Non individualismo ma impegno collettivo, meritocrazia ma anche solidarietà, orgoglio di genere unito ad apertura agli altri. Ecco perché la concezione del potere femminile è opposta a quella maschile
Troppo a lungo il potere femminile è stato misurato utilizzando il metro arbitrario delle modalità maschili di esercitare l’autorità. Di conseguenza, le donne perlopiù si sono adeguate e conformate a quegli standard e alle norme codificate dagli uomini. Le donne del 116esimo Congresso degli Stati Uniti, però, stanno ridefinendo ciò che significa esercitare il potere e, così facendo, stanno ridisegnando alcune delle favole che stanno maggiormente a cuore agli americani. Il potere, durante tutta la storia americana, è stato bianco e maschio, e sostenere quel monopolio ha richiesto una serie di convenzioni e di linee d’azione condivise. Negli ultimi anni una manciata di donne e di persone di colore è riuscita a mettere un piede nella porta, ma la definizione di ciò che significa potere, e centralità della virilità nel modo di appropriarsene, resta immutata.
Secondo questa versione dei fatti, il potere è meritocratico: chi lo conquista lo fa da solo, per mezzo di duro impegno e lavoro. Il potere ha un aspetto e un suono particolari: è alto e ha la voce profonda. Il potere è onnicomprensivo: una partner e dei figli sono lo sfondo per una vita centrata sul perseguimento della grandezza; la famiglia denota che una persona potente è sufficientemente solida da poter riporre fiducia in lui, ma la famiglia è in linea di massima un insieme che trae beneficio dal potente, non un insieme di persone che lo avvantaggia e in sostanza gli consente di ottenere il successo. In questa storia fatta di meritocrazia c’è la promessa che chiunque può conquistare il potere politico e il successo, se è abbastanza bravo e se sgobba abbastanza; il fatto che le cariche su elezione siano rimaste così a lungo in mano ai maschi suggerisce semplicemente che gli uomini ne sono più meritevoli da tempo. Di conseguenza, e per necessità, chi infrange la regola in buona parte ha seguito questo stesso copione. Quando le donne e le persone di colore hanno conquistato il potere politico, la loro ascesa è stata spesso utilizzata per tenere in piedi l’esistenza retorica della meritocrazia: loro ci sono riusciti, quindi può riuscirci chiunque. Il sottinteso è che forse la penuria di donne e di persone di colore che occupano cariche politiche sta a significare che non hanno lavorato abbastanza per ottenerle. Questa concezione del potere politico americano è abbastanza diffusa da restare in buona parte invisibile. Le donne che si sono piegate a questa versione forse non lo hanno fatto intenzionalmente, ma perché hanno agito in conformità al copione disponibile. A mano a mano, però, che sempre più donne sono entrate in politica, hanno creato spazio per l’autenticità rispetto a un innalzamento personale. Ciò è vero soprattutto perché i politici provengono da una maggiore varietà di comunità e background, ciascuno dei quali ha norme diverse per ciò che concerne l’autorità. Le odierne donne in ascesa nel mondo della politica raccontano una storia diversa dal «io ho lavorato sodo, quindi sono arrivata fin qui da sola». Una alla volta hanno reso merito a coloro che ne hanno ispirato il successo, sostenuto l’ascesa e spianato la strada così che potessero andare ancora oltre. Quando si è insediata nell’ex ufficio di Shirley Chisholm, Ayanna Pressley, neoeletta rappresentante del Massachusetts, lo ha considerato non tanto un obiettivo raggiunto quanto una tappa del lungo viaggio verso l’eguaglianza.
Rashida Tlaib, neorappresentante del Michigan e una delle due musulmane che ora prestano servizio al Congresso, si è presentata al giuramento indossando una thawb, l’abito tradizionale palestinese, e ha affermato che la sua non è la storia di un successo americano, ma di una terra particolare, e particolarmente emarginata, nel mondo. Ilhan Omar, l’altra musulmana eletta al Congresso, e Alexandria Ocasio-Cortez di New York hanno indossato abiti bianchi suffragisti il giorno del loro giuramento perché, ha twittato Ilhan Omar, «è stato un piccolo espediente per onorare chi ci ha preparato la strada».
Alexandria Ocasio-Cortez ha postato su Instagram una foto del suo giuramento con una didascalia nella quale specifica tutte le difficoltà nelle quali lei e la sua famiglia si sono imbattute. Ha poi osservato che il suo successo non è frutto di quanto ha realizzato con le proprie forze, ma di una rete di supporto.
“L’oscurità mi ha insegnato che la trasformazione non può essere soltanto un obiettivo individuale, ma anche la responsabilità di tutta una comunità” ha scritto.
“Dobbiamo poterci appoggiare agli altri per avanzare da soli”. La promessa americana non è la possibilità per i singoli individui di andare avanti da soli e ricavarne un’immagine di alto profilo, proprio come scopo della politica non è il conferimento personale di poteri. Il dono del potere richiede la responsabilità di apprezzare quelli che sono venuti prima di te e come puoi fare anche tu la tua parte per spingerti ancora oltre.
Gli uomini potenti hanno sempre preso in considerazione i loro successi individuali. Queste donne potenti paiono più interessate al ruolo che avranno nel migliorare un ecosistema complesso e in evoluzione. Sotto certi aspetti, questo rifiuto a prendersi il pieno merito individuale per il loro successo personale è tipicamente femminile e, forse, nasce dal sessismo: le donne considerate ambiziose o che si sentono gratificate a livello personale devono pagare un prezzo che — quasi certamente — gli uomini non devono pagare. Cambiare il modo di raccontare come le persone abbiano conquistato il potere politico può davvero cambiare il risultato di quello che fanno le persone al potere.
– Traduzione di Anna Bissanti © 2019, The New York Times