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Se l’ Europa ci copiasse ….

Nicola Gratteri: “ L’importante è che la politica prenda posizione su quello che sto per dire. Qual è la nostra difficoltà a fare indagini in Europa?  L’idea che ho io è che in Europa abbiamo solo la moneta unica e ci interessiamo solo di commerci, mentre la sicurezza non interessa nessuno. Vi dico perché penso questo. Io sono stato invitato sia a Bruxelles che a Strasburgo, per l’allora istituenda Commissione europea antimafia, di cui è presidente Sonia Alfano. Quando si discuteva dell’Europa, c’erano i parlamentari tedeschi che gridavano, per dire che in Germania non c’era la mafia. Ora, se c’è un Paese dopo l’Italia dove c’è la mafia, è sicuramente la Germania. Non avete idea di come gridavano i parlamentari tedeschi (in particolare, un paio dei Verdi) per dire che in Germania non c’era la mafia. Io penso che non lo ammettessero per due motivi. Innanzitutto, ammettendolo, dovrebbero spiegare perché non l’hanno detto già vent’anni fa. In secondo luogo, dire che esiste la mafia vuol dire scoraggiare gli investitori. Noi abbiamo un grosso problema. Incominciamo a parlare di stupefacenti. Incominciamo a parlare del ritardato arresto e del ritardato sequestro. In Italia noi abbiamo questa possibilità. L’ultima legge veramente seria contro le mafie in Italia è quella sugli stupefacenti del 1990, che prevede una pena che va da venti a trent’anni. In seguito parleremo di pene. Vi faccio un esempio pratico, così è più facile capire. Io mi trovavo a Rotterdam e stavamo intercettando, su nostra richiesta, con rogatoria internazionale, un olandese, il quale il giorno dopo sarebbe dovuto andare a prelevare un container di cocaina al porto di Rotterdam. Il porto di Rotterdam è almeno un quarto di Roma. È una cosa incredibile. Bisogna andarci per vedere la grandezza di questo porto. Noi non conoscevamo il numero dei container. Dovevamo solo seguire questa persona, per vedere come faceva a uscire dal porto di Rotterdam con questo container. Il procuratore di Rotterdam mi disse che dovevano arrestarlo. Io risposi che, se l’avessimo arrestato, avremmo perso il container. Lui ribatté che, visto che dall’intercettazione emergeva che questo aveva due chili di cocaina a casa, lui non poteva ritardare il sequestro di cocaina e, dal momento che entrando in questa casa

avrebbe trovato due chili di cocaina, avrebbe dovuto arrestarlo. In quel modo avremmo perso il container. Noi in Italia, giustamente, pensiamo alla gallina domani e non all’uovo oggi. Credetemi: la legislazione antimafia italiana è la più evoluta al mondo (io mediamente ogni quindici giorni sono in giro per il mondo). Tuttavia, questo non vuol dire che la legislazione antimafia italiana mi appaghi. Non mi appaga assolutamente. Io ho in testa una rivoluzione pensando al sistema italiano, al codice penale, alla procedura penale e al trattamento penitenziario. Figuratevi se mi appaga questo sistema: se i tribunali fossero delle imprese private domani mattina fallirebbero. C’è da fare la Terza guerra mondiale nei codici. Tornando al punto, in Olanda non è possibile ritardare l’arresto o il sequestro, quindi per noi è molto difficile fare indagini. La stessa cosa riguarda Belgio, Germania Spagna e Portogallo. Noi siamo in Europa per cosa? Per discutere due mesi delle quote latte e per discutere dieci giorni della lunghezza delle banane da importare, e poi non ci preoccupiamo della sicurezza? Vi siete chiesti perché l’Europa è piena di latitanti italiani ’ndranghetisti, camorristi e di cosa nostra? Ciò accade perché nessuno li trova o li cerca. Quando si arresta qualcuno ad Amsterdam o a Rotterdam, ciò accade perché la polizia giudiziaria italiana fa l’indagine dall’Italia e poi o manda qualcuno dei nostri o dice a loro: « Andate in quella via, questa è la foto e catturatelo ». Questo è il problema. Durante il semestre di presidenza italiana dell’UE, dobbiamo cominciare a parlare di omologazione dei codici, quantomeno a partire dall’ABC. L’ABC è l’arresto ritardato e il sequestro ritardato. Altrimenti di che cosa parliamo? L’Europa, in sostanza, è una grande prateria, dove chiunque può andare a pascolare. Fatevi un giro in Europa per tre giorni con la macchina e vedrete che nessuno vi ferma. Non c’è la cultura del controllo del territorio, perché si continua a pensare che la mafia esiste se c’è il morto a terra, se ci sono segni di spari alle serrande o alle macchine. Invece non è così. Le mafie italiane sono in Europa per fare due reati: per vendere cocaina e per fare riciclaggio. Da Roma in su, fino alla Norvegia, vanno a comprare tutto ciò che è in vendita, perché sono gli unici ad avere contanti. Se loro comprano un ristorante a Francoforte, stanno attenti affinché in quella via non si rubi nemmeno una bicicletta, sia per non svalutare il bene sia perché la polizia non vada a ficcare il naso. Di cosa stiamo parlando, se questa è l’Europa? Dobbiamo tener presente questo, quando noi parliamo di mafie, oltre a modificare i codici italiani, che sono fermi da trent’anni. Siamo all’ABC dell’informatizzazione. Ancora andiamo a fare una notifica con l’ufficiale giudiziario o con la polizia giudiziaria, buttando al vento milioni di euro, con cui potremmo pagare gli straordinari alla polizia giudiziaria, che ogni anno perde il 50 per cento dello straordinario, che svolgono gratuitamente per il senso dello Stato che hanno. Sfruttiamo questo semestre europeo, in modo tale che questi Stati si allineino all’Italia. Non sempre l’Italia deve andare appresso agli altri Stati. Per una volta, l’Italia può insegnare la legislazione antimafia all’Europa, che non vuole sentire, perché pensa che sia un problema italiano. Non è un problema italiano, perché tocca l’economia e, toccando l’economia, tocca la libertà e quindi la democrazia. Se saltano le regole del mercato, se siamo in un mercato falsato e drogato, non c’è libertà. La libertà non sta nel fatto che io stasera vi sto dicendo queste cose. La libertà è la possibilità di fare scelte economiche libere, non condizionate e non falsificate dalla droga. La droga che abbiamo sequestrato non è nemmeno il 10 per cento di quella che arriva in Europa. Parliamo un attimo degli Stati Uniti. Negli Stati Uniti è diminuito il consumo di cocaina da tre anni, perché da vent’anni fanno prevenzione nelle scuole. Da vent’anni spiegano cosa accade alle cellule del cervello.

Perché il contrasto all’ONU è fallito? L’ONU ogni anno ci dice che diminuisce il consumo di cocaina. Mi devono dire come facciamo a conciliare questi dati con quelli delle analisi che vengono fatte nei fiumi europei. Se non c’è più produzione, dovrebbe diminuire il risultato dell’analisi dei fiumi. O non sono corretti i primi dati, o non sono corretti i secondi. Qualcosa che non funziona c’è. Ogni tanto vado in Colombia, ma non vado per turismo. Qualcuno ha fatto una battuta, dicendo che non sono mai in ufficio e sono sempre in giro. Premesso che io ancora devo consumare le ferie del 2013, quando io vado in Sud America, parto la sera da Roma, arrivo la mattina e sto tutto il giorno. Sono andato anche in Brasile. Sono stato una giornata e la sera alle 10.00 ho ripreso l’aereo. Sono andato a New York (non ho dormito in un letto), ho lavorato tutto il giorno e il giorno dopo sono rientrato in Italia. Viaggio sempre in classe economica, mai in business. L’altro giorno sono stato ad Amsterdam e a Rotterdam. Sono partito la mattina alle 4.00 da casa e la sera alle 11.00 ero a Roma. Non ho neanche dormito ad Amsterdam o a Rotterdam. Ricordatevi che ho parlato con il procuratore di Rotterdam. L’ONU ha fatto gli affumicamenti per bruciare le piantagioni. Gli affumicamenti provocavano il tumore alla tiroide nei contadini, ma c’era anche un’altra cosa: Mancuso mi ha detto che noi pagavamo i piloti, ma questi, invece di spruzzare veleno, spruzzavano acqua. L’ONU aveva proposto l’integrazione. Se un contadino pianta granturco guadagna 60, se pianta coca guadagna 100. L’ONU proponeva di dare loro il 40 per cento, in modo che non piantassero coca. I cocaleros erano d’accordo. Il problema è che questi soldi non sono mai arrivati. I funzionari dell’ONU sarebbero dovuti scendere dal trentesimo piano di New York, andare a Bogotà, nelle campagne e nelle foreste della Colombia e sporcarsi i piedi, anche con i baschi blu, e trattare direttamente con i cocaleros, e non con la pubblica amministrazione corrotta, per la quale la vita di un uomo vale quanto una bicicletta o quanto un telefonino. Questa politica, quindi, ha fallito. Perché la Drug Enforcement Administration (DEA) è forte in Sudamerica? Innanzitutto, la Colombia è il cinquantunesimo Stato degli Stati Uniti. La DEA è forte perché investe, spende e ha 2.000 uomini che lavorano lì. Ci sono uomini della polizia colombiana che vengono stipendiati dagli americani, i quali comprano loro computer, macchine blindate e strutture. Questi uomini lavorano per gli americani e questi ultimi riescono ad avere un grande successo per quanto riguarda il blocco dell’importazione di cocaina negli Stati Uniti. Perché noi non investiamo? La Direzione centrale dei servizi antidroga (DCSA) in Italia è una cosa molto seria. È l’unica struttura internazionale che ci serve per contrastare il narcotraffico. È un’organizzazione preziosa, senza la quale non riusciremmo a lavorare. È una struttura interforze importante. Ogni due anni cambia il comandante: una volta è un finanziere, una volta è un poliziotto e un’altra volta un carabiniere. Questo non crea gelosie, perché gli uomini sanno che in automatico se ne devono andare, e funziona veramente. Purtroppo ci sono poche strutture. Ad esempio, è stata tolta la struttura in Perù, che ci serviva, perché bisognava metterne due in Spagna (una a Madrid e una a Barcellona). Secondo me ne sono state messe due in Spagna, non perché ce ne fosse bisogno, ma perché è come se ci fossero due Spagne: la Catalogna è uno Stato e il resto è un altro Stato. Questa è la verità. Non lo dice nessuno, ma ve lo dico io. Mi spiegate a cosa serve l’omino della DCSA a Mosca? La droga non passa da Mosca, però c’è l’uomo antidroga a Mosca. Bisogna rivedere le cose più velocemente. Siccome per legge più di venti uomini della DCSA non possono esserci, allora bisognerebbe modificare questa regola e renderla molto più snella, per spostare questi uomini dove serve. Vi assicuro che è importante.

Io andrei a rivedere l’Eurojust (figuratevi quanto mi amano i miei colleghi), per vedere se è il caso di modificarne le funzioni, perché mi pare che, così come è, ci sia poco traffico in Eurojust. Non vado oltre. Andare all’estero vuol dire guadagnare 20.000 euro al mese. Io ho un alto senso dello Stato. Ad esempio, guido la macchina e non ho l’autista. Ho la scorta dal 1989, ma guido la macchina io stesso per risparmiare. Secondo me, se una persona ha un ruolo e una funzione, deve produrre. Io faccio in media tre o quattro rogatorie a settimana e dal 1989 ad oggi sono andato due sole volte a L’Aja ad Eurojust. Questo vuol dire che con me si può fare a meno di Eurojust. Se io devo parlare col procuratore di Barcellona, perché dovremmo fare la riunione di Eurojust a L’Aja? Il procuratore di Barcellona dovrebbe andare a L’Aja e io dovrei andare a L’Aja. Invece, una volta vado io a Barcellona e una volta viene lui a Roma, in modo che facciamo prima e risparmiamo. O si cambiano le funzioni, o si ha il coraggio di fare la procura federale europea per la macrocriminalità, in cui mandiamo gente capace, non la scegliamo applicando il solito manuale Cencelli, oppure lasciamo le cose come stanno, sburocratizzando in materia di trattati bilaterali. Ad esempio, quando sono stato a Bogotà pochi mesi fa ho parlato col presidente dell’alta corte, che mi ha fatto leggere tre trattati bilaterali tra Italia e Colombia. La Colombia è il maggiore produttore al mondo di cocaina. Nel complesso gli altri Stati messi assieme non producono quanto si produce in Colombia. Ebbene, da sette anni sono fermi al Ministero della giustizia tre trattati bilaterali tra Italia e Colombia: uno in materia di estradizione, uno in materia di espulsione e uno in materia di indagini. Io li ho letti. Non so se siano fatti beni. Bisognerebbe chiederlo ai ministri che si sono succeduti negli ultimi sette anni. Io non c’ero. Parliamo di trattati tra il Ministero della giustizia italiano e il Ministero della giustizia colombiano. Per fare una rogatoria con la Colombia, noi dobbiamo basarci sugli articoli 720 del codice di procedura penale e seguenti, secondo cui addirittura se io firmo la rogatoria ci vuole la postilla, cioè un timbro rettangolare di un altro magistrato, che mi deve autenticare la firma, avendone il deposito in procura. Loro si muovono con mezzi telematici all’avanguardia e io ancora sono col timbro di autenticazione della firma del mio collega o del procuratore. Questa è la situazione. Cosa ci vuole per portare avanti questi tre trattati bilaterali tra Italia e Colombia? Ad esempio, ci sono trattati tra Italia e Stati Uniti, che funzionano benissimo. Con gli Stati Uniti lavoriamo molto bene, perché presso l’ambasciata di via Veneto a Roma c’è un magistrato di altissimo livello, con il quale mi incontrerò anche domani, che è bravissimo e con cui lavoriamo come se fossimo in Italia. Da questo punto di vista, non c’è differenza tra Italia e Stati Uniti. È possibile che non possiamo fare questo con gli altri Stati? Il presidente dell’alta corte colombiana mi ha detto che loro sono pronti. Addirittura sono disponibili anche alle squadre comuni di indagine. Voi immaginate cosa significherebbe la possibilità per cinque o sei dei nostri uomini di andare in Colombia a lavorare? Come vedete, ci sono tante piccole cose che bisogna modificare. Si pensa sempre alla legislazione antimafia, ma se io non risolvo il problema dell’ordinario, se io non sturo il lavandino, se io ho i tribunali intasati da cose bagatellari assolutamente inutili, se non faccio una forte depenalizzazione, se non informatizzo il processo penale, dove andiamo? Come facciamo la legislazione antimafia? La facciamo con il rito abbreviato? Il rito abbreviato e il patteggiamento sono dei favori alle mafie. Quando c’è la prova, gli avvocati si mettono in fila indiana davanti al giudice per chiedere il rito abbreviato. Dov’è il vantaggio per lo Stato?

Se ci sono 50 imputati in un processo, di cui 49 chiedono di essere giudicati con il rito abbreviato, e se allo stato degli atti uno solo dice che vuole andare in dibattimento, io devo ripercorre la posizione degli altri 49, per dimostrare che quella persona è un mafioso e che è associato anche con loro. Siccome la sentenza di condanna con rito abbreviato non è ancora definitiva, anche acquisendola al fascicolo, vale come documento, ma io non la posso utilizzare come prova. Di conseguenza, devo sentire nuovamente 60-70 ufficiali di polizia giudiziaria che hanno fatto l’indagine. Nel mentre, il 50 per cento di questi si è trasferito da Roma in su, e quindi devo pagare loro il viaggio, l’albergo eccetera. Dov’è, dunque, il guadagno per lo Stato? Mi riferisco soprattutto ai reati di criminalità organizzata. Se noi invece informatizziamo il processo, se noi depenalizziamo e, quindi, andiamo in tribunale per cose serie, aboliamo pure il rito abbreviato e finiamo di fare sconti alle mafie. Cominciamo a pensare che quando si arresta un mafioso la prima cosa che lui fa è andare guardare il capo di imputazione. Lui ha paura di due cose: dell’imputazione di omicidio e dell’imputazione di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, perché la pena va da venti a trent’anni. Quando non vede questi due reati, fa un sospiro di sollievo, perché un capomafia condannato per 416bis, quindi un promotore, al netto starà in carcere cinque anni. Se si fa il rito abbreviato, e poi ottiene la buona condotta perché è un detenuto modello (ogni anno sono tre mesi in meno), dopo cinque anni è fuori. Cosa sono cinque anni di carcere davanti al dato che lui è l’uomo del monte? Lui decide i respiri e il battito cardiaco. Lui cadenza i tempi in una collettività. Cominciamo a rivedere il 416-bis, anche come pena. Cominciamo a rivedere il 416-ter, anche come pena. Perché è meno grave l’accordo tra un mafioso e un politico rispetto al reato di un mafioso che chiede la mazzetta a dieci commercianti?

*  Stralcio dall’ Audizione Commissione Parlamentare AntiMafia 15/01/2018

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