Questa Nota è dedicata a persone per lo più note all’interno del mondo lungamente frequentato dall’ISRIL.
I protagonisti sono Giulio Pastore e Pasquale Saraceno e i maestri cantori Enzo Scotti e Sergio Zoppi con il loro recente volume “Non fu un miracolo: l’Italia ed il Meridionalismo negli anni di G. Pastore e di P. Saraceno” (Eurolink, Roma, 2016)
Personaggi che con diversi livelli di responsabilità sono stati partecipi nel periodo ’58-’68 del progetto più innovativo ed efficace sul piano dei risultati nella lunga storia nazionale dell’intervento a sostegno del Mezzogiorno.
Ricordiamo, soprattutto per i più giovani, che Giulio Pastore prima di assumere il ruolo di Ministro per il Mezzogiorno è stato il sindacalista che ha rotto una unità sindacale egemonizzata dal Partito Comunista, dando vita alla Cisl. Gabriele Pescatore è il fine giurista che ha collaborato con Pastore nel ruolo di Presidente della Cassa per il Mezzogiorno. Enzo Scotti e Sergio Zoppi, giovani brillanti all’epoca, direttamente partecipi di tale esperienza, prendendo poi vie diverse, il primo nella politica con importanti incarichi di governo, il secondo nell’area pubblica con responsabilità manageriali di alto livello.
Perché ancora oggi rievocare questa stagione del meridionalismo quando è evidente che il Mezzogiorno continua ad essere un mondo a parte, aggravato dalla disoccupazione, dal crollo demografico e da malformazioni burocratiche e politiche? Perché una battaglia vinta è pur sempre significativa, anche se poi si è persa la guerra. Capire le ragioni del temporaneo successo e quelle della successiva sconfitta può aiutare ad imparare dagli errori passati.
Innanzitutto gli uomini che ne furono a capo. Non solo Pastore, Saraceno e i suoi più stretti collaboratori. C’era una classe di governo autorevole, selezionata nel corso della resistenza al fascismo. Poi l’impegno di una intera collettività che si è identificata nell’obiettivo di avviare il Paese su di un percorso di crescita e non a caso gli anni che vanno dal ’58 al ’68 sono gli anni del grande balzo in avanti. Il PIL cresce di oltre il 5% annuo e per la prima e, purtroppo l’ultima volta, il mercato del lavoro si avvicina alla condizione di quasi pieno impiego (4% tasso di disoccupazione nel 1963).
Il Mezzogiorno era stato parte di questo sviluppo fornendo le sue braccia. Fu logico presumere che, in presenza di un tasso di accumulazione così accelerato, il Mezzogiorno potesse anche lui intraprendere un proprio percorso di industrializzazione trainato dalla grande industria, pubblica e privata, in settori di base ed intermedi.
C’era anche una istituzione ad hoc, la Cassa del Mezzogiorno, che a partire dagli anni ’50 era intervenuta nella dotazione infrastrutturale dell’area con la pianificazione di opere pubbliche intersettoriali ed interregionali. Una istituzione, nella forma giuridica di un’Agenzia, snella, autonoma, composta da una leggera burocrazia professionale e mai oscurata da inchieste giudiziarie nel periodo considerato. L’obiettivo di Pastore, di Saraceno e dei loro più stretti collaboratori fu quello di unificare il Paese attraverso lo sviluppo del Mezzogiorno ed il risultato fu una riduzione del divario storico nei confronti del Centro Nord tra il ’58 ed il ’68. Investimenti, occupazione, valore aggiunto per unità di lavoro, progredirono ad un tasso più veloce del Centro Nord, mentre la crescita del reddito pro-capite e dei consumi si allineò a quelli delle aree più avanzate.
Cosa inceppò questo processo di convergenza? Forse gli autori, Scotti e Zoppi, avrebbero potuto dirci qualcosa di più in quanto partecipi di questa svolta. Un fatto importante, da loro citato, è l’istituzione delle Regioni a statuto ordinario che portarono ad una regionalizzazione della Cassa e dei centri di spesa.
Come interpretare questa svolta? Segno che l’industrializzazione accelerata, sostenuta da Pastore, cominciava a manifestare le sue crepe, con la polemica sulle “cattedrali nel deserto” o fu la rivincita delle classi politiche ed amministrative del mezzogiorno nei confronti di una trasformazione, forzata dall’esterno, delle economie locali e dei sottostanti equilibri di potere? Il ritiro progressivo dello Stato Nazionale nel Mezzogiorno fu all’origine di una nuova intermediazione politica locale nella gestione delle risorse trasferite?
E a proposito di risorse finanziarie va ricordato che il ciclo economico espansivo degli anni ’60 trovò i suoi primi ostacoli agli inizi degli anni ’70 con le crisi petrolifere, con l’inflazione a due cifre, con la redistribuzione del reddito a favore del lavoro, che cambiarono le priorità della politica economica.
Già nel corso degli anni ’60 erano emersi i limiti di una industrializzazione basata soprattutto su investimenti di capitale in una società come quella meridionale, sottocapitalizzata dal lato delle istituzioni sociali e civiche. Non a caso Pastore e Saraceno parlarono di un “terzo tempo” dedicato a creare le condizioni di accompagnamento della industrializzazione, colmando i ritardi accumulati nella qualità dei processi educativi, nell’efficienza delle strutture burocratiche locali, nella lotta alla criminalità organizzata. Questa svolta non avvenne perché i due protagonisti uscirono di scena o forse perché la società meridionale si era già chiusa alla spinta riformistica.
A distanza di anni il Mezzogiorno ha fatto progressi significativi in talune aree ma, nonostante l’investimento continuo di risorse nazionali e comunitarie, rimane la carenza di beni pubblici ed una struttura politica ed amministrativa ed un rispetto della legalità che ne fanno ancora una regione a sé stante.
L’obiettivo di Pastore di unificare il Paese sul piano delle condizioni di vita e delle opportunità è tuttora inattuato. Ci sono ritardi nel Mezzogiorno, soprattutto concentrati nelle grandi aree urbane, che riguardano istruzione, giustizia, legalità che non possono essere compensati da incentivi economici.
Il problema che si pone è se le politiche tradizionali delle istituzioni centrali non si possano aprire a progetti speciali, superando il dogma dell’uniformità: progetti per il recupero scolastico per assorbire la dispersione scolastica; progetti per la formazione e l’avviamento al lavoro dei giovani disoccupati; progetti per rafforzare le strutture della legalità. Uno Stato, in altri parole, che si apre ad una modulazione della “governance del territorio”, in raccordo con le istituzioni locali e in una ottica di pianificazione dello sviluppo locale che includa, nella cassetta degli interventi, anche strumenti di liberalizzazione selettiva delle disposizioni regolamentari e contrattuali, al fine di creare nuove condizioni di attrazione degli investimenti interni ed esteri.
Il dibattito sui “volumi” di trasferimento finanziario delle politiche pubbliche deve recuperare la dimensione istituzionale e sociale che, sia pure tardivamente entrata a far parte nella progettualità di Pastore e di Saraceno, va ora recuperata per contrastare il declino competitivo di cui soffre ancora il Mezzogiorno.
(*) da ISRIL n. 6/2017