilancio il pareggio tra risparmio al pieno impiego, deficit e investimenti. In luogo dell’inflazione al 2% il pareggio dell’incremento dei salari con la produttività nel medio termine. In luogo delle attuali regole sui saggi di interesse, la libertà dei tassi lordi, tuttavia con un aliquota di prelievo fiscale, in Europa vicina al 100%. Questo dimostra che dell’Europa c’è bisogno. Le sue regole tuttavia devono essere profondamente diverse da quelle attuali.
(*) Economista, cultore della scienza della finanza