Il 2020 si apre, in campo socio economico, con un paio di cattive notizie e con un pacchetto di eventi che lasciano ben sperare. Non sono tra loro scollegati, per cui sarà determinante il modo come tra loro si intrecciano per comprendere se le prime s’imporranno sul secondo o viceversa. Ed è ovvio che, oltre agli effetti delle elezioni regionali alle porte, è da questo intreccio che si potrà sapere se la salute del Governo sarà buona e con essa la stabilità complessiva del Paese.
Nello scacchiere internazionale, c’è la radice della prima cattiva notizia. Sia che riguardi l’intesa Stati Uniti/Cina sui dazi, sia che attenga alle crisi aperte in Medio Oriente, si va consolidando l’idea che è l’Europa la destinataria del conto più pesante. In termini di minori esportazioni – fenomeno già in atto – e di riduzione del peso geopolitico, anch’esso già in discesa. A dare una mano a far precipitare la situazione politica ed economica in questa direzione, si mette la stessa Europa, ancora incapace di avere posizioni comuni su dossier importanti riguardanti la pace, le tecnologie, le alleanze.
Non estranea a questa tendenza, è di questi giorni la notizia che siamo in stagnazione. Il PIL non cresce. In controtendenza, l’occupazione sembra che segua un suo trend positivo. Ma gli entusiasmi sono fuori luogo. Il monte ore lavorate è ancora più basso di quello del 2007; quindi, ciò che cresce veramente sono i lavori poveri, mentre chi ha professionalità medio-alte è costretto ad accettare lavori estranei al proprio patrimonio culturale oppure ad emigrare. Il fatto che la produzione industriale sia stagnante e con essa i consumi, in realtà è la controprova che c’è una diffusa insicurezza, si guadagna poco e l’export non fa scintille.
Di contro, in questi giorni, si sono imposti tre promettenti messaggi: la Commissione Europea ha varato un poderoso piano di 1000 miliardi in dieci anni per lo sviluppo sostenibile; tra Governo italiano e sindacati c’è stato un primo accordo sulla politica fiscale; la piazza delle Sardine è tornata a riempirsi, esprimendo grande coraggio ed inedita speranza.
La presidente della Commissione Europea Von der Leyen ha annunciato che quello della lotta al surriscaldamento della Terra è il fulcro del suo mandato. Il piano appare consistente dal lato delle risorse e credibile dal lato della gestione. Ovviamente, la massa di investimenti pubblici deve poter attivare molti più interventi dei capitali privati e le modalità di erogazione devono facilitare una rapida utilizzazione. Se questo è il segno che deve avere lo sviluppo futuro delle attività produttive e dei servizi in Europa, tutte le parti politiche, economiche e sociali devono operare in modo cooperativo.
Ha ragione Enrico Giovannini quando sottolinea che in Italia “il cambiamento sta avvenendo troppo lentamente a causa dei ritardi della politica e dell’atteggiamento di parti consistenti delle opinioni pubbliche” (24 Ore, 19/01/2020). Sarebbe significativo se le organizzazioni sindacali prendessero l’iniziativa di aprire in ogni luogo di lavoro un confronto negoziale con le controparti per definire le modalità di eliminazione del CO2 prodotte e per discutere le conseguenze sull’organizzazione del lavoro e sulle professionalità dei lavoratori.
In questo modo, i lavoratori diventerebbero protagonisti di un’accelerazione dell’economia circolare applicata, così come lo stanno diventando sulle politiche redistributive. L’accordo sul fisco, con i risultati acquisiti e l’impegno a produrre rapidamente una riforma fiscale incisiva, è importante in sé ma anche perché ha ripristinato un metodo concertativo che negli anni passati – in modo miope – era stato accantonato dai Governi. Si sta facendo strada un’esigenza di coesione sociale, sia pure in mezzo a grida ancora alte che vorrebbero alimentare continuamente paure, odio e divisione.
Lo dimostra la partecipazione delle persone, sempre più consistente, alle manifestazioni delle Sardine. La società civile vuole riformismo, serietà, trasparenza, concretezza. Non si fida più del velleitarismo, dell’individualismo, del ripiegamento nel nazionalismo. Vuole radicalità nelle scelte, non massimalismo parolaio. Rivendica coinvolgimento non delega al demiurgo. E’ pronta a fare la propria parte, anche la più impegnativa, a condizione di essere informata, ascoltata, responsabilizzata.
Mettendo a fattor comune questi tre elementi (centralità dell’economia circolare, metodo di governo concertativo, partecipazione della società civile) si possono contrastare le cattive tendenze e dare fiducia alle persone. Certo, non tutto il Paese è pronto a prendere decisioni pesanti. C’è ancora chi, in mala fede, lucidamente si arrocca su posizioni di rendita; chi crede, ingenuamente, che con pochi ritocchi il vecchio sistema di sviluppo può continuare ad assicurare benessere; chi, ottusamente, pensa che è meglio tornare al passato che andare appresso a Greta. Non li si convince con il muro contro muro, ma stanando le pulsioni conservatrici e le incursioni estremistiche e autoritarie che stanno dietro queste posizioni. La società civile ed i suoi corpi intermedi, piuttosto che i partiti, possono contribuire a separare il grano dal loglio.