Come altre persone nel nostro Paese abbiamo vissuto la costituzione del nuovo Governo giallo verde con curiosità, interesse e senza pregiudizio. In sostanza i cittadini hanno scelto di premiare tali forze politiche perché, da un lato, i precedenti governi non sono stati ritenuti efficaci rispetto alle condizioni che ognuno stava vivendo e dall’altro perché le loro proposte di annullamento dell’immigrazione, di un reddito di cittadinanza, di anticipo del pensionamento, di no ai vaccini, no alla tav, no al tap, di chiusura dell’ilva e di riduzione significativa delle tasse hanno fatto da catalizzatore per molte persone. Il dato democratico che va riconosciuto positivamente è che si è ricostituita la sintonia tra politica ed il senso comune dei cittadini.
A distanza di alcuni mesi dall’insediamento e dall’azione del Governo ci sembra però che stiano affiorando prepotentemente i limiti delle proposte elettorali rispetto alle risorse economiche disponibili per il paese e soprattutto che manchi una comune visione prospettica da parte della coalizione governativa per inquadrare delle soluzioni sostenibili per l’Italia. Questa indeterminatezza, temiamo, sta mettendo seriamente a rischio, al di là di come andrà la finanziaria, la struttura economica e sociale del nostro Paese.
Quello che emerge di prospettico, da questa coalizione a convergenze parallele di vecchia memoria, sembra essere improntato su azioni che mettono prima gli italiani e puntano sulla decrescita felice.
Questa combinazione sta portando inevitabilmente alla chiusura dell’Italia su stessa, tutta protesa a soddisfare, costi quel che costi, le promesse elettorali considerando le interdipendenze di mercato, economiche e finanziarie con gli altri paesi, con l’Europa e la comunità internazionale come dei limiti o peggio delle quisquilie. ‘’Manco fossimo gli stati uniti d’America’’, come direbbero a Roma. Senza scomodare le dietrologie, ci sembra di assistere a dei vice presidenti del consiglio che si tengono stretti per timore di perdere i consensi del loro elettorato e che hanno individuato come controparte, sulla quale depositare le loro rivendicazioni, il ministro dell’economia del loro stesso Governo e l’Europa.
Francamente non è confortante. Ci si aspetterebbe invece da dirigenti politici che hanno avuto il consenso per la guida del Paese, un Governo capace di coniugare gli indirizzi proposti in campagna elettorale con l’insieme delle problematiche interne e le interdipendenze esterne del nostro Paese. Questo non significherebbe automaticamente sconfessare le promesse elettorali ma inserirle in un percorso di fattibilità E’ imperdonabile che si scoprano oggi che ci sono dei vincoli di spesa comunitari al nostro bilancio e che non è stata fatta chiarezza con gli elettori su questo punto ( ..detto e non detto).
Inoltre, guardando alle vicende all’interno del Paese, le azioni di questi mesi messe in campo dalla coalizione ci sembrano scompostamente improntate a mettere il cappello sulle proprie specifiche tematiche elettorali: da una parte prima gli italiani e dall’altra la decrescita felice. I provvedimenti e le azioni più significative di questo governo si sono concentrate finora sulla necessità di liberare il nostro paese dall’immigrazione, sul modificare in parte le regole del mercato del lavoro, sul tentativo non riuscito di chiusura dell’Ilva ecc. Il tutto accompagnato da una retorica che mette immigrati contro operai, immigrati contro cittadini, i lavoratori contro le multinazionali, le persone contro le persone in base al loro stato di benessere, i cittadini contro le opere infrastrutturali di tav e tap ecc.
Ci rendiamo conto della semplificazione di questi esempi che richiederebbero analisi più approfondite in quanto le situazioni sono complesse e vi è una parte di ragione da entrambi le parti intrinseca in ognuno di questi casi. Ma una domanda però sembra opportuna rivolgerci. Siamo così sicuri che questa è l’Italia che vogliamo? Quell’Italia in cui ci riconosciamo culturalmente, economicamente, socialmente?
A riguardo, ci sembra opportuno introdurre alcune generali considerazioni.
La prima: lo slogan elettorale ‘’prima gli italiani’’ sicuramente ha creato una suggestività’ nei cittadini. Lo abbiamo visto crescere non solo in Italia ma anche in altri Paesi europei e d’oltreoceano. Esso fissa un perimetro nel quale si tende a dare più sicurezza e priorità a chi è all’interno e contestualmente addita gli avversari da combattere. In tale operazione la Lega fa il salto da partito regionale a nazionale spostando il perimetro da Roma in giù e soprattutto sostituendo gli avversari abitanti prima da Roma in giù con gli immigrati mettendo d’accordo così tutti gli italici.
Ora, il tema dell’immigrazione così come si sta affrontando e propagandando da parte del governo, solleva in molti italiani forti dubbi e contrarietà perché viene vista come una torsione culturale che il paese sta facendo nei confronti dell’accoglienza, nel modo di vedere e sentire oltre che sull’efficacia di tali azioni a dare soluzioni strutturali. Senza allargare l’analisi sui flussi migratori delle persone rispetto al quale si è detto ormai tutto e senza dividerci tra buonisti ed interventisti ci si aspetterebbe dal Governo una lettura matura di tale fenomeno cercando di rappresentare tutto il paese al di là di quello che i precedenti Governi hanno o non hanno fatto. Nel nostro Paese vi è un mondo di persone oltre che associazioni cristiane e laiche che da anni si occupa dell’accoglienza senza scopi lucrativi ma per predisposizione ed attenzione umana verso ‘’l’altro’’. Vi è il mondo degli immigrati regolari (più di 5 milioni), più quelli di coloro che sono in attesa del riconoscimento e già lavorano che cominciano ad essere pervasi da insicurezza. L’Italia è inoltre la capitale della cristianità cattolica. La Chiesa continuerà la sua opera pastorale al di là dei Governi che si avvicenderanno e probabilmente, anche se oggi molti cattolici stanno attraversando una fase di ‘’credenza senza appartenere’’, opererà assiduamente affinché il suo messaggio venga praticato dai fedeli.
Per questo tale tematica va oltre le normali dinamiche politiche e sociali. Richiede di pensare all’Italia alla sua intera complessità, in modo da sprigionare energie atte a gestire e governare tale fenomeno contenendolo da un lato e, trovando dall’altro modalità e soluzioni nei territori. Pensiamo che sull’immigrazione ormai la totalità delle persone sia concorde che si debba rispettare la legalità e le regole e che non debba essere l’Italia da sola a farsene carico, ma si aspetta che la si fronteggia con progetti e soluzioni guardando da un lato alla prima accoglienza e dall’altro all’immigrazione regolare evitando i proclami giornalieri, nel rispetto di tutti, chiedendo una collaborazione fattiva per risolvere le situazioni. E’ un fenomeno che richiede la cooperazione di ognuno in modo che l’Italia possa essere più forte anche nei confronti degli altri Paesi europei, per uscire non solo dall’isolamento in cui si trova ma ormai anche dalla contrarietà manifesta degli altri Paesi nel risolvere tale tematica.
In tal senso parafrasando ‘’ Prima gli italiani’’ si dovrebbe dire ‘’Prima l’Italia’’.
Anche perché come sappiamo gli italiani sono un popolo eterogeneo culturalmente, economicamente e socialmente. Già il Manzoni a suo tempo ci avvertiva del popolo, dove nella protesta ognuno era unito all’altro contro l’ingiustizia ma diviso per il tipo di ingiustizia che aveva patito. A breve od a lungo andare questa idea di fissare un proprio perimetro da parte dei vari soggetti potrebbe concretizzarsi. Intanto come daranno seguito al referendum consultivo dello scorso anno le regioni Lombardia e Veneto, nel quale chiedono più autonomia e risorse economiche per i lombardi e veneti? E se poi anche i milanesi, i torinesi ecc cominciassero a mettere per primi loro stessi? Se non si costruirà una visione prospettica di Paese saremo con tutta probabilità chiamati ad assistere a tali eventi.
La seconda. L’azione del Governo di questi mesi ha mandato segnali in direzione: di un netto disimpegno sulle opere strutturali di Tav e Tap; di prediligere un ritorno alle nazionalizzazioni di Autostrade, Alitalia, ecc. utilizzando CdP; di intervenire sul lavoro con provvedimenti legislativi unilaterali che rischiano effetti sociali preoccupanti. Parallelamente, come si dovrebbe operare per fare la crescita, per recuperare il gap di produttività con gli altri paesi, per come accompagnare il nostro sistema di fronte alla quarta rivoluzione industriale indotta dalla digitalizzazione tecnologica e dall’avvento della intelligenza artificiale non vi è alcuna traccia. Tutto il dibattito non è sul come produrre valore per poi distribuirlo ma sul come si può fare più debito per distribuirlo. Eppure, come sappiamo, il nostro Paese ha la seconda manifattura d’Europa, ha grandi aziende internazionali come Eni, Fincantieri, Leonardo, Enel ecc., ha eccellenze made in Italy. Questa realtà richiede un’idea di Paese, una visione sulle politiche industriali, energetiche, infrastrutturali, sullo sviluppo e ricerca, su quelle del lavoro, previdenziali, sociali ed educative. Se invece, come sembra affiorare dalle politiche governative, l’idea guida è che nel nostro futuro prossimo non saranno più il lavoro o la produzione a garantire la nostra sussistenza e che quindi dovremmo provvedere alla stessa con altri strumenti come il reddito di cittadinanza dovremmo seriamente cominciare a preoccuparci.
Si auspica che così non sia, che tutto sia frutto di una campagna elettorale che si sta prolungando. Per questo, deve ritornare rapidamente al centro del dibattito politico, istituzionale, associativo e sociale un’idea prospettica del nostro Paese, mettendo “prima l’Italia”.
Per fare ciò non è necessario ricominciare da capo ma mettere a fattore comune le energie, le risorse e le persone per ‘’prendersi cura’’ del nostro Paese e del benessere dei nostri cittadini. Per questo al nostro Paese serve una progettazione che coniughi i fattori economici, sociali ed ambientali e li declini a tutti i livelli istituzionali e del sistema produttivo. Impresa e lavoro siano il luogo dove si crea benessere per la comunità e dove si sviluppino relazioni tra i soggetti ed ambiti improntate prevalentemente alla generatività di valore economico e sociale. Si pensi al sistema previdenziale con lungimiranza, guardando al tempo di lavoro ed al tempo di vita ed alla sostenibilità sociale per le future generazioni. Si metta a punto un piano di alfabetizzazione informatica diffusa su cittadini e lavoratori in quanto a breve avremo una forte disuguaglianza tra chi sarà ‘’in’’ e chi ‘’out’’ nella società e nel mondo del lavoro, che si pensi ad una fattiva e progettuale integrazione dei servizi socio-sanitari, del lavoro, della casa, della formazione mettendo al centro la persona, la famiglia che ha bisogno di essere presa in carico ed aiutata ad uscire dalla loro fragilità.
Sono ovviamente delle indicazioni esemplificative alle quali se ne potrebbero aggiungere tante altre. Sono tese a supportare l’idea che in questi momenti di cambiamento dobbiamo profondere ancora più energia ed impegno per prendersi cura del nostro Paese non solo per impedire che scelte sbagliate possano mettere in pericolo soprattutto le condizioni di famiglie e persone meno abbienti, ma per offrire impegno, proposte, progettualità in grado di rispondere ai cambiamenti mettendo davvero al centro l’interesse generale del nostro Paese.
Come diceva un monaco buddista: ‘’Quando soffia il vento del cambiamento c’è chi erge i muri e chi apre i mulini a vento’’.