«Si avvierà nell’orizzonte triennale del Governo … un cantiere di più generale revisione delle norme fiscali, a partire dall’Irpef». Le parole del ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, davanti alle Commissioni Bilancio Finanze della Camera sono inequivoche. Salvo sorprese, nel giro di un triennio avremo non solo una nuova struttura dell’imposta personale ma forse una nuova struttura del complessivo sistema fiscale. Un obbiettivo certamente ambizioso che, se raggiunto, darebbe da solo un senso al percorso del governo in carica.
Una riforma complessiva, dunque. Ma quale? Accantoniamo per un attimo l’ipotesi forse più probabile e cioè quella secondo cui, al passare del tempo, la revisione generale si tradurrebbe in una rimodulazione di qualche aliquota, nella ridefinizione di qualche scaglione, nella revisione di selezionate detrazioni o deduzioni. Insomma nello svuotamento progressivo di ogni ipotesi di vera riforma di un sistema fiscale in cui le pezze che siamo andati mettendo nel tempo rendono oramai impossibile intuire se il tessuto sottostante fosse a righe, a quadretti o a tinta unita.
Non sarebbe 1a prima volta e non sarà, forse, l’ultima. E tuttavia il ministro dell’Economia è uomo d’onore, e merita di essere preso sul serio. Quale riforma dunque? Sulla flat tax il ministro non usato mezzi termini: è archiviata, «non la faremo mai. Dava tanto a chi ha di più, mentre noi siamo il governo… della riduzione delle imposte ai più deboli. Era ingiusta, sbagliata, insostenibile e incostituzionale …».
Di quale flat tax parlasse il ministro non è chiaro, ma non importa. In quale direzione guardare, allora, per immaginare la complessiva riforma fiscale del governo giallorosso?
Tra patrimoniale ordinaria e maxi Irap
Non molti ci hanno fatto caso ma una ampia ipotesi di riforma è stata recentemente avanzata (nella Rivista di Politica Economica) dall’ex-ministro delle Finanze e del Tesoro, Vincenzo Visco, la cui consonanza con esponenti importanti della amministrazione da poco in carica è nota.
Proverò a sintetizzarla, cercando di non far torto alla organicità delle argomentazioni da cui la proposta discende. Intanto, la premessa (che è difficile non condividere): «il sistema tributario italiano si è trasformato nel luogo della assoluta discrezionalità se non dell’abuso vero e proprio».
Da ciò alcune indicazioni tutt’altro che generiche.
Primo: trasformazione dell’Irpef «in una imposta progressiva sui soli redditi da lavoro (dipendente e autonomo), superando la finzione per cui essa oggi viene ancora presentata come una imposta generale sul reddito».
Secondo: introduzione di «una imposta personale progressiva sul patrimonio complessivo (mobiliare e immobiliare) al netto dei mutui residui e dei costì di manutenzione con aliquote comprese fra zero e … 1,5-2% sul patrimonio … (e soppressione di) tutte le altre imposte erariali che gravano sui redditi di capitale e sul patrimonio, comprese le ritenute e l’Imu». Non dunque una imposta straordinaria sui patrimoni ma una imposta ordinaria sugli stessi (che, per inciso, sarebbe anche la base per una diversa finanza decentrata).
Terzo: alla luce delle potenziali future difficoltà di finanziamento dei sistemi di welfare, superamento integrale del sistema basato sui contributi previdenziali e sua sostituzione con una imposta generale e proporzionale sul valore aggiunto prodotto dal sistema economico, destinata al finanziamento del welfare nella sua interezza. Qualcosa di molto vicino ad una maxi-lrap che andrebbe a sostituire, appunto, l’attuale Irap ed í contributi sociali.
Quarto: tassazione forfettaria per le micro-imprese e una riedizione dell’Ace per le imprese di maggiori dimensioni.
Quinto: una imposta di successione mirata alla redistribuzione della ricchezza.
Naturalmente, non ci sono elementi per pensare che sia questo il quadro di riferimento della riforma cui faceva riferimento il ministro nel corso della sua audizione alla Camera ma è facile immaginare che l’attuale governo possa condividerne molti dei motivi ispiratori: dalla necessità di salvaguardare il welfare alla urgenza delle politiche redistributive, alla difesa intransigente dei principi di progressività del sistema fiscale. Per citarne solo alcuni.
I servizi si pagano
Non è questa la sede per una valutazione della proposta. Qui merita soprattutto di essere segnalata la radicale contrapposizione fra questa ipotesi di riforma e, ad esempio, la proposta di riforma avanzata due anni fa dall’Istituto Bruno Leoni e centrata—qualcuno lo ricorderà—sulla introduzione di una imposta personale con quota esente ed aliquota unica pari alla aliquota delle imposte cedolari applicabili ai redditi da capitale, sulla introduzione di un sfoltimento radicale delle spese fiscali, sulla abolizione dell’Imu, sulla abolizione dell’Irap e sulla reintroduzione di un contributo per il finanziamento della sanità, sulla introduzione di un generale principio di onerosità della fornitura dei servizi pubblici per i più abbienti.
Di qui —nella proposta di Vincenzo Visco— un sistema fiscale (pikettianamente) fortemente progressivo, soprattutto per i redditi da capitale, e associato ad una fornitura gratuita dei servizi pubblici. Di là – nella proposta dell’Istituto Bruno Leoni – un sistema fiscale (enaudianamente) moderatamente progressivo e associato a servizi pubblici onerosi per i più abbienti. Di qui la convinzione che la disuguaglianza dei redditi e della ricchezza sia il tema dei nostri tempi, di là la certezza che la priorità del paese sia la crescita. Di qui una scelta di riforma a gettito invariato, di là una dichiarata volontà di ridurre la pressione fiscale e la presenza del pubblico nell’economia. Due contrapposte visioni del paese e delle sue prospettive.
Ma la vogliono davvero?
L’auspicio è che, quando sarà il momento, gli italiani possano esprimersi su alternative così chiaramente definite. Ne va, più che delle loro sostanze, del loro futuro. Ma non è detto che questo accada. Quand’anche il governo trovasse – oltre alle competenze di cui evidentemente dispone – la forza e la volontà per scegliere la strada di una reale riforma, mancherebbe probabilmente la controparte. Nell’ultimo anno e mezzo, parte dell’attuale opposizione, allora al governo, ha trattato infatti il tema della flat tax con una straordinaria superficialità e con un impressionante dilettantismo, trasformando quella che poteva essere una proposta divisiva, certo, ma altamente simbolica in una ridicola caricatura di se stessa, priva di ogni senso e valore. Un favore che non è affatto detto che l’attuale maggioranza decida di non ricambiare, declassando la «generale revisione» menzionata dal ministro dell’Economia a qualche ritocco, poche correzioni, alcune rifiniture, e niente altro.
*Professore di politca economica Università Tor Vergata; Presidente Istituto Bruno Leoni