Ha provocato un certo scalpore, in Germania come nel resto dell’Europa, il rinnovo contrattuale dei metalmeccanici tedeschi del Baden-Wurttemberg (ma come di prammatica, gli altri Land si allineeranno). Sia per la dimensione degli aumenti salariali che per la previsione di poter lavorare anche 28 ore per settimana è una conclusione molto vicina alle richieste dell’IG Metall e raggiunta con poche ore di sciopero e molte ore di trattative. Si può ben comprendere la soddisfazione del suo Presidente, Jorg Hofmann che l’ha definita una “pietra miliare”.
L’effetto “uscita dalla crisi” è lampante. L’industria metalmeccanica tedesca – come il resto del comparto manifatturiero – gira a pieno regime e non poteva certo bloccarsi nel solito braccio di ferro tra imprese e sindacato. Ma c’è di più. Gli imprenditori non disponevano di argomenti validi per frenare le rivendicazioni sindacali. L’IG Metall aveva assecondato le prudenze industriali negli anni di crisi, anche a costo di perdite consistenti di iscritti, insoddisfatti per la strategia scelta. La produttività accumulata in quegli anni non era stata redistribuita. Di conseguenza, non c’erano ragioni contrarie ad un rilancio dei salari e ad una flessibilità degli orari per andare incontro alle aspettative dei lavoratori, troppo a lungo compresse.
L’accordo, quindi, esprime concretamente una comune valutazione delle parti sociali sulla nuova fase economica. Non capitava da tempo che la sintonia tra le organizzazioni degli imprenditori e dei lavoratori fosse così esplicita. E dire, che molti esperti avevano annunciato il declino, se non la morte, della cogestione. Invece, non solo dimostra vitalità, ma anche di aver acquisito uno spirito nuovo.
Infatti, entrambe le parti sono d’accordo su un rilancio della domanda interna e per questo l’incremento salariale programmato è quasi il doppio della produttività attesa, ma con le soluzioni articolate e flessibili che hanno escogitato in merito all’orario di lavoro hanno assicurato, da un lato al lavoratore e alla lavoratrice la possibilità di rispondere alle esigenze della propria vita e dall’altro lato all’impresa di contare su un ventaglio di utilizzazione dell’orario settimanale dalle 28 alle 40 ore, a seconda delle esigenze produttive.
C’è anche un effetto macroeconomico di questo rinnovo contrattuale. Profila, in prospettiva, man mano che si consolida la riduzione dell’orario (per ora sperimentale per due anni), un effetto benefico sull’occupazione stabile. Ma è anche un tassello della strategia di politica economica optata dalla coalizione di centro sinistra del futuro Governo Merkel. Benché questa alleanza sia ancora sottoposta all’approvazione degli iscritti alla SPD, il fatto è di estremo interesse. Il rinnovo contrattuale, infatti, sta tutto dentro la scelta di praticare una linea economica espansiva dell’azione governativa.
Non è chiaro se il primo ha condizionato la seconda o se questa ha favorito la buona conclusione del primo. Si capisce, però, che le parti sociali hanno utilizzato lo stesso linguaggio tra loro e con i partiti di governo. C’è stata una coralità di intenti e di visione che ha prodotto programma di Governo e rinnovo contrattuale, non solo in concomitanza temporale ma anche con sintonie sostanziali. In altre parole, l’economia reale, ancora una volta, ha tracciato la linea del futuro prossimo.
Si tratta di una coesione non congiunturale che fa bene anche all’Europa, perché tiene assieme aspettative politiche e esigenze sociali che faciliteranno lo sbroglio di complicate questioni di coesistenza nell’Unione, a partire da quella dell’emigrazione. La Francia a guida Macron è su questa impostazione. La Germania arriva a suo modo: passo lento ma sicuro e anche rassicurante. Manca ancora all’appello l’Italia, affinché la storica leadership europea possa dare, in unità, uno slancio federativo all’insieme dei 26 Paesi. Le elezioni italiane sono imminenti e non c’è che da augurarsi che esse favoriscano la formazione di un Governo pro Europa “senza se e senza ma”.
Ma anche le parti sociali italiane possono dare una mano decisiva in questa direzione. Si sta discutendo di un’intesa tra Confindustria e CGIL, CISL, UIL sulle relazioni industriali. E’ un’ottima occasione per far pesare l’opinione dei soggetti produttivi non solo in termini esortativi verso la politica, ma anche in chiave propositiva e innovativa circa le responsabilità che essi vogliono assumere per il benessere dei propri associati e del Paese. Sarebbe la definitiva sanzione della fragilità della teoria della disintermediazione e il rilancio di un nuovo protagonismo dei corpi intermedi.