Uno dei problemi che funestano il sistema educativo italiano è la dispersione scolastica, un fenomeno purtroppo ancora attuale al quale risulta necessario, anno dopo anno, contrapporre efficaci contromisure di ordine istituzionale e non solo. Sì, perché dei 590mila studenti che proprio quest’anno hanno intrapreso il loro percorso formativo d’obbligo nelle scuole superiori statali italiane, ben 130mila (il 24,7% del totale) non concluderanno gli studi,almeno stando alle attuali tendenze. È da questa sconcertate (per quanto non inaspettata) affermazione che prende le mosse il dossier La scuola colabrodo, recentemente pubblicato da Tuttoscuola. Nel dossier, una fotografia impietosa dello stato della scuola italiana ci rende l’immagine della gravità del fenomeno della dispersione scolastica. Fenomeno che, pur essendo in diminuzione rispetto agli anni precedenti, come vedremo, continua a destare preoccupazioni piuttosto dense per l’intero sistema Paese. Quanti sono, allora, i giovani “dispersi” dalle istituzioni scolastiche italiane? E qual è, se quantificabile, il loro costo sociale? E quante risorse economiche vanno sprecate ogni anno in Italia a causa della dispersione scolastica? Lo vedremo brevemente in questo post, in cui riporteremo alcuni dei principali risultati del succitato dossier.
La dispersione scolastica: un fenomeno duraturo ma in diminuzione
La fotografia scattata da Tuttoscuolaè purtroppo impietosa: il fenomeno della dispersione non appartiene soltanto a una fascia della popolazione, né a un dato contesto territoriale. È bensì diffuso, egualitario, presente al Nord come al Sud, negli Istituti professionali come nei Licei. Vediamo qualche cifra nel dettaglio.
Dal 1995 a oggi, la dispersione scolastica è stata una costante nel nostro sistema. Basti pensare che ogni anno è fuoriuscito dalla scuola superiore italiana un numero di (ex)studenti oscillante tra le 215mila e le 150mila unità. Ciò si traduce, in termini percentuali, in numeri davvero preoccupanti: il 36,7% dei ragazzi e delle ragazze che si erano iscritti in una scuola statale nel 1995, nel 2000 era letteralmente sparito, fuoriuscito dal sistema educativo e mai più rientratovi. Per fortuna, come si diceva sopra, questo valore particolarmente negativo tende a scendere negli ultimi anni, e nell’ultimo ciclo quinquennale (2013-2018) si attesta sul 24,7%, concludendo una serie per ora in costante diminuzione.
Per farsi un’idea più marcata di quanto avvenuto negli ultimi anni, basta aggregare i dati in una cifra assoluta: 3,5 milioni(quasi quanto gli abitanti dell’intera Toscana), è questo il numero di ragazze e ragazzi che dal 1995 al 2018 ha abbandonato la scuola. Messa così, il campanello d’allarme suona davvero più forte.
La distribuzione territoriale e per tipologia di Istituto dei giovani “dispersi”
Dal punto di vista territoriale, e riferendoci ai dati dell’ultimo quinquennio, è la Sardegna la Regione ad avere la maggior percentuale di studenti dispersi, mentre l’Umbria risulta essere la realtà regionale più virtuosa. C’è da dire, in ogni caso, che se le Regioni del Sud e le Isole occupano le prime posizioni della classifica, di certo le Regioni del Centro e del Nord non “sfigurano”. Questo, in ordine decrescente, il dettaglio percentuale Regione per Regione:
- Sardegna: 33% (6.099 unità in termini assoluti)
- Campania: 29,2% (22.643 unità)
- Sicilia: 28,3% (16.954 unità)
- Toscana: 28,1% (10.562 unità)
- Lombardia: 25,8% (22.803 unità)
- Emilia-Romagna: 24,7% (10.634 unità)
- Piemonte: 24,2% (10.634 unità)
- Liguria: 24,2% (3.415 unità)
- Abruzzo: 23,3% (3.098 unità)
- Puglia: 23,1% (11.443 unità)
- Calabria: 21,5% (4.897 unità)
- Lazio: 21,3% (11.778 unità)
- Molise: 20,9% (713 unità)
- Veneto: 20,3% (9.495 unità)
- Basilicata: 17,8% (1.199 unità)
- Marche: 17,6% (2.842 unità)
- Friuli-Venezia Giulia: 17,2% (1.828 unità)
- Umbria: 16,1% (1.384 unità)
Tra i 3 tipi di Istituto superiore, sono i Licei ad avere la quota minore di dispersi, seguiti dagli Istituti Tecnicie dai Professionali. Questi i dati relativi agli ultimi 5 anni:
- Licei: 19,2%
- Istituti Tecnici: 27,3%
- Istituti Professionali: 32,1%
Il “costo” della dispersione scolastica in Italia
Dunque, in un periodo nel quale ci si chiede con sempre maggior insistenza se il mondo dell’istruzione italiano sia adeguato alla formazione dei nostri giovani (si prenda per esempio la difficoltà nel formare i profili maggiormente richiesti dal mercato del lavoro per rispondere così ai fabbisogni del mondo produttivo e aziendale), di certo la dispersione scolastica rappresenta uno dei primi ostacoli da abbattere per rendere davvero virtuoso il sistema educativo del Paese.
Sì, perché come sottolinea il dossier “La scuola colabrodo”, il fenomeno non ha delle ricadute soltanto di ordine culturale (e già questo basterebbe) ma anche in termini economici: dal 1995 a oggi la dispersione scolastica ci è infatti costata ben 55 miliardi di euro(2,9 in media per ogni anno), tutt’altro che spiccioli. Si tratta di denaro che lo Stato italiano ha speso, senza ottenere l’esito inizialmente sperato, per sostenere i costi relativi ai docenti, alle strutture, al personale scolastico e ai laboratori. E le previsioni per il futuro, purtroppo, non sono ancora delle più rosee.
La dispersione scolastica: un bacino di gestazione per NEET
Ma che fine hanno fatto tutti gli studenti e le studentesse dispersi negli ultimi anni? Purtroppo sono andati a rimpinguare la già nutrita schiera dei cosiddetti NEET (Not engaged in Education, Employment or Training), ossia quei giovani ormai “disillusi”, se ci è concesso il termine, che non sono impegnati in percorsi formativi o professionali di nessun genere. Si tratta di un esercito di giovani inattivi che, in fascia 15-29 anni, tocca i 2,2 milioni di unità in tutto il Paese (dato riferito al 2017), ossia in disarmanti termini relativi il 24% del totale dei giovani italiani di questa fascia d’età (al Sud il valore sale al 34,4%), contro una media europea del 14,2% (8,8% in Germania).
Un esercito che ha un costo sociale annuo di oltre 30 miliardi di euro (di questi, 2 miliardi vengono spesi ogni anno soltanto per tentare, senza successo, di riformarli). Una spesa che, ben s’immagina, le nostre casse statali non si possono permettere. A questo proposito, secondo una stima condotta dalla Fondazione Giovanni Agnelli e dall’Associazione Bruno Trentin, se si azzerasse la dispersione scolastica in Italia ci potrebbe essere una ricaduta sul PIL di un valore compreso tra l’1,4% e il 6,8%. Tutt’altro che spiccioli, insomma.
Autore: We Can Job. Per approfondimenti su formazione e lavoro visita il sito Wecanjob.it