La vigilia dell’annuncio delle decisioni di politica monetaria europea era stata movimentata dal combinato disposto di dati macroeconomici meno brillanti delle attese e da una turbolenza verso il basso dei mercati finanziari. Di tale situazione ha preso atto la Bce per confermare anche ieri al cento per cento la strategia monetaria disegnata e messa in atto a partire dal giugno 2014; anzi, l’aumento dell’incertezza appare un ulteriore argomento per confermarne la robustezza. Vediamo perché, in modo da spiegare le caratteristiche – ma anche le incognite – che la formula delle tre P di Draghi implica.
Dal giugno 2014 la Bce ha dato una scossa alla politica monetaria, facendo partire una manovra ultra espansiva, con tre tasselli intrecciati: tassi negativi, acquisti massicci di titoli sui mercati, e l’annuncio che i primi due tasselli – tassi e acquisti – sarebbero rimasti operativi fino ad un ritorno stabile all’obiettivo inflazionistico. L’assunto è che per combattere l’avversione al rischio – origine della trappola della liquidità che bloccava l’economia europea – un efficace carburante di fiducia può essere rappresentato da una politica monetaria espansiva non solo al presente, ma anche attesa per il futuro.
Le attese di ripresa economica vengono alimentate dalla espansione monetaria, che non termina finché la ripresa – della crescita come dei prezzi – non mostra di essere al contempo diffusa in tutta Europa – cioè non geograficamente limitata – permanente – cioè non temporalmente limitata – e autosufficiente – cioè non bisognosa appunto della stampella monetaria.
Finalmente la ripresa in Europa è arrivata, ma non presenta quelle tre caratteristiche sopra ricordate – diffusione, permanenza ed autosufficienza – che per la Banca centrale europea sono condizioni essenziali per normalizzare la politica monetaria. In altri termini, la normalizzazione dell’economia deve precedere la normalizzazione della politica monetaria.
Ma siamo oramai all’aprile 2018, la normalizzazione dell’economia non è un risultato acquisito, e di riflesso sulla politica della Bce sono cresciute le critiche dei cosiddetti falchi. I falchi contestano l’impianto stesso della strategia Bce: dal loro punto di vista, non ci sarà normalizzazione economica se prima non avverrà la normalizzazione dei tassi di interesse. Il cuore del ragionamento è sempre il rapporto tra aspettative e annunci di politica monetaria. Il ragionamento è il seguente: l’avversione al rischio non viene scalfita, anzi forse si rafforza se la banca centrale non dà essa per prima il segnale che “la guerra è finita”, riportando tassi di interesse e acquisti dei titoli alla normalità. L’ultra espansione monetaria è divenuta una arma spuntata per contrastare l’inflazione anemica; di più è controproducente. Non basta: l’eccesso monetario rischia di far salire in modo anomalo i prezzi su beni ed attività diversi da quelli tradizionalmente monitorati, cioè i beni di consumo. I falchi segnalano cioè anche un rischio bolla, che è per definizione latente e difficile da identificare, e perciò ancor più tossico.
La Bce risponde ai falchi con il concetto delle «3P». Occorre innanzitutto pazienza. Il meccanismo di trasmissione della politica monetaria – rotto dalla trappola della liquidità – deve riaggiustarsi completamente, proprio grazie al meccanismo delle aspettative: la fiducia nella ripresa porta i salari verso l’alto, quindi i prezzi. Ma ci vuole tempo, quindi pazienza. Ma anche prudenza, soprattutto – ed è il caso di questi primi mesi del 2018 – se una serie di shock esterni all’Unione Europea – come le minacce di guerre commerciali, e non solo – aumentano l’incertezza. Non solo: l’incertezza aumenta anche perché i governi europei continuano ad essere costruttori inadempienti della Unione Monetaria. Un punto su cui però i falchi vedono un altro riflesso indesiderato della politica monetaria europea.
Allo stesso tempo, la Bce deve persistere nella strategia di ultra espansione monetaria, proprio per provare ad indirizzare nella giusta direzione le aspettative. Senza dubbio le «3P» della Banca centrale europea sono una sfida che è comunque preferibile alla miopia della politica, a Bruxelles come nelle maggiori cancellerie nazionali.
(*) da: Il Sole 24 ORE del 27.4.2018
(**) Professore Ordinario di Economia Politica alla Bocconi di Milano