Sulla porta del suo ufficio alla Scuola Holden c’è scritto “stanza del preside”. Dentro la stanza, libri e guantoni da boxe, libri e una bottiglia di rosso, libri e una figurina di Bulgarelli. Pareti color arancio e nuvole alla finestra. Oltre i vetri, un’altra mappa da decifrare in un mondo appena nato.
Alessandro Baricco, se l’aspettava questo “Game”?
«Nessuno ovviamente se l’aspettava. Siamo caduti nel pozzo senza neanche sapere che è un pozzo, solo buio».
Come definirlo?
«Tecnicamente, è la tipica situazione di merda. Ci sono i fatti e manca la trama, ma senza la trama i fatti sono un pulviscolo di cronaca, non c’è racconto, si perde il filo».
Game over?
«No, però questa è un’emergenza senza confronti. E dire che la mia generazione ha visto Moro, le Br, l’Undici settembre, qualche catastrofe, manca solo la guerra. Ma prima c’è sempre stato storytelling, anche nell’abisso. Invece adesso non ne sappiamo assolutamente niente».
Come si esce dal pozzo senza sapere che è un pozzo?
«Bisogna pensare l’impensabile. Dovremo abbandonare molte delle vecchie categorie, adesso c’è un mondo che rischia di non avere più senso».
La vostra è una scuola: che “idee impensabili” avete in testa?
«Faremo lezione a piccoli gruppi. Abbiamo assunto una persona nel ruolo di commissario straordinario del cambiamento, ha trent’anni, è una donna, si chiama Annalisa Ambrosio: ogni mattina dovrà decidere dove si insegnerà, e come, e quando. In un cortile, nel parco, sulla mongolfiera, a casa. Ovunque. Si inaugura il tempo di una flessibilità mai vista».
Anche per la scuola pubblica?
«Deve riaprire, subito. La scuola è la luce di sicurezza, è il fornelletto da tenere sempre acceso. Si usino i teatri per gli esami di terza media e maturità. Si dia ai ragazzi il senso di un’esperienza irripetibile per la vita, di una risorsa nuova. Dovranno pensare “noi siamo la generazione del Covid”, non quegli sfigati del Covid».
Come la mettiamo con la didattica online?
«La scuola si fa con i corpi, con le persone. Certo, anche noi usiamo il web ma da ottobre avremo qui tutti nostri allievi, li aiuteremo a trovar casa a Torino spendendo il meno possibile, il corso durerà un solo anno e credo ne verrà fuori qualcosa di indimenticabile».
Il virus è davvero la mappa di un mondo nuovo?
«Chi ha sempre cucinato brasato al barolo e non impara a fare la frittata, non ne uscirà. Aspetterà che passi il tempo, che torni quel pezzo di carne, invano. Cercherà regole imposte, non penserà l’impensabile».
Eppure sembra che senza un decreto al giorno non si ritrovi il passo.
«Ecco perché non ricomincia il campionato: si attende che succeda qualcosa, non si scommette sulla novità. Vogliamo che scenda dal cielo la norma, invece di capire che servono più agilità, adattabilità e impermanenza».
Vorrei domandarle ancora della scuola. Com’è stato possibile inchiodarla così? Si fa l’apericena e non lezione di greco.
«Classe, materia e professore sono certezze invecchiatissime. Non ha più senso l’ora di lezione chiusa, rigida, e neppure questo taglio chirurgico tra le discipline, o il docente che insegna una cosa sola, avanti sul suo binario».
Adesso si fa lezione a distanza, come l’antica Scuola Radio Elettra per corrispondenza. Lo chiamano futuro.
«La scuola è qualcosa di fisico, di animale. I ragazzi di terza media e dell’ultimo anno di liceo dovevano farli rientrare, almeno loro, a turno: penso all’orgoglio con cui avrebbero guardato per sempre la loro foto di classe dopo l’esame. Se nella scuola pubblica esistesse davvero l’autonomia si potrebbero applicare modelli più agili e nuovi, bellissimi».
Perché i teatri rimangono chiusi?
«Posso pensarci per un giorno intero e non trovare la risposta, perché risposta non c’è. Il classico teatro all’italiana è fatto apposta per il distanziamento sociale: platea, galleria, palchi. Sembra dirci: sono qui, usatemi. Anche per un consiglio comunale, al limite».
Il mondo che ci aspetta sarà più facile o più difficile?
«Sarà più impegnativo, ci chiederà fantasia. Dovremo avere molta energia psichica: è il terreno dove si rischia davvero la devastazione. Credo che gli psichiatri avranno parecchio lavoro nei prossimi anni».
Lei tornerà ad insegnare alla Holden?
«Qualcosa farò, ma l’età perfetta per seguire studenti che vanno dai venti ai trent’anni è averne al massimo una quarantina. Io ho aperto la Holden che ne avevo 35, e ricordo bene com’era. C’entrano l’energia fisica, l’entusiasmo, la sintonia con i ragazzi del Game. Poi, certo, ogni tanto arriva il vecchio prof che spariglia le carte e il risultato può essere luminoso».
Ha ancora senso imparare a raccontare? E lo si può insegnare davvero?
«I nostri ragazzi scommettono sulla loro vita, sul poterla cambiare in un paio d’anni, e adesso in uno soltanto. Una scuola “special edition”, più breve e più accessibile: come se per una volta, ma una soltanto, si potesse correre la maratona olimpica su 10 chilometri e non su 42. Rischia di essere incredibile».
Chi potrà orientarci meglio nella nuova mappa?
«I filosofi, gli antropologi, non i medici: averlo pensato è sbagliatissimo. Risolve la realtà chi sa osservarla da ogni punto di vista».
Quali sentimenti ci stanno guidando, e dove?
«La paura, certamente. E poi lo smarrimento, la frustrazione di chi non trova più la strada. E la stanchezza fisica. Ma vedo anche una curiosità che forse prima non c’era. Qualcosa di importuno che non si arrende, e fruga nella realtà».
Dove ci condurrà l’emergenza?
«Verso l’educazione all’impensabile, ne saremo consapevoli: per due mesi l’abbiamo collaudata in cose terribili, ma anche in altre molto belle e profonde».
Baricco, da tutto questo nasceranno grandi romanzi?
«Non me ne aspetto neppure uno».
*Intervista da Repubblica 19/05/2020