Insegnare e apprendere con le nuove tecnologie in ambito scolastico e universitario è un tema attuale ma controverso. Le parole di una delle più note ricercatrici nell’ambito delle tecnologie educative, Diane Laurillard, bene sintetizzano la situazione italiana: “l’educazione è sul punto di essere trasformata dalle tecnologie per apprendere, ma è rimasta su quel punto da qualche decennio a questa parte”.
Improvvisamente, tutta la didattica alla luce dell’emergenza Covid-19 è stata spostata negli ambienti digitali: aule virtuali, lezioni multimediali, relazioni e interazioni mediate dagli schermi di computer, smartphone e tablet. La digitalizzazione dei processi di insegnamento e apprendimento non è comunque un fenomeno del tutto nuovo, l’università di Ferrara ha una lunga tradizione di ricerca in questo ambito. E’ stata, già 20 anni fa, tra le prime università italiane ad attivare corsi di laurea interamente a distanza; prima dell’emergenza Covid-19 diverse migliaia di studenti potevano seguire come supporto alla didattica convenzionale, in aula, le lezioni anche in modalità webconference, in aula virtuale.
Più in generale nei paesi occidentali a distanza di alcuni decenni dalle prime esperienze di e-learning si sta assistendo alla metabolizzazione dei principi teorici di quel tipo di didattica “non convenzionale” all’interno dei corsi di laurea in presenza. Non solo. L’impiego delle tecnologie digitali nei contesti formali di apprendimento e di insegnamento costituisce ormai uno dei principali fattori della qualificazione delle attività didattiche. La didattica, ossia, può essere “aumentata” dal corretto utilizzo degli strumenti della multimedialità e della rete.
In pratica, ciò sottolinea l’urgenza, sempre più avvertita, di un superamento del classico modello di insegnamento trasmissivo basato sulla lezione ex cathedra, ancora imperante nelle nostre università, soprattutto quelle più affollate, in direzione di una nuova didattica, distante dal trasloco della lezione, dall’aula all’aula virtuale, in grado di favorire un maggior coinvolgimento degli studenti. Questo in linea con le potenzialità offerte da ambienti cosiddetti di “pedagogia2.0” applicate, già da alcuni anni, nelle migliori università del mondo e nelle esperienze virtuose delle scuole: la cultura partecipativa e la nascita di un sapere sociale, le forme di costruzione collaborativa delle conoscenze, un apprendimento esperenziale, l’impiego dei nuovi paradigmi didattici in direzione dell’intelligenza collettiva e connettiva, l’utilizzo di risorse educative aperte (reperibili negli immensi archivi online), laddove superino i necessari requisiti di qualità. A ciò si aggiunge la necessità di affiancare l’insegnamento fondato sul linguaggio verbale e scritto con un paradigma basato su linguaggi multimediali, logiche di rete, interattività. In questo modo si potrebbe costruire una modalità didattica più moderna e soprattutto in grado di sfruttare in termini di apprendimenti significativi le abitudini e i consumi mediali delle nuove generazioni, i loro stili di apprendimento.
A questo vanno aggiunte una serie di considerazioni rispetto al periodo storico che stiamo vivendo, mi riferisco all’emergenza sanitaria relativa al Covid-19 e alle relative misure di contenimento del contagio. Misure che hanno visto, come detto, l’impiego obbligatorio della didattica telematica determinando un cambiamento epocale. Da anni si discute sull’opportunità o meno di introdurre le tecnologie e gli artefatti cognitivi digitali nelle scuole e nelle università. Oggi, all’improvviso, le aule fisiche di scuola e università sono state sostituite, a causa della distanza sociale imposta per legge, dalle connessioni digitali. Il futuro che sembrava lontano è già qui.
L’emergenza sanitaria ha cambiato le nostre abitudini, i nostri stili di vita, il modo di lavorare e comunicare, le nostre relazioni sociali. Tutto si è trasferito all’interno delle piattaforme digitali, velocizzando un processo di digitalizzazione dell’agire umano cominciato qualche decennio fa, diventato oggi inaspettatamente totalizzante. Abbiamo in pratica coattivamente iniziato a praticare la distanza sociale, forzati in un isolamento che lascerà un segno importante alla fine delle misure di emergenza. Il mondo che verrà, dopo la sconfitta del Covid-19 sarà molto diverso da quello precedente, in modo particolare rispetto al co-working e all’e-learning. Ambienti, quelli del lavoro e dell’istruzione superiore, all’interno dei quali non si potrà più trattare con sufficienza e distacco l’influenza positiva dei processi di digitalizzazione, di intelligenza artificiale, della multimedialità avanzata.
La vita da reclusi in casa di certo ci farà riscoprire e apprezzare le relazioni umane, la bellezza di uno sguardo non mediato dagli schermi, il valore di una stretta di mano. Contemporaneamente avremo scoperto il valore del digitale nel rendere i rapporti più umani, nel consentire attività lavorative a distanza, nel valorizzare gli ambienti digitali nei processi di insegnamento e apprendimento.
Il concetto di comunità non può che uscirne rafforzato grazie al digitale, tecnologia il cui sviluppo non è purtroppo stato favorito dalle scelte politiche italiane, il nostro paese è tra gli ultimi in Europa in termini di processi e di infrastrutture digitali. La speranza è pertanto che il mondo che verrà non metterà più in contrapposizione l’analogico al digitale, l’umanesimo alla tecnologia. L’avversità che sta toccando il mondo intero nella sua drammatica evidenza può nel settore delle tecnologie didattiche essere trasformata in opportunità. A patto che non prevalga una visione tecnocentrica e che centrale rimanga il concetto di “ambiente di apprendimento” all’interno dei quali ricostruire quelle dinamiche educative e relazionali fondamentali nella didattica convenzionale. La storia della didattica, oggi più che mai, è profondamente legata all’impiego di tecnologie, ma solo un loro corretto utilizzo, in termini di valorizzazione del mondo digitale, può evitare un impoverimento culturale e consentire l’acquisizione di quelle competenze tese a favorire il potenziale creativo degli studenti necessario ad affrontare i continui cambiamenti, lavorativi, culturali, sociali, delle società complesse come quelle attuali.
In ogni caso la didattica universitaria non sarà più la stessa. Decisori politici, ricercatori, governance dei singoli atenei dovranno necessariamente riflettere in modo approfondito su come integrare le tecnologie nei processi di insegnamento tradizionale, su come sviluppare modalità miste di corsi universitari (metà in presenza, metà a distanza), su come offrire corsi interamente a distanza (le migliori università al mondo lo fanno, Harvard tra tutte). Per pubblici diversi, di età diverse, con esigenze diverse, di nazionalità differenti. Riflessioni trascurate nell’epoca della normalità, obbligatorie nell’epoca del distanziamento sociale. Che si spera termini al più presto.
*Ricercatore in tecnologie educative e apprendimenti multimediali (Università di Ferrara)