Il Rapporto ISTAT 2019 sulla situazione del Paese, afferma che “sul fronte demografico, il bilancio del 2018 conferma le tendenze degli ultimi anni, fortemente caratterizzate dal calo delle nascite, dall’invecchiamento della popolazione”.
Infatti continua il calo delle nascite, in atto dal 2008. Già a partire dal 2015 il numero di nascite è sceso sotto il mezzo milione e nel 2018 si registra un nuovo record negativo: sono stati iscritti in anagrafe per nascita solo 439.747 bambini, il minimo storico dall’Unità d’Italia, oltre 18 mila in meno rispetto al 2017, quando erano nati 458.151 bambini, che già erano oltre 15 mila in meno rispetto al 2016.
Il Rapporto ISTAT 2019 afferma inoltre che “nel 2050 la quota di ultra65enni sul totale della popolazione potrebbe ulteriormente aumentare rispetto al livello del 2018 (pari al 23%) tra 9 e 14 punti percentuali, secondo ipotesi più o meno ottimistiche”. Ed ancora che “questi cambiamenti, in assenza di significative misure di contrasto, potrebbero determinare ricadute negative sul potenziale di crescita economica, con impatti rilevanti sull’organizzazione dei processi produttivi e sulla struttura e la qualità del capitale umano disponibile”. Il Rapporto Istatcontinua: “l’accentuarsi dell’invecchiamento demografico comporterebbe effetti significativi sul livello e sulla struttura della spesa per il welfare: con pensioni e sanità decisamente in prima linea, pur mettendo in conto che gli anziani di domani saranno in migliori condizioni di salute e di autonomia funzionale”. Ed infine afferma che “In proposito è utile sottolineare che se oggi garantire un’assistenza dignitosa a quasi 14 milioni di ultra65enni sembra, oltre che doveroso, ancora possibile, è opportuno interrogarsi “se” e “come” saremo in grado di soddisfare la stessa domanda anche solo tra vent’anni, allorché gli anziani saranno saliti di altri 5 milioni”.
A fronte di prospettive così preoccupanti, è utile domandarsi quali provvedimenti sia opportuno adottare oggi e subito per invertire questa tendenza, in modo da ridare speranza nel futuro alle giovani coppie, evitando di avere la responsabilità di scaricare sulle future generazioni il peso di una situazione tragicamente insostenibile.
Le cause del calo delle nascite sono state ampiamente analizzate: oltre ad una diversa e nuova cultura familiare, i motivi che frenano le coppie nel fare figli derivano essenzialmente dalla situazione economica della famiglia e dalla carenza di servizi all’infanzia.
Per sostenere economicamente le famiglie con figli, bisogna che gli interventi di sostegno siano proporzionali al reddito ed al numero dei componenti di ciascuna famiglia. A questo proposito, la base di partenza potrebbe essere l’unificazione degli Assegni Familiari e dell’Assegno di Natalità, che già attualmente vengono corrisposti, seppur con parametri differenti, con i criteri proporzionali indicati.
Il nuovo sostegno derivante da tale unificazione dovrà essere corrisposto a tutte le famiglie residenti in Italia, indipendentemente dal loro status lavorativo. Ciò comporta il superamento del carattere previdenziale degli Assegni Familiari e la conseguente individuazione delle risorse finanziarie occorrenti, utilizzando ovviamente anche quelle già disponibili.
Tuttavia, senza una significativa rivalutazione, l’ammontare che deriverebbe dalla unificazione degli attuali importi degli assegni familiari con l’assegno di natalità, sarebbe assolutamente insufficiente a garantire alle famiglie una sicurezza economica minima, fondamentale per assumere la decisione di programmare la nascita dei figli. Pertanto, l’unificazione dei due istituti esistenti non potrebbe che essere un primo passo che razionalizza gli interventi, ma dovrebbe essere messo in programma, anche gradualmente, un sostanziale incremento delle risorse destinate a questo scopo.
Ma la politica più efficace a sostegno della natalità è quella di aumentare e migliorare decisamente i servizi all’infanzia.
Anzitutto va messo in atto un programma pluriennale per costruire nuovi asili nido e nuove scuole materne, in modo da poter accogliere nelle strutture pubbliche, soprattutto nel Sud del Paese, tutti i bambini in età prescolare. In attesa della realizzazione di questo programma, va previsto il rimborso delle rette sostenute dalle famiglie per collocare i bambini presso gli asili nido e le scuole materne private.
Attraverso una diversa organizzazione, vanno anche migliorati i servizi offerti dalle strutture scolastiche pubbliche esistenti.
Tutte le Scuole Elementari Comunali vanno messe in condizione di offrire il tempo pieno in tutto il Paese, superando le scandalose differenze fra le aree del Sud e quelle del Centro-Nord.
Tutte le strutture scolastiche pubbliche (asili nido, scuole materne e scuole elementari) devono poter assicurare la custodia dei bambini e degli scolari almeno fino alle ore 20, per consentire anche ai genitori/lavoratori di poterli riprendere dopo il termine del loro orario di lavoro, senza dover mobilitare nonni e parenti (quando sono disponibili) o pagare studenti e baby sitter.
Tutte le medesime strutture scolastiche pubbliche devono rimanere aperte anche nel periodo estivo ed organizzare iniziative ludiche e ricreative (centri estivi) per accogliere i ragazzi anche durante le vacanze scolastiche. Così si eviterebbero ai genitori le affannose ricerche di acrobatiche soluzioni per collocare i ragazzi durante il periodo della chiusura delle scuole, insieme ai costi non indifferenti, e spesso insostenibili per molte famiglie, che essi devono sostenere per poter proseguire con serenità il loro lavoro anche nei mesi estivi.
Occorre insomma prevedere un vasto programma di scuole aperte da realizzare anche con la collaborazione dei genitori, del corpo insegnante e del sindacato della scuola.
Sappiamo bene che non sarà facile realizzare un programma così vasto ed incisivo, che occorreranno risorse economiche importanti per sostenere effettivamente la natalità nel nostro Paese. Ma i soldi per la scuola, oltre a contribuire al superamento del preoccupante calo delle nascite, saranno quelli meglio spesi e quelli che daranno all’Italia i maggiori frutti.
Anche gli insegnanti dovranno in una certa misura rivedere i loro orari di lavoro e le loro vacanze. Il cambio di atteggiamento del sindacato della scuola ed i sacrifici richiesti al corpo docente dovranno essere considerati nel loro giusto ed importante valore. Perché, come diceva Don Milani, “la buona scuola cammina sulle gambe degli insegnanti e deve essere al servizio dei ragazzi e non di coloro che vi lavorano”.