In questa audizione l’Istat intende offrire un contributo conoscitivo utile per i lavori della Commissione in merito ai disegni di legge n. 310 (Laus e altri) e 658 (Catalfo e altri).
L’introduzione di un salario minimo garantito per legge punta ad offrire una tutela minimale per quelle categorie di lavoratori che dovessero essere escluse dalla copertura di contratti collettivi rafforzando al tempo stesso la salvaguardia della dignità del lavoro.
La scelta del livello del salario minimo deve contemperare due esigenze di segno opposto. Un salario minimo troppo alto potrebbe, infatti, scoraggiare la domanda di lavoro o costituire un incentivo al lavoro irregolare, determinando quindi un ampliamento della segmentazione tra lavoratori e un’ulteriore marginalizzazione delle categorie più svantaggiate. Un salario minimo troppo basso, per contro, potrebbe non garantire condizioni di vita dignitose.
Inoltre, nell’applicazione del salario minimo legale si applicano spesso clausole di esclusione o di riduzione del livello minimo per alcune categorie quali i giovani, gli studenti e gli apprendisti, al fine di salvaguardare l’investimento in istruzione e formazione di queste categorie di individui quali determinanti della loro futura occupazione.
Infine, giova ricordare che la definizione di un salario minimo deve essere opportunamente coordinata con altri istituti presenti nel mercato del lavoro, non ultimo il Reddito di cittadinanza.
Entrambe le proposte di legge precisano criteri e principi direttivi in merito alla istituzione per legge del salario minimo orario. In particolare, i disegni di legge stabiliscono che: la retribuzione oraria minima non deve essere inferiore a 9 euro al netto dei contributi previdenziali e assistenziali nel caso del DdL n. 310 e di 9 euro al lordo di tali oneri nel caso del DdL n. 658. Inoltre, il DdL n. 310 prevede che questa soglia minima sia incrementata ogni anno sulla base della variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati definito dall’Istat, mentre il DdL n. 658 prevede che gli incrementi siano stabiliti sulla base dell’indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi dell’Unione europea al netto della dinamica dei prezzi dei valori energetici importati. L’applicazione riguarda tutti i rapporti aventi per oggetto una prestazione lavorativa nel caso del DdL n. 310 e i lavori subordinati e rapporti di collaborazione (di cui all’art. 2, comma 2, dgls n. 81 del 2015) per il DdL n.658. L’applicazione riguarda, inoltre, tutte le categorie di lavoratori e settori produttivi in cui la retribuzione minima non è già stabilita dai contratti collettivi nazionali. Quest’ultima, comunque, non può essere inferiore al minimo di legge.
Considerato che le misure proposte sono particolarmente orientate a intervenire sulla eventuale condizione di disagio economico dei lavoratori, il presente documento propone innanzitutto un quadro delle statistiche più recenti sui cosiddetti working poor nei paesi europei, utilizzando le informazioni armonizzate diffuse da Eurostat. A partire dalla stessa fonte, si propongono anche alcuni confronti sulle politiche sul salario minimo adottate a livello europeo (paragrafo 1). Si offre poi una stima degli effetti dell’introduzione di un salario minimo sulle retribuzioni di fatto sia dal lato dei lavoratori in termini di maggiori salari sia dal lato delle imprese, con una valutazione del potenziale impatto sui principali aggregati economici (paragrafo 2). Il documento procede esplorando le fonti statistiche a disposizione dell’Istituto che offrono informazioni su settori di attività non coperti dall’analisi del paragrafo precedente. Partendo dall’audizione resa nel 2015 presso la Commissione “Lavoro, previdenza sociale” del Senato, sempre in materia di salario minimo, sono state aggiornate la parti riguardanti le retribuzioni contrattuali e i relativi minimi (paragrafo 3). L’analisi viene ampliata anche ai lavoratori domestici, una categoria tra le più interessate da questo tipo di provvedimento, grazie alle stime di contabilità nazionale (paragrafo 4). Il documento propone, infine, una breve considerazione sul meccanismo di rivalutazione annuale del minimo salariale (paragrafo 5).
In questo contesto, è doveroso ricordare che le stime presentate in questa audizione fanno riferimento al salario minimo lordo di 9 euro in virtù dell’immediata comparabilità con le definizioni statistiche in essere. A tale proposito, si ricorda che i valori delle retribuzioni orarie sono frutto di un rapporto che, al numeratore, può contemplare le retribuzione contrattuali o quelle di fatto, mentre al denominatore si collocano, invece, le ore retribuite o quelle lavorate.
1. Confronti europei
Nel 2017 in Europa, quasi un occupato su dieci (9,4%) di età superiore a 18 anni è risultato a rischio di povertà (1) dopo i trasferimenti sociali. Tale rischio è fortemente influenzato dal tipo di contratto: è quasi tre volte maggiore per i dipendenti con lavori temporanei (16,2%) rispetto a quelli con lavoro a tempo indeterminato (5,8%).
A partire dal 2010 la quota di occupati a rischio di povertà (8,3%) è in continuo aumento, anche se nel 2017 si registra una battuta di arresto, con un calo di 0,2 punti percentuali rispetto all’anno precedente (era 9,6% nel 2016). L’aumento dei cosiddetti working poor può essere ricondotto anche all’estensione del part-time involontario e, più in generale, a un calo delle ore lavorate annue riconducibili al maggior ricorso a rapporti di lavoro discontinui. Questo fenomeno è presente in tutta l’UE ma in Italia risulta di maggiore intensità.
Sempre nel 2017, tra gli Stati membri dell’UE, la quota più elevata di occupati a rischio di povertà è stata registrata in Romania (17,4%), seguita da Lussemburgo e Spagna (rispettivamente 13,7 e 13,1%). L’Italia si colloca in quinta posizione (12,2%) segnando, in controtendenza con la media europea, un incremento di 0,5 pp rispetto all’anno precedente. In Finlandia (2,7%) si registra il valore più basso.
A partire dal 2013 i maggiori incrementi sono stati registrati in Ungheria (3,2 pp) Bulgaria e Spagna (rispettivamente 2,7 e 2,6 pp); sempre nello stesso periodo in Italia l’incremento è stato di 1,2 pp. Di contro le maggiori riduzioni sono state osservate in Finlandia e Cipro (1,0 pp).
Il salario minimo è stato istituito nella gran parte dei paesi dell’Unione Europea sopra richiamati, con l’eccezione dell’Austria, della Danimarca, della Finlandia, della Svezia, di Cipro e dell’Italia; dal 1° gennaio 2015, è stato introdotto anche in Germania. Gli importi mensili (lordi) pubblicati da Eurostat due volte l’anno, al primo gennaio 2019 variano dai 286 euro della Bulgaria (pari a €1,62 orari (2)) ai poco più di duemila del Lussemburgo (2.071, pari a €11,97 orari); questi importi riflettono anche ampie differenze strutturali tra paesi nelle retribuzioni medie, nella produttività del lavoro e nel potere di acquisto. Tra i paesi maggiori, Francia e Germania presentano un livello simile, di poco superiore ai 1.500 euro al mese (in termini orari rispettivamente pari a €10,03 e € 9,19), mentre in Spagna scende di circa un terzo a poco più di mille euro. Negli Stati Uniti il salario minimo mensile è pari a circa 1.100 euro.
Nei Paesi dell’Unione Europea in cui non vi è un salario minimo per legge, la sua adozione è di fatto sostituita dai minimi previsti nei contratti collettivi.
Sulla base delle ultime informazioni disponibili, nel 2017 per i paesi europei in cui è stato istituito il salario minimo, è possibile osservare il suo peso sui salari medi mensili. Il range è compreso tra il 51,7% della Slovenia e il 36,9% della Spagna. In Germania e Regno Unito questa proporzione è pari rispettivamente al 41,4 e 44,6%, mentre per la Francia si attesta nel 2015, ultimo anno disponibile, al 47,1%.
2. Stima degli effetti del salario minimo sulle retribuzioni
A partire dal Registro annuale su retribuzioni, ore e costo del lavoro per individui e imprese (RACLI) realizzato dall’Istat attraverso l’integrazione tra diverse fonti, è stata condotta una simulazione per la stima degli effetti dell’innalzamento del salario minimo sulle retribuzioni di fatto per ora retribuita (3). In questo campo di osservazione i lavoratori dipendenti del settore privato extra agricolo che hanno lavorato almeno un’ora nell’anno 2016 sono 14,1 milioni.
I rapporti con retribuzione oraria inferiore ai 9 euro lordi (circa il 20% del totale) si concentrano tra gli apprendisti (59,5%) e gli operai (26,2%), nelle attività dei servizi di alloggio e ristorazione (27,1%), del noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese (34,3%), nelle attività artistiche, sportive di intrattenimento e divertimento (29,2%) e nelle altre attività di servizi (61,6%), tra le donne (23,1%) e tra i giovani sotto i 29 anni (32,6%). I settori di attività economica meno interessati da un eventuale incremento del salario orario sono quelli di fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata (3,4%), di fornitura di acqua, reti fognarie, attività di gestione dei rifiuti e risanamento (8,2%), dei servizi di informazione e comunicazione (7,8%) e le attività finanziarie e assicurative (2,1%).
Per tutti i rapporti di lavoro con retribuzione oraria inferiore a €9 lordi, le ore retribuite nell’anno 2016 sono state moltiplicate per €9 (soglia fissata per il salario minimo) ottenendo la stima della retribuzione imponibile lorda annuale relativa a quel rapporto di lavoro.
Per i lavoratori con più rapporti di lavoro nell’anno sono state sommate le retribuzioni annuali dei singoli rapporti ottenendo la retribuzione annuale per ogni lavoratore (4) e la retribuzione maggiorata annuale ottenuta attraverso la simulazione. Le ore retribuite comprendono, oltre alle ore effettivamente lavorate, sia ordinarie sia straordinarie ossia al di fuori dell’ordinario orario di lavoro stabilito dai contratti collettivi di lavoro, anche le ore non lavorate ma retribuite dal datore di lavoro come ferie annuali, giorni festivi, malattia a carico del datore, etc.
I lavoratori per i quali l’innalzamento della retribuzione oraria minima a 9 euro comporterebbe un incremento della retribuzione annuale sono 2,9 milioni ovvero circa il 21% del totale dei lavoratori (2,4 milioni se si escludono gli apprendisti). Per questi lavoratori l’incremento medio annuale sarebbe pari a circa €1.073 pro-capite, con un incremento complessivo del monte salari stimato in circa 3,2 miliardi di euro. L’adeguamento al salario minimo di €9 determinerebbe un incremento sulla retribuzione media annuale dello 0,9% per il totale dei rapporti e del 12,7% per quelli interessati dall’intervento. L’incremento percentuale più significativo coinvolgerebbe i lavoratori occupati nelle altre attività di servizi (+8,8%), i giovani sotto i 29 anni (+3,2%) e gli apprendisti (+10%).
Minore è la retribuzione annuale, soprattutto in funzione della durata del rapporto di lavoro, minore è il vantaggio in termini assoluti del miglioramento della situazione retributiva: il 91% dei 150.471 lavoratori con retribuzione inferiore a €450 annui hanno incrementi fino a €150. Al crescere della retribuzione annuale aumenta il vantaggio in termini assoluti: l’80% dei 537.025 lavoratori con retribuzione annuale compresa fra €13.500 e €18.000 otterrebbe un incremento annuale della retribuzione lorda imponibile maggiore di €500; il 50% degli stessi avrebbero un incremento annuale della retribuzione lorda imponibile superiore a €1500. Circa il 50% dei 144.349 lavoratori con incremento della retribuzione annuale maggiore di €4.000 ha una retribuzione annuale compresa fra €8.000 e €13.500.
Rispetto al totale dei lavoratori che hanno lavorato almeno un’ora nell’anno, il 15% ha avuto più di un rapporto di lavoro (contestuale o meno) con la medesima impresa o con imprese diverse. Osservando separatamente i lavoratori che hanno avuto nel corso dell’anno almeno un rapporto con retribuzione oraria inferiore ai 9 euro lordi, l’incidenza di coloro che hanno avuto più rapporti aumenta al 31%: questo testimonia da un lato la frammentarietà dei rapporti sotto-retribuiti e dall’altro la necessità dei lavoratori coinvolti di intrattenere più rapporti nel tentativo, probabilmente, di raggiungere un salario adeguato.
I rapporti caratterizzati da una retribuzione oraria inferiore ai 9 euro lordi presentano un numero medio di ore retribuite annuali inferiori del 33% rispetto alla media complessiva (781 ore rispetto a 1.178).
L’analisi dell’impatto dell’incremento retributivo medio annuo stimato sugli aggregati economici delle imprese con dipendenti (circa 1,5 milioni) consente di evidenziare un aggravio di costo che, se non trasferito sui prezzi, porterebbe a una compressione di circa l’1,6% del margine operativo lordo. Questi impatti tendono ad aumentare in misura consistente in alcuni settori dei servizi, risultando pari a circa il 70% del margine operativo lordo per i Servizi di vigilanza e investigazione, a circa il 33% per l’Assistenza sociale non residenziale e 34% le Attività di servizi per edifici e paesaggi, al 24% per le Attività di ricerca, selezione, fornitura del personale, al 19% per le Altre attività di servizi alla persona.
3. Retribuzioni contrattuali
Per delineare un quadro generale è stata svolta un’analisi utilizzando le informazioni sulle 2.855 figure professionali (5) riferite ai 73 contratti nazionali (esclusi quelli dei dirigenti) monitorati mensilmente dall’indagine sulle retribuzioni contrattuali e relative a circa 12,4 milioni di dipendenti (6). Per ogni figura professionale (7) è stata calcolata la retribuzione oraria lorda come rapporto tra i livelli retributivi annui in vigore a gennaio 2019 (comprensivi degli altri istituti contrattuali retribuiti come le mensilità aggiuntive, le festività cadenti la domenica, indennità e scatti di anzianità) e il corrispondente orario lordo (incluse le ore a titolo di ferie, festività, e altre riduzioni retribuite previste dai contratti collettivi).
Nel complesso delle figure analizzate dall’indagine il valore medio della retribuzione oraria contrattuale è pari a 13,86 euro e quello mediano è di 12,48 euro.
Il valore minimo delle retribuzioni contrattuali orarie in vigore a gennaio 2019 è leggermente più elevato per il comparto industriale (7,92 euro associato al livello di inquadramento iniziale del contratto pelli e cuoio) rispetto a quello dei servizi (che include anche la pubblica amministrazione) che è pari a 7,17 euro (per le figure meno qualificate dei contratti delle radio e televisioni private). Nel complesso dell’economia i valori più bassi sono presentati dagli operai agricoli con la qualifica più bassa il cui salario orario ammonta per contratto a 6,08 euro. Per contro, nei servizi i valori più elevati sono relativi alle figure apicali del settore del credito pari a circa 56 euro e, nell’industria, ai livelli apicali dei contratti dell’energia elettrica e delle aziende petrolifere (circa 27 euro).
4. Retribuzione di fatto per ora lavorata
Attraverso le statistiche prodotte dai conti economici nazionali, dove si ricorda è compresa anche un stima del lavoro sommerso, è possibile avere un quadro, con riferimento al valore della retribuzione media per ora lavorata (cioè al netto di quelle retribuite e non lavorate), relativo anche ad attività economiche non coperte altrimenti.
Dal quadro desumibile dai conti nazionali annuali, emerge che nel 2018 per il settore agricolo la retribuzione lorda per ora lavorata è di 9 euro e che nell’attività di famiglie e convivenze come datori di lavoro per personale domestico etc., è pari a 7,3 euro. In questa sezione, che comprende oltre 1,5 milioni di occupati in media annua, una parte molto rilevante è rappresentata dai lavoratori domestici (8).
5. Il meccanismo di rivalutazione annuale
Con riferimento al meccanismo di rivalutazione annuale dell’importo del minimo salariale orario, i due indicatori proposti, la stima della dinamica dell’indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi dell’Unione europea (IPCA), al netto della dinamica di prezzi dei beni energetici importati, e l’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (Foi) rilevato dall’Istat hanno dato luogo nel periodo tra il 2009 e il 2017 a dinamiche simili, con una differenza a fine periodo di otto decimi di punto percentuale a favore della stima dell’Ipca al netto dei beni energetici importati. Rispetto alla disponibilità di tali dati si ricorda che la variazione della media annua rispetto all’anno precedente è diffusa per il Foi a gennaio e per la stima dell’Ipca al netto dei beni energetici importati a maggio.
*Audizione ISTAT alla 11a Commissione del Senato, Esame dei disegni di legge n. 310 e n. 658 in materia di istituzione del salario minimo orario
note
1 Le persone a rischio di povertà sono quelle che vivono in una famiglia con un reddito disponibile equivalente al di sotto della soglia di rischio di povertà. Questa soglia è fissata al 60% del reddito disponibile equivalente mediano nazionale (dopo i trasferimenti sociali).
2 La conversione da retribuzioni mensili in retribuzioni orarie standardizzate viene regolarmente
effettuata dall’Eurofound: https://www.eurofound.europa.eu/publications/article/2019/minimum- wages-in-2019-first-findings
3 L’analisi si basa su dati di fonte Istat Registro RACLI e riguardano i lavoratori dipendenti regolari del settore privato extra agricolo, ossia sezioni di attività economica da B ad S della classificazione Ateco, con riferimento all’anno 2016. La stima non tiene conto dei cambiamenti che l’introduzione del salario minino potrebbe generare nel comportamento degli attori del mercato del lavoro.
4 Retribuzione lorda annua: salari, stipendi e competenze accessorie in denaro, al lordo delle trattenute fiscali e previdenziali, a carico del datore di lavoro. In questo contesto, nelle statistiche basate sul registro RACLI, coincide con le retribuzioni imponibili ai fini contributivi erogate secondo il principio di cassa. Include la retribuzione per ore di lavoro straordinarie ossia svolte oltre le ore ordinarie.
5 Le figure professionali sono individuate all’interno di ogni contratto dalla qualifica e dai livelli di inquadramento a cui corrisponde una diversa misura retributiva tabellare di base. L’indagine non considera gli apprendisti.
6 Tali dipendenti sono calcolati come equivalenti a tempo pieno (Ula), è come se tutti lavorassero l’intero
anno a tempo pieno.
7 La consistenza occupazionale associata ad ogni figura è quella fissata nel periodo di base, dicembre
2015.
8 Il CCNL lavoro domestico non è monitorato dall’indagine sulle retribuzioni contrattuali. La retribuzione oraria contrattuale, in vigore da gennaio 2019, per il personale domestico non convivente (al netto del rateo di tredicesima) varia tra 4,62 euro per il livello A e 8,21 euro per il livello apicale DS.
Monducci_Allegato_235
**Direttore del Dipartimento per la produzione statistica