Dopo un lungo iter parlamentare è stata finalmente pubblicata in Gazzetta Ufficiale la Legge n. 81/2017, meglio conosciuta come Statuto del Lavoro Autonomo.
Si tratta di un provvedimento che inizia a dare alcune importanti risposte alle istanze provenienti dal mondo del lavoro professionale, un universo che, pur rappresentando oltre 1,5 milioni di lavoratori e pur essendo capace di produrre una quota a due cifre del Pil italiano, è stato troppo spesso dimenticato dalla politica.
Nello specifico il campo di applicazione del testo si riferisce a circa 1,25 milioni di professionisti iscritti a ordini e collegi professionali[1] e a circa 300.000 lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata INPS[2]. A ben vedere ci si trova di fronte a un settore economico molto frammentato ed eterogeneo sia nelle modalità di organizzazione del lavoro (dove prevale nettamente la piccola dimensione), sia nella tipologia di professione esercitata (si va dalla tutela della salute al diritto alla giustizia) sia soprattutto per le notevoli disparità in termini di redditi percepiti dovute all’età, al sesso e alla localizzazione territoriale.
Prima di procedere all’analisi puntuale del provvedimento è utile ricordare come esso nasca da un fenomeno che non ha precedenti nella storia sindacale del nostro Paese, ovvero la capacità di aggregazione rappresentata dalle Associazioni sindacali dei lavoratori autonomi; capacità che negli ultimi anni ha saputo superare il tipico individualismo dei professionisti e la storica contrapposizione tra ordinistici e non ordinistici.
Accanto a questa rinnovata modalità di rappresentanza del lavoro autonomo c’è da registrare anche un importante cambio di passo della politica, che per la prima volta ha considerato i professionisti non come “lavoratori diversamente dipendenti” ma quali soggetti autonomamente degni di tutela e di opportunità di crescita e sviluppo professionale.
Fatte queste premesse provo a rappresentare le novità più rilevanti del provvedimento, facendo riferimento anche ad alcune significative misure “complementari” introdotte negli ultimi due anni.
Innanzi tutto, guardando il provvedimento nel suo complesso, l’esame delle nuove norme porta a identificare due diverse linee di azione:
- la prima guarda al professionista come a un lavoratore e, quindi, una persona che necessita di diritti e tutele;
- la seconda valuta il professionista come un soggetto economico che, investendo e competendo nel mercato, crea ricchezza economica e culturale.
In estrema sintesi, quindi, se da un lato viene riconosciuto che l’esercizio dell’attività professionale richiede investimenti sempre più importanti in conoscenza, formazione, specializzazione e organizzazione (strumenti tradizionalmente tipici dell’impresa), dall’altro viene sancito che – anche a causa dell’incremento della concorrenza, del calo dei redditi e più in generale dell’incertezza legata ai dinamici cambiamenti del contesto economico-sociale – diviene necessaria l’adozione di strumenti di protezione sociale analoghi a quelli propri del lavoro dipendente.
Proprio il ribaltamento della concezione secondo la quale il professionista avrebbe dovuto occuparsi autonomamente dei propri bisogni di welfare (malattia, maternità, ecc.) a favore di una visione che pone a carico della collettività tali aspettative rappresenta, probabilmente, il passaggio più “rivoluzionario” dello Statuto del Lavoro Autonomo.
Tutto ciò si coglie quando si esaminano le norme dedicate ai professionisti iscritti alla gestione separata INPS, ovvero:
1) l’effettiva esigibilità dell’indennità di maternità, resa possibile dall’eliminazione del vincolo dell’obbligatorietà dell’astensione dal lavoro;
2) l’ampliamento della possibilità di usufruire dei congedi parentali;
3) l’incremento dell’indennità di malattia nei casi di malattia grave;
4) l’introduzione della sospensione dei versamenti contributivi nei medesimi casi.
Come accennato, inoltre, non si può dimenticare come negli ultimi due anni siano stati varati ulteriori provvedimenti a favore dei lavoratori autonomi. In particolare si è agito con l’obiettivo di sostenere i livelli reddituali della parte più debole del lavoro autonomo di natura professionale attraverso l’abbattimento del cuneo fiscale e previdenziale. Prova ne è sia l’introduzione del cosiddetto regime fiscale “forfettario” sia, per gli iscritti alla gestione separata INPS, l’abbattimento dell’aliquota previdenziale dal 33% previsto dalla riforma Fornero a un più logico 25%.
Per quanto riguarda, inoltre, gli interventi volti a favorire crescita e competitività del mercato dei servizi professionali, si osserva come tale fine sia stato perseguito attraverso l’estensione ai professionisti della possibilità di utilizzare strumenti tradizionalmente propri dell’impresa. In particolare:
1) l’accesso ai bandi finanziati con i fondi strutturali europei FSE e FESR;
2) la possibilità di concorrere direttamente agli appalti della pubblica amministrazione;
3) la deducibilità integrale delle spese sostenute per la formazione professionale;
4) le maggiori tutele sui crediti di natura commerciale.
A ben vedere si tratta di misure complessivamente rilevanti, a maggior ragione se si considera la assoluta mancanza di risposte dei precedenti 30 anni. Tuttavia esse non sono ancora sufficienti a rispondere pienamente alle esigenze di tutela e di crescita del comparto dei servizi professionali: come peraltro riconosciuto all’interno dello stesso Statuto se è vero che l’articolo 6 prevede una delega volta ad accrescere le tutele di welfare – sia per i professionisti iscritti alle Casse di previdenza e assistenza autonome, sia per quelli iscritti alla gestione separata INPS – e che l’articolo 17 dispone l’avvio di un tavolo permanente tra Associazioni sindacali dei lavoratori autonomi e Ministero del Lavoro proprio per confrontarsi su tali fattispecie.
Tale tavolo avrà successo non soltanto se sarà in grado di elaborare soluzioni utili a realizzare gli obiettivi della delega, ma se saprà affrontare le rilevanti questioni ancora irrisolte: dall’equo compenso, alla introduzione di ammortizzatori sociali universali, al superamento della doppia tassazione dei rendimenti delle casse professionali, alla costruzione di un modello di società tra professionisti che superi i vincoli di natura fiscale e previdenziale che ne bloccano lo sviluppo.
Un cammino ostico e impegnativo di cui l’approvazione dello Statuto del Lavoro Autonomo rappresenta un primo significativo passo.
(*) Portavoce Alta Partecipazione