A venti anni dalla cosiddetta «riforma Dini» si può cercare di capire se e quanto quella riforma del sistema previdenziale italiano abbia influenzato le variabili principali del sistema economico e sociale italiano, cogliendo, e in che misura, gli obiettivi che si era posta.
Una tale analisi non può non tenere conto che i venti anni successivi alla riforma sono stati caratterizzati da profondi cambiamenti, spesso inaspettati per lo meno nella dimensione in cui si sono verificati, dell’assetto economico e sociale del paese. Il forte contenimento della crescita economica verificatosi dal 2008 è stato sicuramente il più rilevante di questi fattori, assieme al cambiamento del mercato del lavoro e alle dinamiche demografiche. La stagnazione dei salari, il rilevante aumento di flessibilità e insicurezza e l’aumento della speranza di vita in misura superiore a quanto previsto all’atto della riforma sono tutti fattori che hanno condizionato in maniera rilevante gli effetti della riforma stessa. Oltre a queste caratteristiche, comuni anche ad altre economie europee, è opportuno tenere conto di tre interrogativi che si pongono osservando le dinamiche italiane di questi ultimi venti anni.
Il primo è come mai negli anni 2000, nonostante un decennio e più di manovre di stabilizzazione della finanza pubblica, l’entità della spesa pubblica sia cresciuta in maniera costante così come il suo peso sul PIL, che è cresciuto di circa un terzo in tredici anni, dimostrandosi sempre più uno «zoccolo duro» difficile da aggredire. Il secondo è il perché negli ultimi diciassette anni, nonostante la riforma del 1995 (preceduta da quella Amato del 1992), si siano resi necessari ben quattro ulteriori interventi sul sistema pensionistico (1997 Prodi, 2004 Berlusconi, 2007 Prodi, 2011 Monti) e nonostante questo l’incidenza della spesa pensionistica sul PIL non abbia mai smesso di aumentare (il valore massimo è stato raggiunto nel 2014-2015). Il terzo quesito è connesso alla difficoltà del sistema pensionistico italiano di contrastare la povertà fra gli anziani. Infatti la concentrazione dei redditi pensionistici è cresciuta, come è cresciuta la quota di reddito pensionistico appropriata dal 20% più «ricco» dei pensionati, quota attualmente pari a più della metà di tutti i trasferimenti pensionistici.
Eppure nel 1995 l’Italia aveva introdotto una sorta di «rivoluzione» del sistema pensionistico: il sistema contributivo, una delle innovazioni più importanti nel panorama mondiale. Il miglioramento dell’equità distributiva e gli effetti positivi sulla stabilizzazione finanziaria connessi al nuovo sistema rappresentavano una svolta positiva. Tuttavia, come vedremo, alcune delle risposte possono trovarsi nella struttura e configurazione della riforma stessa.
Per analizzare come quella riforma abbia operato e interagito con le condizioni economiche e della spesa pubblica cercheremo di analizzare alcune delle evidenze più rilevanti degli assetti pensionistici successivi alla riforma del ’95, con particolare riferimento agli assetti distributivi del sistema e al rapporto con la spesa pubblica. Ciò al fine di evidenziare quali possono essere state le configurazioni «macro» più significative dell’assetto del sistema pensionistico italiano specie negli anni 2000 tentando di analizzare le cause dell’aggravarsi della situazione della spesa negli anni successivi. Si delineerà innanzitutto il quadro dei principali elementi caratteristici della riforma, quindi verrà analizzata la configurazione distributiva del nostro sistema pensionistico all’interno del quadro europeo, per il periodo 1991-2012. Nel terzo paragrafo si analizzerà l’evoluzione del rapporto tra spesa pensionistica e spesa pubblica, cercando di enucleare quale sia stato il peso del sistema pensionistico nel determinare gli andamenti della finanza pubblica italiana degli anni 2000, andamenti determinato seri rischi di sostenibilità negli ultimi anni.
All’analisi delle varie componenti della spesa pensionistica sono quindi dedicati i paragrafi successivi per enucleare gli elementi interni all’assetto delle pensioni che di più hanno condizionato e determinato gli andamenti aggregati e quelli distributivi, assumendo come centrale per ogni analisi sul sistema previdenziale italiano l’impossibilità di considerarlo come un «unicum», essendo un insieme molto complesso e diversificato di prestazioni e di condizioni reddituali. Tale analisi non sarà fatta solo e tanto in relazione alle consuete articolazioni della spesa (assistenza e previdenza, articolazioni settoriali e di categoria etc.), ma specifica attenzione sarà posta sul ruolo dell’età di pensionamento e quindi sulle pensioni di anzianità, sulla loro dinamica e sul loro assetto, in quanto hanno svolto un ruolo assolutamente centrale (sulla spesa e sugli assetti distributivi) nell’ultimo ventennio, facendo diventare il fattore «età» di pensionamento, il vero e proprio protagonista nelle dinamiche e negli assetti strutturali. Infine si proporrà una scomposizione degli effetti della spesa pensionistica sul rapporto spesa pubblica/PIL per individuare come i vari fattori demografici, di numerosità, di importo che caratterizzano la spesa pensionistica abbiano influenzato quel rapporto. La particolarità dell’analisi è quella di considerare scorporate le pensioni di anzianità, per focalizzare il loro ruolo specifico sia aggregato che distributivo. (CONTINUA)