Ormai è chiaro che la Ministra della Pubblica Istruzione, Lucia Azzolina si è trovata a gestire una patata estremamente bollente. Per affrontarla, si è circondata da circa 70 esperti che evidentemente hanno contribuito a trasformare il Ministero di viale di Trastevere, in una piccola Babele. Il frastuono non ha giovato alla limpidezza delle scelte, salvo la prima: chiudere tutto fino a nuovo ordine. Con una deroga: chi poteva e voleva – sia che fosse insegnante che studente – avrebbe proseguito attraverso l’“home schooling”. In ogni caso, la Ministra si è premurata di avvertire tutti che non ci sarebbe stato nessun 6 politico e quindi promozione per tutti ma soltanto una valutazione per un eventuale recupero per i meno assidui volontari (assenteisti) o necessitati (sprovvisti di tablet o computer). Una promessa di 6, un po’ meno politico.
Non ho dati sufficienti per aderire all’entusiasmo che è seguito nell’opinione pubblica all’avvento della stagione informatica della scuola pubblica. Ci sono state sicuramente esperienze brillanti, sia per l’abnegazione di tanti insegnanti che per la disponibilità di tantissimi studenti. Ci sono stati finanche casi di miglioramento dell’efficacia degli insegnamenti e degli apprendimenti. Ma, come è noto, le migliori pratiche non sono la normalità. Non sappiamo ancora molto né sul fenomeno della marginalità informatica di tante famiglie improvvisamente catapultate in questo mondo senza avere le possibilità di possederne gli strumenti, né dell’evasione dalla frequenza quotidiana dall’una e dall’altra parte del monitor, né della qualità degli standard educativi adottati.
Ma se c’è una cosa che mi convince di questa vicenda è che un bel salto tecnologico è stato realizzato, in un campo come quello dell’educazione in cui si è finora investito poco sia in attrezzature scolastiche che in conoscenze diffuse. Quindi, sia pure fortuitamente e in occasione di un evento drammatico, si può ritenere che si è fatta un’esperienza dalla quale non si tornerà indietro.
Deve essere della stessa opinione la Ministra che, a differenza dei suoi pari grado europei, non si è posta neanche il problema di come poteva essere possibile far ritornare in questo finale di anno scolastico, dai più piccoli ai più grandicelli, a respirare l’aria della socialità, della convivialità, della simpatia per lo stare assieme ai propri compagni e ai propri insegnanti. In nome della sicurezza, non si è fatta la fatica di trovare le soluzioni alternative che ovviamente dovevano essere ricercate in tempo, come molti avevano suggerito e che si potevano copiare dalle scelte fatte all’estero (per chi ha pazienza e tempo, in questo numero offriamo indicazioni utili per rendere strutturali forme di insegnamento non nel chiuso delle aule, a partire dalle attività “en plein air”).
Una giustificazione la Ministra ce l’ha. Il Governo non l’ha affatto stimolata. Ha trovato i quattrini per agevolare la frequentazione dei centri estivi, per il babysitteraggio soprattutto per i genitori che lavorano. Non ha trovato tempo e risorse per un ritorno a scuola almeno per qualche settimana. L’anno scolastico 2019/2020 si è concluso praticamente alla fine di febbraio. E si è passati direttamente a discutere del 2020/2021. E anche su questo tema, si è partiti con il piede sbagliato. Chissà chi, chissà come hanno convinto la Ministra che si poteva continuare come si era cominciato. Un mix tra vita a scuola e vita a casa, in contemporanea, grazie alla indiscussa sovranità dell’informatica. La valanga di critiche ricevute l’ha indotta ad una retromarcia a cui, fino a quel momento, non era stata abituata. Ora il silenzio domina la scena. Finalmente si pensa e non si improvvisa. E mi auguro che un accordo con il sindacato venga trovato.
Così, nel rispetto di tutte le proposte che circolano, mi permetto di suggerire una soluzione che ha come premessa inderogabile il legittimo diritto di tutte le ragazze e di tutti i ragazzi di frequentare la scuola nel prossimo anno scolastico.
Ecco cosa suggerisco:
1 – considerare straordinario tutto il prossimo anno scolastico, entro il quale riorganizzare le strutture per accogliere, in prospettiva, nelle aule massimo 18/20 studenti per classe. Il sovraffollamento, che oggi impedisce di assicurare il distanziamento tra gli alunni, va superato strutturalmente per i prossimi anni, attraverso investimenti sia negli immobili che nelle tecnologie didattiche.
2 – dividere le classi con più di 15 alunni, per rispettare il distanziamento ed introdurre il doppio turno, con rotazioni definite nei Consigli di istituto per coinvolgere tutti i soggetti interessati.
3 – l’ora di lezione da 60 minuti, va ridotta a 45. Ciò consentirebbe una conclusione dei secondi turni meno tardiva nella giornata. Le ore di lezione per gli insegnanti rimarrebbero quelle contrattuali, semmai con un gettone in più per le ore che verrebbero fatte nei secondi turni.
4 – in questo modo, il numero dei nuovi assunti per completare gli organici sarebbe minore e quindi più gestibile che il semplice raddoppio o quasi degli attuali insegnanti e consentirebbe di mischiare vecchi e nuovi insegnanti nei collegi delle classi divise. Il costo dell’operazione sarebbe ridimensionato per il primo anno e si metterebbero le premesse per un sistema strutturale e programmato di formazione del corpo insegnante futuro.
La priorità sono gli studenti, dalle elementari alle medie superiori. Tutte le altre esigenze vanno modellate per soddisfare la necessità di assicurare non solo l’istruzione e le tecnicalities per progredire, ma soprattutto l’educazione alla vita, alla capacità di affrontare con meno ansia il futuro, all’abitudine di saper discernere l’essenziale dal superfluo. Per tutto questo, il rapporto diretto e continuo tra studente e insegnante è vitale. La scuola deve dare una mano alle famiglie in questo compito sempre più arduo di formazione dei caratteri e delle coscienze dei giovani. La tecnologia è soltanto un di più, non l’unica via, per completare gli studi. Se no, prima o poi, ci proporranno i robot, dalla voce simil umana, come insegnanti.